La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Il futuro in sala operatoria, è un robot di nome Zeus

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Il futuro in sala operatoria è un robot di nome Zeus

Il futuro è arrivato in sala operatoria. E’ un robot, che porta un  nome antico. Si chiama Zeus, proprio come il padre di tutte le divinità dell’Olimpo, e si sta rivelando un vero e proprio maestro del bisturi. Migliora di giorno in giorno ed è già diventato il più bravo e meticoloso tra gli assistenti di Mehran Anvari, medico dell’ospedale St. Joseph di Hamilton, in Canada, direttore scientifico e Ceo del Centre for Surgical Invention & Innovation e collaboratore agli inizi del duemila delle Agenzie spaziali canadese e americana.

Con Zeus Anvari  lavora in tandem,  ha già effettuato con successo una ventina di interventi basic, come appedicitectomie e operazioni di ernia  o resecazioni. Ma il vero miracolo è che mentre il robot opera sul paziente, il dottore se ne sta a 400 chilometri di distanza, davanti a una consolle e a un computer, a guidare da remote il  suo incredibile deus ex machina dei nostri giorni.

Il chirurgo può operare standosene anche a 400 km di distanza dal paziente 

Fantascienza, fino a poco tempo fa. Oggi, invece, già ci si interroga, sulla possibilità di trasformare questo tipo di performance in routine, anche per poter consentire ai pazienti di non affrontare viaggi magari troppo lunghi. Stiamo entrando insomma a pieno titolo nell’era della smart surgery, l’ultima frontiera della robotica, frutto di studi e ricerche cominciate negli anni Sessanta-Settanta in coincidenza con l’inizio dell’avventura dell’uomo nello spazio.  Nasa ed esercito americano da quel momento non hanno mai smesso di lavorare a questo incredibile sogno. Un sogno  che oggi è diventato realtà. Anvari  sperimentò il prototipo di Zeus nel 2006, eseguendo a una certa distanza alcuni punti di sutura su un paziente che viveva in mezzo all’oceano, nella base sottomarina Aquarius. E da allora non si è mai fermato. E’ andato avanti, avanti, perfezionando la sua creatura, fino a riportare una vittoria straordinaria, battendo le frontiere del tempo e dello spazio. Incidere un corpo umano, usando il braccio meccanico di un robot, mentre stai magari dall’altra parte del mondo, non è proprio semplice.

Così vicini. Così lontani

Non è assolutamente la stessa cosa che condividere la stanza del paziente e del robot, come si fa già in molti ospedali del mondo. Racconta lo scienziato canadese che quando opera insieme a  Zeus a distanza diventa tutt’uno con lui. “Le mie mani mani sono le sue”, dice. “ Lo stesso i miei occhi e la mia voce che dà ordine agli infermieri”. Anvari diventa Zeus. Insieme un solo grande dottore-dio. Così vicini, eppure lontani. Lontani nello spazio, ma vicini nel tempo. A separarli soltanto pochi millesimi di secondo, quelli che il lag time crea inevitabilmente. L’ultima sfida da vincere. La sfida più grande, prima del prossimo passo, quello che ancora ci appare impossibile. Mandare Zeus a operare in una sala chirurgica su Marte e guidarlo, da qui. Dalla Terra. A una sola condizione, che vale oggi in Canada e domani sul pianeta rosso. E cioè che il paziente-cavia firmi il consenso.

Ildegarda Seaman

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