Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

“Armenia, il popolo dell’Arca”: in mostra la resilenza di una civiltà

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“I tre pilastri su cui si fondano i valori fondamentali della nostra società europea, il mondo classico, quello cristiano e l’illuminismo sono oggi sempre più a rischio: basti vedere quello che è stato fatto dai terroristi dell’Isis ai capolavori del museo di Mosul. L’Armenia ci insegna che occorre resistere a queste barbare minacce, con la forza del pensiero e quella dell’anima”.

mostra armenia

 

A parlare così, è Louis Godart, archeologo di fama internazionale e Consigliere per la Conservazione del patrimonio Artistico del Presidente della Repubblica Italiana, in occasione della conferenza stampa inaugurale della mostra “Armenia, il popolo dell’Arca” al Salone Centrale del Complesso del Vittoriano. La ricca esposizione di reperti archeologici, codici miniati, opere d’arte ed illustrazioni appartenenti all’antichissima civiltà armena sarà aperta al pubblico, con ingresso gratuito, fino al 3 maggio prossimo e fa parte delle iniziative per la commemorazione del centenario dal genocidio armeno, che fu perpetrato nel 1915, dall’Impero Ottomano, ai danni di più di un milione e mezzo di armeni residenti su suolo turco.

Un viaggio tra cultura e identità

armenia 2Una mostra per testimoniare quello che sarebbe dovuto essere annientato e che invece non solo ha resistito, ma ha anche continuato a fiorire, proprio come i rami che germogliano dalla croce nell’iconografia armena. “Armenia, il popolo dell’Arca” parla innanzitutto della resilienza di una civiltà, votata nel corso dei secoli a una continua diaspora e che non ha però mai perso la propria identità, le proprie radici che affondano nel cristianesimo più antico, in una commistione etnica e culturale tra oriente ed occidente.
Articolata in sette sezioni, la mostra intende guidare il visitatore in un viaggio affascinante attraverso reperti antichissimi, quali capitelli e portali in pietra del V secolo d.C., oggetti preziosi come la Croce con le reliquie di San Giorgio proveniente dal Museo di Echmiadzin, codici miniati appartenenti alla Biblioteca dei padri Mechitaristi di San Lazzaro di Venezia, tra cui il pregiato Vangelo della regina Mlke risalente all’anno 862. Vera chicca della mostra è l’Omiliario di Mush, manoscritto miniato del 1202 dalle incredibili dimensioni e dal ragguardevole peso di 37 kg, le cui vicissitudini novecentesche sono assurte a simbolo del coraggio e della resilienza del popolo armeno: il prezioso codice fu infatti diviso in due parti e così tratto in salvo dal monastero dei Santi Apostoli, nella valle di Mush, da due donne armene in fuga dalle stragi compiute dagli ottomani nel 1915. Non a caso anche Antonia Arslan, scrittrice e autrice del bestseller “La Masseria delle Allodole”, nel 2012 dedicò il suo romanzo “Il Libro di Mush” proprio a questa storia.

Genocidio, diaspora, integrazioni

armenia 3Le ultime due sezioni espositive sono dedicate, rispettivamente, al genocidio armeno del 1915 e ai rapporti tra l’Italia e l’Armenia. La sala in cui viene ricordato il massacro portato avanti dall’Impero Ottomano all’ombra della Prima guerra mondiale, sterminio spesso dimenticato dall’opinione pubblica internazionale e negato ancora oggi dallo stesso governo turco, è una sala buia, scarna, con al centro un enorme schermo che illustra le mappe e i numeri del genocidio e della diaspora. A disposizione dei visitatori, una serie di postazioni con cuffie per poter ascoltare la lettura di alcuni brani di intellettuali e politici primo novecenteschi che affrontarono pubblicamente e con coraggio la questione del genocidio armeno: le parole di Antonio Gramsci, Luigi Luzzatti, Filippo Meda rivivono per gli ascoltatori con la voce dell’attore di origini armene Paolo Kessisoglu. Infine, nell’ultima sezione, si parla di integrazione tra popolo armeno e popolo italiano: una contaminazione che affonda le sue radici in secoli lontani, a partire dal tardo Medioevo, con il fiorire delle relazioni mercantili tra l’Italia e l’Oriente. Comunità armene nascono e si sviluppano un po’ in tutto il paese, da Venezia a Livorno, da Genova a Roma, da Padova a Napoli, con la presenza di artisti, mercanti, monaci e scrittori che porteranno con sé, di volta in volta, il loro genio e le loro tradizioni.  Dalle pendici del biblico monte Ararat, oggi geograficamente compreso entro i confini turchi ma da sempre considerato nucleo originario della propria identità nazionale dagli armeni, ai piedi del Campidoglio: il viaggio della cultura e della civiltà armene sembra incredibile, misterioso, tortuoso e, seppure a tratti confinato nelle pagine più buie della nostra storia contemporanea, non è mai finito ed è potuto giungere fino a noi, oggi, con la forza della memoria e della testimonianza.

Giulia Di Stefano

L'Autore

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