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Gianni Rodari

G. Ansalone a FQ: “Vi racconto cosa sta accadendo in Libia”

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Imperversa il dibattito politico sulla Libia: il Presidente del Consiglio Renzi attutisce le fughe in avanti del ‘suo’ Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silverj e dichiara: “Occorre saggezza e senso della situazione”. Questa posizione meno interventista serve a gettare acqua sul fuoco e a prendere tempo. Ma non troppo. Gianluca Ansalone, autore di numerose opere sulla sicurezza e l’intelligence, docente di Geopolitica alla Sioi, già consulente per gli Affari della Sicurezza della Presidenza della Repubblica, è l’interlocutore ideale per raccogliere riflessioni e risposte su una situazione alle porte di casa.

Pare prevalere un iperattivismo, in termini di dichiarazioni, rispetto alla situazione libica sempre più in via di degenerazione e che sentiamo incombente. Quattro anni fa, i nostri servizi segreti non avevano messo in guardia i politici circa la rischiosità della cacciata del dittatore libico?

Gianluca Ansalone

Gianluca Ansalone

Il ruolo dell’intelligence è quello di raccogliere sul campo e analizzare le informazioni, sì da essere di supporto alle decisioni dei nostri governanti. Essa deve reperire l’insieme di scenari, analisi, correlazioni, facendo presenti rischi e opportunità. Poi, l’ultima parola passa a qualcun altro, a chi ha il ruolo di prendere le decisioni. Insomma, è la politica che decide.

Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio, avrebbe preferito che Gheddafi fosse tutelato. A distanza di anni, possiamo dire che aveva ragione?

La storia traccia cicli ineluttabili; non c’era possibilità di annullare, o perlomeno rallentare, un processo che aveva un palcoscenico così ampio e non si limitava alla sola Libia. Era impossibile salvare Gheddafi, stritolato da una reazione a catena che non riguardato lui solo, ma anche altri autocrati dell’area, e che aveva radici ben più profonde e travolgenti. Vi è stato un intreccio con i moti di piazza che hanno infiammato tutta l’area, attuandosi un processo di scomposizione e di ricomposizione geopolitica. Grazie a tale meccanismo, le dittature si sono dimostrate non più compatibili al ritorno in superficie di sensibilità fino ad allora sopite, come quelle religiose o etniche. E’ questo che ha causato un vero e proprio strike dei dittatori.

Mubarak, però, non ha subito la stessa sorte di Gheddafi. Malgrado la ribellione, è riuscito a rimanere vivo e a subire un processo non belluino.

Certo, questo meccanismo si è sostanziato in maniera differente, a seconda degli Stati coinvolti. Nei riguardi di Mubarak, poi, in Italia, c’era meno compartecipazione perché il suo ‘regime’ lambiva meno i nostri interessi, rispetto a Gheddafi ed a tutto il ‘passato’ dei nostri rapporti con la Libia. Ripeto, la reazione a catena rispetto a Gheddafi s’era innescata e dunque, non era possibile per lui trovare un escamotage per escogitare una soluzione salvifica. In quel contesto, chi gli avrebbe dato rifugio? E, poi, occorre tener conto del suo temperamento volitivo, temerario. Non usava il tasto della retorica quando diceva che non sarebbe mai scappato dalla Libia, a costo di essere ucciso.

E’, invece, retorico parlare di pericolo Isis in Italia?

Certo la situazione non va sottovalutata. E’ la prima volta da quando Gheddafi lanciò un attacco missilistico con due SS – 1 Scud contro Lampedusa, il 15 aprile 1986, che ci troviamo di fronte alla seria minaccia di un’aggressione militare diretta. E c’è un’aggravante preoccupante: allora ci trovavamo di fronte ad attori ‘simmetrici’, cioè il confronto era fra Stati ‘sovrani’, dunque le trattative potevano – pur tenendo conto della peculiarità di Gheddafi – essere condotte con una certa razionalità. Oggi che l’avversario è irrazionale e assetato di azioni dimostrative per accrescere l’aura di terrore che lo circonda, si accresce la possibilità di essere esposti alla minaccia.

Quindi è uno stato d’allerta…

Non esageriamo neanche a immaginare che domani mattina ci troviamo a dover fronteggiare un’aggressione militare. Probabilmente, l’Isis non dispone di quei mezzi militari sofisticati necessari ad andare all’attacco; comunque, costituisce un buco nero, un’incognita da cui può arrivare qualsiasi cosa. Bisogna riflettere, però, su una circostanza: più tempo facciamo passare senza trovare una soluzione che lo scompagini, più è probabile che questi gruppi si cementino sotto un’unica bandiera, quella nera dell’Isis, con l’unico obiettivo di colpire anche simbolicamente l’Italia. Anzi, secondo la loro irrazionale razionalità, l’Italia costituisce di per sé stessa un simbolo, allorché si parla di Libia, a cominciare dai rapporti che affondano nella storia. Un fatto è fondamentale: molti dei nuovi affiliati all’Isis in Libia sono ex gerarchi gheddafiani, che ci considerano comunque responsabili del crollo del proprio benessere e della propria posizione verticistica, oltre che della caduta del loro capo. In più, a Roma il Vaticano costituisce un bersaglio ricorrente nella loro propaganda e non va dimenticata la vicinanza geografica.

Anche gli immigrati costituiscono un potenziale pericolo? Fra la Meloni e Salvini, ieri è stato tutto un mantra contro gli sbarchi.

GheddafiSiamo storicamente una piattaforma di passaggio per l’immigrazione, più o meno clandestina. Il terrorismo ci usa come piattaforma logistica, non come obiettivo, com’è stato dimostrato anche nella vicenda della strage al Charlie Hebdo. Ad esempio, nell’attentato del 2008 a Mumbai, le tessere telefoniche internazionali utilizzate dai terroristi per comunicare fra loro risultarono essere state acquistate da un pachistano residente a Brescia. L’Italia ha una posizione geografica tale da essere una buona sponda, in queste situazioni.

Torniamo ai nostri servizi segreti. 

Il fatto che, ad oggi, siamo rimasti esenti da grandi attentati che, invece, ci sono stati a Londra, Parigi, Madrid, a mio avviso dipende da due ordini di fattori: innanzitutto, dipende da una immigrazione che, per quanto gli allarmisti ci speculino, rimane contenuta nel numero. Centomila sbarchi in anni di punta come il 2014 rappresentano una bazzecola rispetto ai 3 milioni di immigrati l’anno che arrivano in Germania; persino in Spagna ne arrivano molti di più! Inoltre l’Italia è un Paese di transito: altre sono le mete di chi approda da noi unicamente per la posizione geografica ideale che fa da ponte per l’Europa. Gli allarmi di Salvini e Co. sono pura demagogia. C’è comunque da tenere in conto che le organizzazioni criminali hanno sviluppato, nel campo della tratta degli esseri umani, un sistema ‘economico’ vero e proprio, che porta nelle loro casse, secondo recenti dati Onu, 10 miliardi di euro l’anno.

Hanno una presenza capillare che conduce dal Corno d’Africa i disperati attraverso 4 Paesi, fino alla Libia, dove ci sono gli imbarchi. Se il natante riesce a portare i clandestini fino in Italia, senza incrementare il Cimitero Mediterraneo, quelle stesse organizzazioni, diffuse in Italia come neanche lo immaginiamo, si occupano di far raggiungere la loro meta – fuori dall’Italia – i loro ‘clienti/schiavi’. Di pari significato, però, nella ‘protezione’ dell’Italia dalle minacce jihadiste, è il fatto che la nostra intelligence è di alta caratura. Sui temi del terrorismo ha sviluppato in particolare due capacità: quella, affinata – purtroppo – negli anni del terrorismo anche interno, di analisi dei fenomeni di questa portata; lo sviluppo di una rete consolidata e di grande esperienza nell’area nord-africana e medio-orientale. Le mappature ci sono, e abbastanza precise. Manca una volontà politica: in questo caso deve avere un orizzonte europeo; l’Italia può ben poco, da sola.

Dunque, è la politica a rappresentare il tallone d’Achille, tale da diventare un boomerang contro l’Isis?

Ripeto, nessun Paese da solo può fare alcunché; sarebbe una lotta asimmetrica e le minacce sono globali; l’Italia è solo il primo bersaglio, a portata di mano. E’ la comunità internazionale, in particolare europea, che deve coagularsi per opporsi a un’azione di potenziale conquista. Ma, forse, come ha detto il nostro Presidente del Consiglio, è troppo impegnata a parlare di spread per vedere cosa le sta accadendo, giorno dopo giorno, sotto il naso.

Maria Pia Donati

L'Autore

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