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Annuncite vs realtà: perché a Renzi gli si è ristretto il consenso

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A Matteo Renzi gli si è ristretto il consenso. Ilvo Diamanti, politologo e analista, domenica scorsa con il suo Atlante politico ha snocciolato il calo di approvazione politica nei confronti del Pd e personale nei confronti del premier: -13% per il governo, -10% il gradimento per il premier; e tutto si ripercuote con il Pd che scende fino al 36%. La luna di miele tra Renzi e il Paese, santificata dal 41% delle elezioni Europee, se non è ufficialmente conclusa conosce, diciamo, una prima significativa battuta d’arresto. Questo è il risultato di cause esogene – la crisi cronica dell’eurozona che ha costretto il premier italiano a una liaison con l’odiato (ricambiato) Jean-Claude Junker durante il G20 nell’auspicio della “finanziaria europea”, ossia il piano straordinario di 300 miliardi di euro– ma anche, e soprattutto, da cause endogene: tutte interne all’annuncite che ha caratterizzato la prima stagione di governo di Renzi.

Nove mesi dopo: il fact checking

“Una riforma al mese” aveva annunciato l’ex rottamatore durante la prima conferenza stampa-show. Nove mesi dopo dall’insediamento a palazzo Chigi la casella delle riforme approvate è ferma praticamente all’annuncio. Se questo – per lo meno per chi conosce la gimcana dei provvedimenti prima di essere licenziati dall’Aula – era tutto sommato prevedibile, resta sorprendente quanta carne al fuoco avesse previsto Renzi con le slide presentate ai cittadini: scuola, giustizia, pubblica amministrazione, abolizione delle province, del Senato e ovviamente, riforma elettorale. Quasi tutte sono ancora nella fase di dibattito iniziale, e pure dove le pedine si sono già mosse le cose non sono messe bene: basta prendere il caso delle Province, tutt’altro che abolite e oltretutto fucina di neonominati. La conferma della mancata azione riformatrice giunge dalla stessa notizia delle dimissioni di Giorgio Napolitano che, al di là dei retroscena, arriva nel momento in cui il dibattito sulla legge elettorale (il provvedimento per eccellenza, a cui l’inquilino del Colle aveva legato parte del suo mandato “eccezionale”) ancora non ha trovato la formula che possa scongiurare – nella migliore delle ipotesi – la temuta giungla parlamentare.

Pd: Landini, Renzi faccia legge su rappresentanza sindacale

Archiviata la stagione di “intese” con Maurizio Landini. Il leader della Fiom è percepito come avversario naturale da sinistra per Renzi

Lo scontro con la Cgil

“Aarticolo 18? Solo un totem ideologico: inutile discuterne”, diceva Renzi quest’estate, sconfessando Angelino Alfano che intendeva così assumere il profilo riformatore all’interno della coalizione. E invece proprio su questo Matteo Renzi ha ingaggiato un braccio di ferro che da una parte ne ha rafforzato (almeno nelle sue speranze) l’immagine nei confronti della trojka, dall’altra però ha risvegliato il conflitto sociale con una parte importante del Paese: lo si è visto sabato quando in quaranta città hanno sfilato diverse categorie, non solo operai di grandi aziende. Il problema nel problema per Renzi, poi, è che dal punto di vista elettorale, come dimostra la rilevazione Demos, queste tensioni hanno permesso l’emergere di una nuova (potenziale) leadership a sinistra del Pd: Maurizio Landini. Se Renzi, insomma, è riuscito a depotenziare le minoranze interne al Pd, la stessa cosa non si può dire con chi ha dimostrato di sapere interpretare il disagio sociale senza rappresentare strutture percepite come “caste”: e in questo Landini con la sua “snella” Fiom ha più buon gioco rispetto alla stessa Susanna Camusso, legata al carrozzone della Cgil.

Ottenere risultati: la corsa contro se stesso

«È come se la delusione avesse oscurato le qualità taumaturgiche attribuite al premier», spiega ancora Diamanti a commento dell’indagine. Davanti ai dati che registrano il tredicesimo trimestre di mancata crescita per l’Italia non è facile, del resto, vendere ulteriore ottimismo. E se dai “cento giorni” si è già passati ai mille, a un quarto della soglia – sono trascorsi 270 giorni dall’insediamento – Renzi sembra aver estinto una porzione significativa di quel gradimento che lo teneva a galla nonostante la crisi economica. Come se non bastasse le elezioni Regionali potrebbero rappresentare il primo “sondaggio” reale sul governo: inclusa l’Emilia Romagna, dove lo scandalo delle “spese pazze” minaccia un’ampia astensione proprio ai danni del Pd.

Davanti a tutto questo l’ossessione di Renzi resta quella di portare a casa qualcosa: dall’Ue, dal Parlamento, dal Nazareno. Il rischio tempo, infatti, è il demone insito nell’avventura renziana: il premier che aveva sedotto trasversalmente con il suo catch all party – il PdR versione partito acchiappa tutto – oggi perde appeal tra gli elettori di tutti gli schieramenti e tra tutte le categorie professionali. E tutto questo sta accadendo velocemente. Proprio come la sua ascesa.

Antonio Rapisarda

twitter@rapisardant

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