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Lee Tamahori

Egitto al voto, Al-Sisi senza rivali

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Moussa Mustafa Moussa

L’Egitto si prepara alle elezioni presidenziali del 26 e 27 marzo in un contesto di grave e permanente repressione del dissenso. Tutti i potenziali candidati sono stati esclusi nello scontro elettorale contro il presidente in carica, Abdel Fattah al-Sisi. L’unico candidato ammesso al voto, Moussa Mustafa Moussa, del partito al-Ghad, ha dichiarato di non partecipare per «sfidare il presidente».

Candidati costretti a ritirarsi

Uno dei principali leader di opposizione e candidato alle presidenziali del 2012, Moneim Aboul Fotuh, è stato arrestato lo scorso febbraio per legami con la Fratellanza musulmana, dichiarata illegale in Egitto nel 2014. Non solo, i due candidati che provengono dall’establishment militare: Ahmed Shafiq, l’ultimo premier dei tempi di Mubarak, e Sami Annan, ex capo dello Staff dell’esercito, sono stati costretti a ritirarsi dalla competizione. Ripiegare sul ritiro è toccato anche a el-Sayyid el-Badawi, leader del partito nazionalista Wafd. Non solo, l’ex guida dell’Autorità di controllo, Hesham Geneina, è stato picchiato e arrestato dopo aver denunciato casi di corruzione. Geneina aveva sostenuto la campagna di Annan prima del suo ritiro.

Controllo sulla stampa

Durante la breve campagna elettorale, il primo nemico del regime militare egiziano è stata ancora una volta la stampa. Le autorità del Cairo avevano duramente criticato un servizio firmato dalla corrispondente della televisione pubblica britannica BBC, Orla Guerin. Lo speciale della BBC dal titolo «L’ombra sull’Egitto», andato in onda prima del voto, si era occupato della repressione dei diritti umani nel paese. Guerin ha intervistato la madre di una giovane egiziana vittima di un caso di «sparizione forzata», Zubeida Ibrahim. La vittima delle violenze è poi apparsa in un’intervista televisiva nel talk show al-Youm, e ha smentito l’intervista rilasciata dalla madre, in seguito arrestata. Molti osservatori hanno espresso dubbi sulla veridicità dell’intervista in cui la giovane ha negato le responsabilità delle autorità egiziane. I Servizi di informazione pubblici (SIS) avevano  definito il reportage «pieno di menzogne» chiedendo di boicottare la BBC. Non solo, vari parlamentari egiziani hanno annunciato una strategia per rispondere alle «notizie false», diffuse dai media stranieri sull’Egitto.

In seguito a questi episodi, l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Raad al-Hussein, ha accusato le autorità egiziane di creare un «clima pervasivo di intimidazione» con la soppressione della libertà di espressione. In particolare, nel report si fa riferimento ad alcune misure decise dal presidente, Abdel Fattah al-Sisi, in vista delle elezioni. «La legge ha impedito ai candidati e ai loro sostenitori di organizzare manifestazioni pubbliche. I media indipendenti sono stati messi a tacere con oltre 400 testate e Ong completamente bloccate», continua il report delle Nazioni Unite. Le organizzazioni non governative egiziane non possono ricevere finanziamenti dall’estero. E così con il noto “Caso 173”, 43 cittadini statunitensi ed egiziani che lavoravano per Ong Usa e tedesche vennero arrestati con l’accusa di fomentare illegalmente le proteste.

Il grande alleato di Trump

L’Egitto di al-Sisi continua ancora ad attirare critiche internazionali per la repressione dei diritti e per i buoni rapporti tra il Cairo e la Corea del Nord. Un gruppo di senatori Usa ha espresso preoccupazione in una lettera all’ex Segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, in cui si fa riferimento alle «intimidazioni e detenzioni di credibili candidati di opposizione» in Egitto. Il presidente Usa, Donald Trump, considera invece al-Sisi un partner regionale essenziale. Non solo, alla vigilia del voto ha visitato il Cairo il principe saudita Mohammed bin Salman, sancendo ancora una volta l’asse tra il Cairo e Riyad. L’Arabia Saudita ha concesso prestiti superiori ai 25 miliardi di dollari dal 2014 all’Egitto, sostenendo l’ascesa del regime militare di al-Sisi. Il principe saudita ha anche avuto un incontro significativo con il Papa copto Tawadros II nella Cattedrale di San Marco al Cairo.

I tagli alla spesa pubblica, richiesti dal Fondo monetario internazionale (Fmi) per accordare la terza tranche del prestito da 12 miliardi di euro, promesso all’Egitto, stanno colpendo gravemente l’economia locale. Gli alti tassi di inflazione impoveriscono soprattutto le classi disagiate. Lo stato di repressione del dissenso, della società civile e della libertà di espressione, in nome della lotta al terrorismo, rende difficile una nuova mobilitazione di massa sul modello delle rivolte di piazza Tahrir del 2011. Non solo, Abdel Fattah al-Sisi si è espresso in contrapposizione con l’applicazione dei diritti umani, come intesi in Europa, in Egitto. Eppure il movimento contro il trasferimento delle isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita del 2016 ha dimostrato fino a che punto il nazionalismo proposto dal regime militare egiziano possa essere subordinato agli interessi geopolitici regionali, una delle accuse sempre mosse alla Fratellanza musulmana.

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