«Lei sogna di ..far tredici? » Ma lo farà sicuro!

Gianni Rodari

Sull’altopiano irpino lo Sponz Festival di Vinicio Capossela

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capossela 1La luna qui invade tutto. È l’altopiano irpino, quello che segna e separa la Campania, dalla Puglia e dalla Basilicata. È l’occidente filo-ispanico diviso sulla perpendicolare da un oriente più ortodosso che greco. Lo spazio vaga e lo rincorre il pensiero, quindi l’immaginazione. Con i muli e con gli asini si può rimanere per ore a ruminare parole, forse perché il suono qui si produce diversamente che altrove ed è puro piacere, otium alla quinta essenza. Il problema è che da queste parti è facile scoprirsi illimitati e indefiniti e può essere una scoperta che brucia sulla pelle, specialmente per coloro che non sono ancora abituati a questo perenne vagare dell’essenza. Per tutti gli altri invece si aprono le porte dello sponzare, del bagnarsi delle anime di queste terre di tutto ciò che le circonda fino ad essere inzuppate completamente come baccalà. Mentre la luna copre tutto e attraversa tutto. Illumina senza fare luce e adombra senza intorbidire le forme che si muovono per migrazioni improvvise. Sotto restano costanti gli echi di musiche sommerse che escono dalle buone ‘balere’ ad aria aperta dello Sponz Fest di Vinicio Capossela. E zitto, ammutolisce il mare contro i ragli di luna dei muli.

La sbornia migliore che si può prendere è sbornia di gente, di facce animate di rughe e di occhi che ti restano a guardare cercando di intuire la tua esatta direzione. Ammesso che di direzione esatta i passanti ne abbiamo una. Perché qui davvero e più che mai, il viaggio non è la destinazione da raggiungere, ma l’andare. E l’andare mescolando e mescolandosi. Come quei suoni di tamburi e percussioni che arrivano dalle tarante che improvvise scoppiano a rispondere al richiamo della luna da ogni perimetro concepibile qui nei dintorni. Perché ovunque si può trovare un proprio baricentro. E tarantellando si procede avanti di paese in paese. Di borgo in borgo. Di porta in porta. Perché ogni uscio è un mondo da raccontare ed un universo di suoni che chiedono solo di avere un padiglione auricolare all’interno del quale dipanarsi ed un’anima dentro la quale espandersi magnificamente. È l’arte del racconto, quello che fa restare vivi tutti, anche coloro che già se ne sono andati. E si migra anche tra generazioni e da una vita all’altra. La ‘resurrezione’ qui è pura allegoria di questo oceano incontrastato di suoni ed emozioni, di facce e di ricordi, di anatemi e di parodie. Ed è un salto logico assoluto allo stesso tempo. Prima, qui nell’hic et nunc, c’è l’immortalità dell’anima e l’anima immortale che si va a sponzare con tutto ciò che di umano e ancestralmente divino risiede da queste parti. Per la resurrezione definitiva c’è tempo! In fondo anche il baccalà per sponzarsi per bene deve stare tre giorni in ammollo.

Andretta, altopiano del Formicoso, Aquilonia, Calitri, Conza e la vecchia stazione dei treni di Conza-Andretta-caposselaCairano. Sono tutti luoghi di passaggio, tappe di questa marcia della speranza da celebrare al ritmo dei baccanali del luogo, quelle che a Calitri sono le ‘cumversazioni’, serate in stile dionisiaco in cui vino, cibo, racconti e canti, sirene, balene, maestri e musicanti riescono a convivere in un unico fiume. Luoghi dell’immaginario e di una prosa onomatopeica tutta da inventare collettivamente. In sette giorni, quelli della creazione, quelli della settimana che si comincia celebrando la festa, si continua lavorando tutti insieme e poi si finisce tornando insieme a celebrare la festa. Quelli del raccolto da passare alla trebbiatrice per separare il buono dall’inutile. Una festa da celebrare tra 24 e 30 agosto per la precisione, i giorni migliori per sponzare e per attraversare queste terre di sabbia lontana. In carovane di asini e muli che lambiscono i paesi della valle intorno a Cairano, il mitico ‘paese dei coppoloni’, quello dei siensi ritrovati alle radici di un plenilunio che inverte tutto. Un viaggio tracciato da una trebbiatrice volante che si posa solo dove si può aprire un varco a musiche e musicanti, fino a spiccare il volo finale verso la luna, liberando i siensi, i germi del senno, una volta per tutte. E per ricominciare ogni volta da capo, con quella luna gigante che genera tutto e conserva tutto allo stesso tempo.

Fino alla nozze di argento con la musica che Vinicio Capossela, maestro musicante per eccellenza di questa magnificenza tutta peregrinante e danzante, celebrerà il 29 agosto, complice il plenilunio, sotto quella rupe stregata di Cairano, suonando dal tramonto all’alba per cadere sponzato insieme ai suoi compagni di viaggio: Psarantonis (Grecia), Los TexManiacs ( Texas), King Neat Veliov & The Real Kocani Orkestar (Macedonia), Howe Gelb ( Arizona) Banda della Posta (Ita), Mariachi Mezcal (Messico/Spagna), sezione giovanile Banda Città di Calitri, Cicc’ Bennet’, Asso Stefana, Zeno De Rossi. Sotto quella rupe, in una sorta di girotondo misteriosamente ispirato, ci scopriremo tutti più nomadi che sedentari. E come dice lo stesso Capossela: “Nomadi di breve corso, ma nomadi, in una sacca di tempo al riparo del tempo. Il tempo del mito, il tempo del racconto è un tempo fermo, che si sottrae al tempo del lavoro che tutto consuma e divora”. Perché per qualche giorno il tempo si può anche fermare e si può anche provare a celebrarlo restandolo a guardare, magari danzandogli intorno, senza che sia lui coma al solito a guardare noi. Sotto la luna, che qui invade tutto. E sotto la guida sapiente del volo di una trebbiatrice che mescola arti e mestieri, segreti e misteri, caravelle e carovane, amori e passioni di queste terre la cui scoperta però non finirà mai in sette giorni. In abbondanza!

Marco Bennici

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