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Cena fuori in una vera atmosfera casalinga? Ecco “Foody”, la piattaforma di social eating all’italiana.

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foodyTradizione italiana e profilo internazionale, in un mondo sempre più interconnesso la funzione aggregativa, che da sempre contraddistingue un buon pranzo o una cena, si fa letteralmente “social”: arriva “Foody – Italian Home Restaurant”, una piattaforma web di social eating all’italiana. “Per viaggiatori e turisti la nostra piattaforma dovrà diventare una tappa imperdibile – ci spiega Francesco Chiaramida, uno dei quattro giovanissimi co-fondatori di Foody – una guida turistica che li porterà ad assaggiare una vera cucina home-made direttamente a casa degli italiani”. Sulla community di Foody si potrà accedere da “cooker”, ovvero proporsi come cuochi, o da “fooder”, qualora si stesse invece cercando un posto dove andare a mangiare. I “cooker” dovranno registrarsi sulla piattaforma, indicare l’evento (pranzo o cena) che vorranno organizzare, la data ed il luogo, i menu, il prezzo e la disponibilità in termini di posti a sedere. I “fooders” invece, i veri e propri fruitori del servizio, avranno libero accesso ai contenuti proposti dalla piattaforma e si dovranno registrare solamente per riservare una prenotazione ad uno specifico evento. Gli utenti che dovessero poi avere delle richieste particolari, potranno inoltrare una sorta di “call to action”, una richiesta aperta a tutti i fooders. Nella pagina del profilo dei cooker infine, compariranno mano a mano le recensioni, con eventuali foto e video, che ogni loro ospite vorrà lasciare.

Francesco, ci racconti com’è nata questa idea?

“Foody ha origine grazie all’esperienza di InnovAction Lab Milano, un ambìto percorso formativo nel campo della business innovation, che abbiamo iniziato tutti noi quattro cofondatori alla fine di gennaio. L’idea è nata poi concretamente circa due mesi fa, durante uno dei nostri primi appuntamenti conoscitivi. Nei giorni precedenti avevamo valutato altri trend, ma quella sera, davanti ad un bel piatto di pasta (rigorosamente italiano!), ci siamo detti: “Siamo tutti e quattro delle buone forchette, perché non iniziare a creare qualcosa in ambito food?”. Oggi è tanta l’attenzione che si rivolge alla cucina: dai programmi televisivi, ai reality, ai contest totalmente dedicati al food, ai tantissimi blog e i siti internet su cui trovare ricette e tutorial. Ma non dimentichiamoci che è anche l’anno di Expo, il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. Abbiamo dunque organizzato delle interviste a tappeto che hanno confermato quello che avevamo già previsto: risulta fondamentale arricchire e valorizzare il pacchetto turistico in termini di offerta, ma tanto si può e si deve fare ancora nel nostro Paese per offrire al turista un’esperienza “su misura”, autentica. A questo punto ci siamo chiesti quale fosse il modo migliore per conoscere e apprezzare una cultura locale se non quello di provarne la cucina tipica in un ambiente casalingo ed accogliente: insomma, una delle cose più vecchie del mondo, solo fatta meglio e con l’aiuto di internet. E qui ci è venuta incontro la sharing economy. Un perimetro di business, quello della “economia condivisa”, che ha subìto in pochi anni uno stravolgimento paradigmatico a causa degli elementi “disruptive” su cui si fonda. Tra le ultime tendenze in tema di sharing economy, infatti, il social eating rappresenta già la nuova frontiera in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, anche se in questo caso c’è chi preferisce parlare già non più di economia della condivisione bensì di crowdsourcing, in quanto più persone contribuiscono alla creazione di un bene/servizio, attraverso risorse creative”.

A proposito di Expo, “Foody” è anche il nome della mascotte della manifestazione milanese. Come mai avete scelto questo nome in inglese?

“Foody, dall’inglese “foodie”, ovvero “buongustaio”, “buona forchetta”, ci è sembrato da subito adatto, musicale, difficile da dimenticare. È vero, Foody è anche il nome che è stato scelto per la mascotte di Expo, ma il nostro brand name racchiude appieno quella che è la nostra promessa, il nostro concept. Sin da subito abbiamo escluso la possibilità di scegliere un nome italiano perché l’obiettivo principale è quello di comunicare il “marchio Italia” non solo ai viaggiatori italiani, ma anche a quelli stranieri, che vogliono vivere, gustare e condividere l’esperienza della tradizione culinaria locale made in Italy, all’interno delle case degli italiani”.

Ti senti più “fooder” o “cooker”?

“Personalmente mi sento più un “fooder”, una buona forchetta. Ma questo vale anche per gli altri ragazzi del team. Diciamo che l’amore per la buona cucina mediterranea è l’ingrediente fondamentale che ci ha indirizzati verso questa scelta e che ci spinge tutti i giorni ad avere la giusta carica per credere fortemente nel progetto”.

Quando sarà lanciata la piattaforma e come intendete trovare i finanziamenti?

“Stiamo lavorando tantissimo per riuscire a superare tutti gli step previsti dal percorso formativo di InnovAction Lab. A maggio avremo l’occasione di partecipare all’Entrepreneur Track della WWW2015 Conference che si terrà a Firenze e quindi di incontrare potenziali investitori. Abbiamo introdotto nel team un motivatissimo web developer, Matteo Marani, che ha sviluppato la landing page grazie alla quale stiamo già ottenendo i primi importanti successi in termini di conoscenza e di interesse degli utenti iniziali grazie ai feedback ricevuti. Ne approfitto per invitare i gentili lettori a seguirci sulla pagina Facebook per rimanere aggiornati sulle ultime novità e tutti i progressi”.

In tempi di crisi molti italiani portano il lavoro a casa. Foody avrà più successo per motivi economici o perché darà occasioni a chi si sente un po’ un “masterchef”?foody

“Per quello che abbiamo avuto modo di constatare sin ora, il denominatore comune è la passione per la cucina. Tra i tanti cooker già disponibili ad aprire le porte del loro piccolo “ristorante in casa” c’è chi lo chef o il cuoco lo fa per professione, ma c’è anche chi nella vita svolge le professioni più disparate e non vede l’ora di mettersi ai fornelli e dar sfogo alla creatività e alla passione per la cucina. Non è infatti necessario nessun attestato di cucina. Gli ingredienti fondamentali sono due: predilezione per il buon cibo italiano e propensione all’ospitalità. È vero pure, però, che il motivo “economico” non è secondario sia per i “cooker” che per i “fooders”. Per questi ultimi crediamo che gli Italian Home Restaurants possano essere anche un buon modo per provare piatti nuovi vivendo un’esperienza unica, a prezzi modici, potendo scegliere personalmente i menu locali proposti, includendo anche la possibilità di partecipare in prima persona alla creazione dei piatti stessi insieme ai cuochi”.

Ci sono limiti burocratici e legislativi per chi decide di aderire alla piattaforma?

“Di nodi burocratici non ce ne sono fin quando il proprietario di un home restaurant guadagna una cifra non superiore ai 5mila euro. E non c’è la necessità di fare una dichiarazione, secondo le leggi del 2008 che regolano il lavoro domestico. Non essendo una vera e propria attività commerciale, ad oggi, i pranzi e le cene che si svolgeranno nelle case degli home fooders saranno da considerarsi eventi tra privati, in locali privati ovvero non aperti al pubblico, pertanto saranno accomunabili ad un evento organizzato con gli amici semplicemente sfruttando le potenzialità offerte dalla piattaforma web che, come una  piazza virtuale, metterà in contatto persone che desiderino condividere convivialmente  un pasto diverso dalla routine. Chi organizzerà un pranzo o una cena, quindi, come ovvio, dovrà primariamente rispettare quelle che sono le norme in campo sia igienico sanitario sia di sicurezza dei luoghi dettate più dal buon senso e dalla normale diligenza che da previsione o adempimenti normativi. Per tutelare invece i “cooker” della community, stiamo valutando la possibilità di proporre dei pacchetti assicurativi ad hoc, a prezzi assolutamente vantaggiosi”.

Giulia Di Stefano

L'Autore

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