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Gianni Rodari

DA SUPERMAN A FLASH, LA SECONDA VITA DEI SUPEREROI

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L’ultimo arrivato è Flash, il supereroe ad altissima velocità. Anche lui passato dalla carta a carne, ossa ed effetti speciali. Nella nuova serie televisiva ha la prestanza giovanile di Grant Gustin, con la tuta rossa dallo stemma del fulmine sul petto. L’aveva preceduto John Wesley Shipp, interprete di un ciclo del 1990/91 e ora nel ruolo del padre di Flash. Il velocista scarlatto, peraltro, interagisce con Arrow, Freccia Verde, che ha il volto incappucciato del fascinoso Stephen Amell. Fallì invece qualche anno fa il tentativo di trasporre per la Tv “l’Uomo Mascherato”, The Phantom, ridotto a una miniserie di sole due puntate con Ryan Carnes. Poco male, “l’Ombra che Cammina” aveva già avuto una versione in pellicola, dove Billy Zane indossava la calzamaglia indaco del giustiziere.

Il rapporto tra immagini disegnate e quelle riprese dall’obiettivo

fumettiIl rapporto fra le immagini disegnate e quelle riprese dall’obiettivo è sempre stato fortissimo. La nascita dei due mezzi espressivi scaturisce dal medesimo bisogno di rappresentare, riprodurre e interpretare la realtà in maniera cinetica, ossia visualizzando il movimento. Quest’ultimo si ritrova perfino nell’apparente fissità di certe statue, posizionate nell’attimo dello slancio. La tensione delle muscolature marmoree non è altro che l’idea dell’azione, contrapposta all’immobile. Gli antenati dei fumetti, i cartigli medioevali, davano la parola ai soggetti dipinti, dotandoli perciò di una capacità potenziale di scuotersi dalle loro configurazioni prefissate. La fotografia aveva il logico sbocco nella cinematografia. Del resto, il connubio tra la descrizione cartacea e la sequenza visiva viene straordinariamente anticipata da Leonardo da Vinci, che in alcuni suoi appunti per un quadro ne descrive le fasi con una tecnica paragonabile alle attuali sceneggiature. Ogni parte dell’opera da realizzare viene preceduta dalla voce verbale “vedeasi”, si vedeva, un imperfetto convenzionale che rimanda al linguaggio del cinema: campo lungo, primo piano, mezza figura, ecc.

La seconda vita dei supereroi

batmanCon queste premesse, non stupisce constatare che gli eroi e soprattutto i supereroi dei fumetti abbiano avuto fin dall’inizio una loro seconda vita nelle sale di proiezione e poi in video. È il tema di un libro pubblicato dall’editrice Dedalo, I predatori del sogno, di Massimo Moscati. Il celebre critico cinematografico analizzava il rapporto fra cinema e fumetto a partire dai serial degli anni ’30, spettacoli del sabato mattina destinati ai ragazzi americani, che quel giorno non vanno a scuola. Scriveva Moscati: «Da sempre il “regno di carta” e quello della celluloide si sono reciprocamente influenzati grazie alle forti analogie linguistiche. Il loro è stato un dialogo non sempre compiuto ma fertile e di mutuo beneficio. E non è per un caso, quindi, che sono più di cento i fumetti ridotti per lo schermo: tutti i maggiori comics del mondo hanno avuto la loro versione cinematografica, televisiva o a disegni animati». Aggiungendo: «È chiaro che, fino dalla sua nascita, il cinema ha rappresentato la materializzazione del grande mondo dei sogni».

La materializzazione dei fumetti

Materializzazione: ecco la parola chiave. Una cosa è guardare un costume colorato e pittoresco sulla copertina e fra le pagine di un albo a fumetti, altra è ritrovarlo addosso ad un attore, con i muscoli veri che tendono la calzamaglia, o un’armatura spaziale che fa somigliare a un robot chi la indossa. Alcuni divi costruirono la loro fortuna proprio incarnando celebri personaggi dei fumetti. Primo fra tutti, Buster Crabbe, che interpretò a lungo Flash Gordon. Per altri, legarsi ad un’icona troppo popolare fu un disastro. George Reeves, che calzò la divisa rossa e blu di Superman in una serie televisiva degli anni ’50, non riuscì a trovare una via d’uscita da questa identificazione e dopo un tentativo fallimentare di crearsi una nuova identità interpretativa morì quasi certamente per suicidio (il tutto raccontato nel film del 2006 “Hollywoodland”, diretto da Allen Coulter, con Ben Affleck). Nel mondo dello spettacolo si è facili alle superstizioni e ne nacque una quando cadde da cavallo e rimase paralizzato Christopher Reeve, l’Uomo d’Acciaio del 1979 e seguenti. Allora si parlò della maledizione di Superman. Per dissiparla, bisognò attendere che in anni recenti si susseguissero in quel ruolo Brandon Routh e Henry Cavill, usciti incolumi dall’esperienza. Infine, i nuovi supereroi del cinema risentono dell’evoluzione sociale, all’insegna del politicamente corretto. Così diviene tutto multietnico e nel caso di Flash, la sua innamorata, Iris West, non è più bionda e Wasp (White AngloSaxon Protenstant) bensì afroamericana.

La tecnologia supera i comics originali

Con l’ultimissima vena di fumetti al cinema e in TV, la tecnologia avanzatissima rende gli effetti speciali così suggestivi da surclassare di gran lunga il prodotto di origine. Che senso ha leggere un albo di supereroi quando i loro omologhi sullo schermo sono molto più avvincenti? Infatti, i comics subiscono un calo di vendite che sta portandoli all’agonia. Inoltre, l’attore che interpreta un supereroe adatta quest’ultimo alla propria personalità fino a sovrapporglisi. Perciò l’attenzione del pubblico si sposta dalla mitologia del fumetto di derivazione al gossip sulla star di turno. Adesso, per esempio, c’è molta attesa per il prossimo Batman di Ben Affleck. Gli stessi personaggi risentono di riletture modellate sul pensiero dell’occidente avanzato, dove impera ormai un eccesso talvolta parodistico di inclusione di ogni diversità. Quella che il giornalista australiano Robert Hughes ha definito nel titolo di un suo celebre volume La società del piagnisteo. Su Batman, per esempio, è uscito negli Stati Uniti il saggio What’s the Matter With Batman?: An Unauthorized Clinical Look Under the Mask of the Caped Crusader, ossia “Che succede a Batman? Esame clinico non autorizzato sotto la maschera del Crociato con il mantello”. Autrice, la dottoressa Robin Rosenberg, specializzata in analisi caratteriale dei supereroi. Applicando a Batman le categorie della psicanalisi avanzata, se ne ricava una diagnosi. La morte violenta dei genitori gli ha causato disturbi da stress post-traumatico. Di qui la depressione, una personalità ossessivo-compulsiva, tendenze asociali e la consuetudine di addestrare dei giovanissimi come aiutanti, da Robin ai sostituti. Tutto questo porta lontano dallo spirito originario del personaggio, un trionfo del machismo. Sono lontanissimi i tempi di Apocalittici e integrati, dove Umberto Eco rapportava ancora i fumetti alle strutture della narrativa, con l’asettico linguaggio della semiotica e al massimo qualche contorno sociologico. Fu profetico Stan Lee che all’inizio degli anni ’60 inventò i supereroi con i superproblemi, partendo dall’Uomo Ragno. Già con lui, il passaggio dalla piattezza della tavola al tutto tondo della tipologia realistica anticipava il presente. Viene in mente il Nietzsche di Umano, troppo umano.

Enzo Verrengia

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