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Pietro Barilla

Guareschi, le foibe e l’improbabile ‘ignoranza’

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GuareschiChissà cosa scriverebbe oggi Giovannino Guareschi sul concetto tanto in voga di “pacificazione nazionale” per Foibe ed Esodo. Mi chiedo con quale unica ironia il giornalista e vignettista avrebbe commentato le dichiarazioni (risalenti a circa un anno fa) rilasciate da Achille Occhetto, già segretario del Pci e poi dei Ds, circa il fatto che sino al 1989 non fu a conoscenza degli eccidi. E non sembra casuale che, proprio l’anno scorso, in occasione del primo Decennale dall’istituzione della Legge del Ricordo per le vittime delle foibe ed il conseguente esodo giuliano-dalmata, sia ritornato alle stampe il “Candido”, sotto la guida di Alessio Di Mauro, uno dei pochissimi giornali che sin dal 1945, anno della nascita, grazie al coraggio del suo ideatore e direttore denunciò le terribili vicende del nostro Confine Orientale.

La storia che si voleva cancellare

Ma torniamo alle Foibe perché, ancora oggi, solo un italiano su cinque conosce correttamente la drammatica storia: quella di migliaia di connazionali lasciati precipitare nelle inquietanti cavità rocciose delle terre del Carso. Troppi esseri umani finiti, dunque, non solo fisicamente, ma anche idealmente nell’abisso della dimenticanza per la sola “colpa” di essere italiani in una “terra di confine”. E di aver perso la guerra. Alla fine del secondo conflitto mondiale Trieste, l’Istria, Fiume e la Dalmazia (allora territori italiani) vissero una ulteriore tragedia: la “liberazione” avvenne per opera dell’esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito. A causa della volontà di porre in essere nei loro confronti una vera e propria pulizia etnica, 350.000 connazionali dovettero scappare ed abbandonare tutto. E per “incentivarli” a fare ciò, migliaia furono gettati legati con fili di ferro ai polsi, spesso vivi, nelle foibe e molti morirono di stenti nei campi di concentramento. La “scusa” era quella di giustiziare i nemici fascisti, in realtà sparirono decine di migliaia di civili. Trieste, dopo aver subito più di un mese di occupazione jugoslava, visse per nove anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato. Solo nell’ottobre del 1954 l’Italia prese il pieno controllo della città, lasciando però l’Istria all’amministrazione di Tito.

Le denunce di Guareschi

Guareschi documentò in tempo quasi reale, attraverso il “Candido”, quello che accadeva in “Titizia”. Lo fece grazie alle notizie dei bollettini, dei quotidiani e delle accorate e strazianti lettere inviategli proprio dai lettori del settimanale. Nella rubrica “Giro d’Italia” propose dichiarazioni impubblicabili altrove nell’aprile del 1946, come quella della vecchietta di Trieste: “Ho ottant’anni, sono vecchia, povera e malata, mi hanno offerto diecimila lire per esporre alle mie finestre una bandiera slava. Ho rifiutato perché preferisco continuare a raccogliere stracci e carta piuttosto che vendere la mia fede…”. O ancora testimoniò, nella feroce “Cronachetta rosa”, l’assassinio di un bambino di otto anni che indossava una coccarda tricolore. Si scagliò contro Palmiro Togliatti, completamente asservito agli interessi del comunismo internazionale anziché a quelli nazionali, ma anche contro il comportamento poco incisivo di Alcide De Gasperi, braccio di quegli Alleati che vedevano in Tito l’unico argine a Stalin. Di questi giochi diplomatici pagarono solo e soltanto i nostri fratelli istriani, fiumani e dalmati.

Tutto il mondo sapeva

Ma i meriti di Giovannino vanno ben oltre la cruda cronaca. Egli con la sua opera ci dimostra che tutto il mondo sapeva, tanto da citare articoli di testate internazionali nei quali si fa riferimento Guareschialle violenze già nel 1946. Riportò, poi, dei macabri rinvenimenti. La sua penna trascrisse con passione e lucidità quanto pagammo per essere i perdenti e come fummo trattati realmente al Congresso di Pace. Nel 2015 è più che mai importante ricostruire questo lavoro sistematico di denuncia, alla luce di una tanto pubblicizzata “memoria condivisa” che mai ci potrà essere, almeno fino a quando non sarà fatta piena luce sulle colpe e sulle vicende inabissate. Perché i morti insepolti delle foibe gridano tutt’oggi Giustizia e gli esuli, come me, pretendono Verità. “Fratelli Morti – scrisse Guareschi per il film “La Rabbia” – voi ci indicate da lassù la strada giusta che è quella del dovere e del sacrificio, e ci aiuterete a risolvere il problema più urgente (…). Perché, nonostante Mao, Kruscev e gli altri guai, vale ancora la pena di viverci su questo pianeta (…). E in noi è ancora più forte la speranza che la paura (…)”. E certamente vale la pena anche oggi di viverlo, questo mondo, nonostante gli sforzi dei diversi Occhetto&co in circolazione.

Carla Cace

L'Autore

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