Sogni, promesse volano... Ma poi cosa accadrà?

Gianni Rodari

Damasco. Viaggio tra i pellegrini sciiti nel mausoleo di Sayyida Ruqayya

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damascoUn tempo, musulmani di ogni dove si recavano a Damasco per visitare il santuario di Sayyida Ruqayya, la Moschea degli Omayyadi e l’agglomerato urbano di Sayyida Zaynab situato a soli 7 chilometri dalla capitale. Si tratta delle tappe salienti del cosiddetto pellegrinaggio dei poveri intrapreso dalla comunità sciita in attesa del tanto auspicato hajj in direzione della Mecca. Dallo scoppio della guerra in Siria (2011), il pellegrinaggio vive un lungo e tormentato letargo, mentre un gran numero di milizie straniere reclutano combattenti appellandosi alla difesa dei mausolei di Sayyida Ruqayya e Sayyida Zaynab. In un articolo pubblicato sul sito Combating Terrorism Center (From Karbala to Sayyida Zaynab: Iraqi Fighters in Syria’s Shi’a militias, 27 agosto 2013), Philip Smith fornisce una lunga lista concernente i gruppi armati iracheni impegnati nel conflitto in Siria. Tra di essi: Kata’ib Hizb Allah con base in Iraq, la prima a dichiarare pubblicamente nel marzo 2013 di aver inviato alcuni dei suoi uomini a combattere in Siria; Kata’ib Sayyid al-Shuhada, dalla quale si sarebbe poi originata la brigata Liwa’ al-Sayyida Ruqayya, e ancora la brigata al-Abbas probabilmente composta dai primi membri delle milizie di Moqtada al-Sadr che stanziavano nell’area di Sayyida Zaynab. Qui a partire dagli anni ’50 trovano rifugio palestinesi, iracheni fuggiti dalla guerra, abitanti del Golan scampati all’attacco israeliano e ancora sciiti di tutto il Medio Oriente. Le scuole in loco di Sayyida Zaynab si nutrono della ideologia politica sciita irachena e iraniana, mentre il clero locale è di formazione libanese e resta in contatto con l’Hizb Allah del paese limitrofo.
E’ nell’anno 2009 che vengo per la prima volta a conoscenza dell’immenso patrimonio artistico e culturale della Siria. Durante il mese musulmano di muharram, mi trovo a Damasco, nelle stradine del suo centro. Un corteo di iracheni procede incalzando nella mia direzione, all’ingresso del Suq Hamidiyya. È mattino, i passanti della città vecchia si rassicurano, come d’abitudine, alla vista dei colombi plananti sulle mura della Grande Moschea. Incuriositi da quella presenza straniera, ci soffermiamo un po’ tutti ad osservare la vivace compagnia di uomini abbigliati diversamente dai canoni siriani. L’atmosfera è accattivante. I cori cantilenanti inneggiano al nome di Husayn e le movenze dei damasco 2partecipanti ricordano i rituali delle confraternite religiose, allorché essi avanzano in lenta processione colpendosi ininterrottamente il petto con il palmo della mano destra. Si tratta della espiazione di un antico peccato capitale. La colpa: il compromesso storico a cui gli sciiti hanno acconsentito pur di esistere in una società negligente nel bene e governata da un potere monarchico già nei primi anni del califfato omayyade. In mano uno striscione rosso e sul capo kufiya bianche e nere, mentre turbanti verdi o bianchi si prestano ad adornare le figure di rilevanti personalità locali appartenenti alla comunità sciita duodecimana irachena. Un gruppo di donne coperte dai tradizionali abaya neri chiudono il corteo di pellegrini articolando in segno di lutto i medesimi gesti degli uomini. Il sentimento è intenso, magnetico, manifestato dalle espressioni facciali nonché dalle convulse azioni corporali di questi viandanti.
Decido di seguire la folla per ritrovarmi in al-‘Amara, il quartiere iraniano di Damasco restaurato in stile persiano per volontà di finanziatori non siriani. In questa zona il riyal è utilizzato per adempiere ai molteplici acquisti quotidiani.‘Amara, in parte raso al suolo e poi ricostruito, rientra nel progetto di rivalutazione del monumento funebre dedicato a Sayyida Ruqayya, secondo l’accordo stipulato tra lo Stato iraniano e quello siriano che ha innescato un processo di “iranizzazione” del rione. Il fine: attribuire un’importanza maggiore alla causa alawita accostandola all’islam sciita duodecimano. Dopo aver cantato le lodi dell’imam Husayn, i penitenti sciiti entrano nella sfarzosa moschea di Sayyida Ruqayya situata nel quartiere di ‘Amara e siedono a terra, uno accanto all’altro, raggruppandosi per familiarità regionale in cerchi promiscui. Iracheni e iraniani, insieme, assistono in lacrime alla commemorazione dei fatti Kerbela e al racconto della morte di Sayyida Ruqayya, figlia di Husayn, il terzo imam sciita. Durante la battaglia di Kerbela, avvenuta il 10 Ottobre dell’anno 680 d.C., Sayyida Ruqayya cadde prigioniera delle truppe omayyadi mentre suo padre veniva ucciso e fatto a pezzi nel suo stesso accampamento.
damasco 3La testa dell’imam fu esposta e trasportata in Siria. Vittima della diatriba politica tra il califfo Yazid e Husayn – considerato dalla stirpe del Profeta (ahl al-bayt) l’unico legittimo detentore del califfato – Ruqayya venne allontanata dal suo clan e condotta nelle carceri di Damasco dove trovò la morte in tenerissima età. Oggi come oggi la battaglia di Kerbela é simulata nel giorno della Ashura, mese di muharram, quando la comunità sciita si raccoglie in disparati rituali funebri quasi a voler esorcizzare o riscattare un’antica oppressione. Siedo nell’atrio esterno della moschea di Sayyida Ruqayya dove i lamenti dei pellegrini si confondono alle narrazioni dei cantastorie, poi mi accosto alla sua tomba per assistere alla litania. Estasiata dalla luce e dai colori dell’edificio – oro, argento, smeraldo e blu alabastro – non mi resta che affiancarmi ai veli delle donne, leggere una preghiera impressa sulla carta, condividere le parole di queste viandanti per arrecare conforto al corpo violato della piccola Ruqayya. Il dolore di queste persone ricorda la perdita di una familiare, di una figlia, di un imam. Nel corso della storia non pochi hanno rivendicato di essere l’incarnazione dell’Imam – al-Maktum (il Nascosto per i settimani) o al-Mahdi occultatosi per gli Sciiti duodecimani nell’874 – pur di ergersi a guida della comunità sciita.
Katia Urgolo

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