Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

ALTRO CHE #AUSTERITY, QUI DOBBIAMO FARE LE #RIFORME SE NON VOGLIAMO FALLIRE

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La classe dirigente italiana, dagli imprenditori ai politici ai sindacati, ha reagito arroccandosi alla crisi ed al conseguente cambiamento imposto dai due shock petroliferi del 1973 e 1980. Ci siamo arroccati a difesa dello status quo bloccando i movimenti di capitali, proteggendo proprietari ed i lavoratori dei settori maturi (acciaio, automobile, etc), investendo ingenti somme sul passato anziché investire sul futuro. Invece di destinare investimenti ai settori del futuro (informatica, farmaceutica, etc), investendo in ricerca e sviluppo e usando gli ammortizzatori sociali e la spesa pubblica per riconvertire la vecchia ed istruire la nuova forza lavoro verso i settori del futuro, abbiamo investito tutto a protezione delle imprese e dei posti di lavoro esistenti, negando l’evidenza in un fenomeno di rimozione collettiva della reale dinamica della competizione industriale mondiale.

Le tracce della corruzione e gli occhi chiusi di fronte ai cambiamenti

EuroNel frattempo si espandeva un livello di corruzione e difesa corporativa incredibile e ottusa di cui si trova continua traccia, con esempi “edificanti” quali i vitalizi pensionistici assicuratisi dai politici senza alcuna considerazione dei principi di equità e di equilibrio economico. Come sia stato possibile che la classe dirigente forgiatasi tra le due guerre mondiali non abbia saputo selezionare degli eredi alla propria altezza è un mistero. Chiusi gli occhi di fronte ai cambiamenti necessari abbiamo preferito gonfiare il debito pubblico a dismisura rinviando la risoluzione dei problemi a un futuro indefinito.

La vicenda euro

Una parte della classe dirigente italiana ha sperato che vincolandosi all’area euro gli italiani fossero costretti a modificare il proprio comportamento e sotto il vincolo europeo fossero capaci di cambiare questa deriva corporativa distruttiva ed evitare la pratica delle continue svalutazioni competitive che potevano portarci ad una crisi del debito in stile argentino. Purtroppo il dividendo dell’euro, il crollo dei tassi di interesse sul debito pubblico, non è stato usato per ridurre l’ammontare del debito, ma al contrario per mantenere lo status quo. Nessun comportamento virtuoso si è innescato e allora abbiamo via via sacrificato larga parte del nostro apparato industriale, dapprima con privatizzazioni necessarie da un punto di vista finanziario ma deleterie per le prospettive industriali del paese, e poi, una volta scoppiata la crisi del 2008 con una fortissimo processo di de-industrializzazione che ci ha portati alla regressione della produzione industriale degli ultimi anni. Il tutto mentre entravano nel processo economico mondiale moltissimi paesi prima assenti e la Germania si fregava le mani vedendo che il suo principale competitor europeo era bloccato in un angolo.

E ora?

Abbiamo pagato il prezzo del biglietto per entrare nell’euro e ci siamo rifiutati di pagare il prezzo per restarci vantaggiosamente. Invece lo abbiamo pagato per restarci con grande sofferenza. Uscire ora dall’euro sembra impossibile e ci graverebbe di ulteriori costi proibitivi, proseguire nell’attuale stagnazione pone rischi molto elevati di tenuta degli equilibri politici e sociali. Non ci resta che sperare che la crisi economica che sta colpendo la Germania la induca a sostenere il cambiamento della politica economica europea. Le riforme strutturali sono essenziali, ma non si possono realizzare dentro una recessione economica. Noi abbiamo ragione a chiedere la fine dell’austerità, ma saremo capaci di non rinviare per l’ennesima volta le riforme strutturali necessarie per competere sulla scala economica mondiale?

Mario Zanco

L'Autore

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