Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

Europa e Turchia sempre più lontane

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La conferma alle difficoltà a ricucire un rapporto ormai sfibrato dal tempo, dalle promesse mancate e dai lunghissimi negoziati senza fine è arrivata il primo luglio. Quel giorno Recep Tayyp Erdogan, il Premier in carica, ha annunciato in diretta su 28 canali televisivi la sua discesa in campo per le presidenziali del 10 agosto.

Una decisione che Bruxelles stenta a valutare positivamente dopo le ultime mosse contro opposizione, libertà di stampa e diritti civili. Soltanto qualche giorno prima, il 23 giugno, al termine della riunione del Consiglio Ue-Turchia, la diplomazia europea aveva rimarcato l’importanza del processo di riforme democratiche nel paese ai fini di una futura integrazione nell’Ue. Riforme avviate in parte già dal 2001 con l’adozione del Programma Nazionale composto da nove pacchetti legislativi ispirati all’acquis comunitario e contenenti disposizioni per l’allargamento delle libertà individuali e collettive, dei diritti umani, ma anche norme per l’allineamento del sistema economico turco ai criteri di Copenaghen.  Una ventata di ottimismo per cittadini turchi, ma anche per Bruxelles che nel 2005 ha formalmente avviato il processo di adesione della Turchia all’Ue. Un processo lungo 35 capitoli e che affonda le sue radici nel 1963 con la firma dell’Accordo di Ankara.

Nove anni dopo i capitoli aperti, complice la questione mai risolta su Cipro, sono appena quattordici, uno solo dei quali (quello dedicato a scienza e ricerca) è considerato chiuso. Dopo lo stallo durato tre anni – dal 2010 al 2013 – nel novembre 2013 i negoziati sono ripresi con l’apertura del quattordicesimo capitolo, relativo allo sviluppo regionale. In parallelo all’avviarsi del processo di adesione formale si è assistito nella società turca alla crescita progressiva degli euroscettici. Se alla fine degli anni ’60 e ’70 l’idea di un futuro ingresso nell’Unione europea entusiasmava oltre il 70% dei turchi, dal 2005 si assiste a un’inesorabile quanto ritmica discesa del fascino comunitario.

Secondo i dati di Eurobarometro tra il 2004 e il 2012 il supporto dell’opinione pubblica turca nei confronti dell’adesione all’Ue sarebbe crollato dal 62% al 36%. Un ultimo sondaggio realizzato nel 2013 da Tavak (Fondazione Turca per Educazione e Ricerca Scientifica) rivela che appena il 17% della popolazione crede ancora in una futura adesione della Turchia all’Unione europea.

Al contempo si è andata rafforzando la popolarità del Premier Erdogan, ormai giunto al terzo mandato (e ultimo stando al regolamento del Partito Giustizia e Libertà) che alle elezioni amministrative di marzo ha visto confermarsi l’appoggio dei propri cittadini. Sconfessate le Cassandre che avrebbero voluto vederlo indebolito da scandali politici e personali, Erdogan sembra non aver risentito né della Tangentopoli che ha colpito la classe dirigente e molti dei suoi fedelissimi e familiari, né delle critiche seguite all’epurazione di magistrati e alti ufficiali di polizia che nell’inchiesta hanno avuto un ruolo centrale.

Dopo le accuse per la deriva autoritaria mostrata a seguito della repressione delle proteste di Piazza Taksim e per il pugno duro mostrato contro media e internet (celebre la frase del Premier: “Abbiamo un nuovo nemico: Twitter) Recep Tayyp Erdogan punta ora dritto Presidenza del paese. Ma cosa rappresenta per l’Unione europea la probabile elezione di Recep Tayyp Erdogan a Presidente turco? PerAmanda Paul analista politica del Centro per le Politiche Europee: “Se Erdogan, che con ogni probabilità vincerà queste elezioni, continuerà a minare lo stato di diritto e la democrazia turca, allontanerà sempre di più il Paese dall’Ue. L’apertura dei capitoli 23 e 24 – sui quali pesa il veto cipriota – relativi a diritti e libertà fondamentali potrebbe essere benefica per la Turchia. Ankara attraversa una fase elettorale che si concluderà con le legislative del 2015. Fino ad allora Bruxelles occuperà pochissimo spazio. Uno sforzo per tornare al centro del dibattito pubblico dovrebbe essere compiuto anche da Bruxelles”.

L’Unione europea, però, sembra poco interessata a farlo. In occasione del suo discorso programmatico davanti al Parlamento Ue Jean Claude Juncker ha affermato: “Nei prossimi cinque anni non ci sarà ulteriori allargamenti dell’Unione”. Juncker pensava probabilmente ai capitoli più vicini alla conclusione, i Balcani. Il messaggio, però, deve aver raggiunto anche Ankara e i cittadini turchi.

Arianna Sgammotta

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