Quello che mi chiedi? Io ne sono all’altezza, ma mi devi pagare! Dar voce a qualcosa significa esprimere una istanza interna a lungo riposta. Per fare questo occorre la convinzione che quella istanza sia giusta e legittima. Ne occorre insomma la forza. Se manca questa forza anche la voce si rompe. E se non si rompe – tradisce, e se non tradisce è completamente assente. Perché gli insegnanti hanno gridato nei recenti scioperi la loro rabbia contro la valutazione del merito e sono stati completamente afoni rispetto a una qualificata e dignitosa retribuzione economica per tutti (come avviene nei paesi socialmente più evoluti)? Perché la recente riforma è stata pluri-contestata particolarmente per il potenziamento del potere del dirigente scolastico e non per il bonus annuale per i più meritevoli, destinato a un misero 5% della totalità dei docenti? Il che è come avallare l’idea che la prima istituzione pubblica per l’educazione dei futuri cittadini dello stato dia per scontato che il 95% dei docenti sia mediocre. E che pertanto può accontentarsi di uno stipendio di fame essendo pienamente consapevole della propria scadente professionalità. Per fare chiarezza sulla situazione di degrado in cui versa la scuola, bisogna seguire l’avvicendamento delle sorti della didattica e fare due passi indietro nel tempo per rispolverare i due motori legislativi che hanno operato dagli anni ’70 in poi un cambiamento radicale dell’impianto formativo del nostro sistema scolastico: i Decreti Delegati del ’74 e la Legge Bassanini relativa al funzionamento amministrativo dello stato (Marzo 1997). Mentre i Decreti Delegati tentavano – senza riuscirci – di fare entrare la democrazia nelle scuola con la nascita degli organi collegiali e una nuova figura di preside quale pro-motore e coordinatore della didattica, la Legge Bassanini – seguita da madornali equivoci di interpretazione e applicazione – mirava alla nascita dell’autonomia scolastica con il preside nelle vesti di manager, che non avrà più tempo di occuparsi della didattica. Sopraffatto dal nuovo impegno dirigenziale alla guida dell’autonomia scolastica si vedrà investito della responsabilità dell’eventuale successo o insuccesso della scuola affidatagli.
In effetti per accaparrarsi alunni o forse per non perderli, insomma per sconfiggere la concorrenza, egli finirà piano piano per lasciare spazio alla deriva sotterranea della logica di mercato, scimmiottando sempre più il modello aziendale senza però rispondere più a nessuna verifica di qualità dell’apprendimento dei suoi alunni. Il risultato? Sarà la singola scuola stessa a stabilire i parametri di qualità, coprendosi gli occhi e promuovendo a più non posso. Insomma come sempre si ripete nella realtà italiana, l’eccellenza di una legislazione altamente illuminata e consona ai cambiamenti culturali della società (i Decreti Delegati), attraverso una successione interminabile di distorte interpretazioni, accomodamenti e compromessi per accontentare tutti e non soddisfare nessuno, finisce nel degrado e nella confusione organizzativa più totale, al punto che non ci è dato più di riconoscere di chi è figlio il disastro in cui ci troviamo tutti insieme a piangere. Le storture che da lì in poi ci portiamo dietro sono sotto gli occhi di tutti: la mancata o scorretta comprensione del concetto di democrazia come partecipazione attiva alla vita scolastica della componente genitori (la collaborazione dei genitori con i docenti alla costruzione di un progetto di vita dei propri figli) trasformerà in breve quella che doveva essere una risorsa in una interferenza (i genitori si sentiranno in pieno diritto di opporsi per principio al lavoro dei docenti); così la mancata condivisione delle inevitabili problematiche emergenti nel sistema sfocerà in breve tempo nello scaricabarile ad libitum delle responsabilità e renderà la scuola terra di nessuno, a discapito della sua funzione principe, quella della educazione dei futuri cittadini. In tutto questo che posto occupa la qualità della didattica nell’economia del sistema? Che ne è del reale apprendimento degli alunni? Esso è lasciato alla competenza personale, alla dignità e in particolare alla responsabilità individuale del docente. Oppure è completamente disatteso e messo sotto i piedi dal disimpegno motivazionale della categoria, spesso ammantato da un fantomatico diritto alla libertà di insegnamento. Diritto sacrosanto e fondamentale, per carità, ascrivibile ai dettami principali della nostra carta costituzionale. Ma nei fatti? Chi non ha abitato la scuola non può aver visto il disimpegno nascondersi spesso dietro il diritto della libertà di insegnamento.
Chi ci è vissuto non può tacerlo (quel disimpegno) in nome di falsi valori ideologici di solidarietà di categoria. Allora perché gridare allo scandalo quando si tenta di porre mano alla riqualificazione del lavoro dei docenti dando a cesare quel che è di cesare? Sappiamo tutti che se alcune scuole resistono ancora sull’orlo dell’abisso, ciò è dovuto essenzialmente alla capacità e alla buona volontà di quei docenti che mettono ancora volontariamente – indipendentemente dalla qualità del sistema in cui operano – la loro passione e la loro professionalità in un lavoro durissimo, fatto di mille impegni trasversali a quello della classe. Senza alcun riconoscimento ufficiale, istituzionale e sociale. Perché dunque la classe insegnante tutta non lotta con determinazione nella direzione di veder riconosciute sotto il profilo economico le sue qualità? Perché fa sempre una lotta al ribasso e invece di rivendicare i suoi punti di forza finisce sempre per rivendicare l’appiattimento della categoria sotto la soglia del pressapochismo e del tiriamo a campare? L’ultimo tentativo di mettere mano alla qualità della didattica e al merito dei docenti fu fatto dal Ministro Berlinguer che gli costò la poltrona per i quiz del Concorsone (A.s. 1999-2000). A dire il vero se lo meritò. Non poteva inventarsi un modo peggiore per misurare la competenza professionale di un docente. Ma questa volta? Dove sta il perché del pluri-bombardamento pressoché unanime dell’attuale Riforma? Stiamo per caso assistendo ancora una volta a un dejavu di un tabu intoccabile? Il merito? O forse è qualcos’altro che muove il motore sindacale. Perché ci si impunta, come si stanno impuntando i sindacati all’unisono, sulla “ridefinizione del ruolo del dirigente scolastico cui spetta sì autorevolezza ma senza coloriture dittatoriali in merito all’individuazione dei meritevoli” e non si sollecitano i docenti a puntare alla più alta valorizzazione delle risorse umane e alla sua adeguata retribuzione? In nome “del principio costituzionale di libertà di insegnamento, che verrebbe oscurato, se non cancellato per la creazione del ruolo subalterno e secondario del Collegio dei Docenti”? Tutto ciò non regge.
Chi ha letto attentamente la riforma sa bene che tutto questo non è vero e che non si mortifica nessuna libertà di insegnamento per il depotenziamento degli organi collegiali.. Anzi i loro ruoli si potenzieranno (se non si lasceranno deperire per mancata o scarsa partecipazione come è successo negli anni) quando ad animarli saranno soggetti altamente motivati, competenti e consapevoli della loro forza e del loro ruolo. La rivendicazione sindacale non regge. Non regge anche perché siamo ormai scafati a questo tipo di strumentalizzazione. Invocare con finalità non autenticamente democratiche i principi democratici unicamente per sedurre l’uditorio appartiene a una certa ipocrisia politica che fa volutamente un uso distorto della democrazia come strumento di immobilismo. E i docenti ci sono cascati in blocco. Un amico mi ha suggerito un’ipotesi interpretativa molto suggestiva. Quante probabilità ci sono – mi ha detto con un triste accenno di sorriso – che la discesa in campo dei confederali (soprattutto la cgil) in difesa dello status-quo contro la riforma non sia il tentativo della minoranza dissenziente pd e dell’opposizione da sx di bloccare il governo per via indiretta? Insomma, quello che la minoranza arrabbiata e frustrata dall’operatività del governo non è riuscita a fare su altri temi (Riforma del lavoro, Legge Elettorale, etc.), non avendone le forze, avrebbe tentato di farlo su un piano completamente diverso, usando la leva dell’insoddisfazione cronica della classe insegnante (in genere vicina politicamente) e falsificandone la voce. E il tutto a sua insaputa e mortificazione. L’unica vera voce legittimata ad uno sciopero ad oltranza da parte dei docenti esclusivamente per i docenti sarebbe stata: quello che mi chiedi? Io ne sono all’altezza, ma mi devi pagare… e pagare bene! In caso contrario smettila una volta per sempre di fare dichiarazioni solenni intorno all’importanza di una scuola efficiente (la tua buona scuola) per la formazione dei futuri cittadini e per la crescita del paese.
Nicola Corrado
3 commenti
L’articolo del professore Nicola Corrado è frutto di una mirabile sintesi di riflessioni pedagogiche e di considerazioni “politiche” entrambe utili, se colte nella loro profonda essenza, a porre le basi per la costruzione di una ipotetica scuola del futuro, in cui la pedagogia figuri – lo si spera vivamente – non più, come spesso accade, un “effetto collaterale” conseguente alle frequenti “iniezioni” di “saperi” disciplinari somministrate dal corpo docente al “corpo discente”, bensì quale autentica azione “ministeriale”, articolata su misura di ogni singolo allievo, improntata all’ascolto e finalizzata a promuovere nell’essere umano l’attitudine ad una riflessione su di sé, sui mondi di vita, anche “politici”, in cui si è inseriti e sui “dispositivi sociali” che ne costituiscono la “trama” nascosta. Al di là degli aspetti più tecnici, l’articolo di Nicola, se compreso nelle sue latenti interconnessioni, rappresenta, come altri suoi scritti, un passo avanti per la costruzione di una pedagogia “animante” e “riflessiva”, fondata sui sani principi dell’ascolto e del silenzio quali paradigmi fondanti la relazione educativa.
A parte la sottolineatura dell’azione pedagogica improntata all’ascolto e alla riflessione dell’allievo su di sè per una costruzione dei saperi dal basso in una futura idea di scuola, ringrazio l’acuto commentatore dell’articolo, il dott. Pistillo, per la sua geniale percezione della “trama nascosta” e la sollecitazione dell’attenzione del lettore alle latenti interconnessioni fondanti la relazione educativa, la quale richiede impegno e professionalità particolari, che normalmente non siamo più abituati nel nostro immaginario ad attribuire alla figura del docente.
Condivido in pieno il pensiero del professore Corrado.. sono una docente di scuola primaria e mi sono posta innumerevoli volte gli stessi interrogativi.
Quello che lascia di stucco non è certo il libero pensiero di ogni individuo, quanto la sua distorsione, la maschera che preferisce indossare il personale della scuola, unitamente ai sindacati di categoria, cercando di nascondere una realtà che temono da sempre di affrontare..sarebbe stato dignitoso esprimere: ” Siamo contrari ad un sistema di valutazione”, avremmo di certo non condiviso, ma rispettato le idee altrui, invece in questi termini no, non lo accettiamo.
Ciò che risulta aberrante è la sapiente tessitura delle trame di coloro che usano le realtà dei precari, dei ricorsisti, indossando l’ abito dei ” supereroi”, di chi ha la verità in tasca: un quadro alquanto deludente, inducendo parte dei docenti ad abboccare; molti altri sono talmente abituati ad ” interpretare” le normative tanto da non distinguerne ormai la realtà dalla finzione.. .
Alle colorite considerazioni sui presunti “superpoteri dei ds”, ho sempre controbattuto con la seguente domanda: ” Se fossero tali, quali sono i criteri, “costituzionali, non discrezionali e meritocratici” posti in essere dal collegio”? Ad oggi non sono riuscita ad ottenere risposta.
L’ articolo del prof Corrado pone un’ interessante riflessione, dando voce a quei docenti che, alle urla in piazza, rispondono ogni giorno cercando di svolgere con passione, spirito creativo il proprio lavoro, perchè la ” libertà d’insegnamento” non costituisce uno scudo per far ciò che si vuole, dovrebbe rappresentare invece un’ occasione per valorizzare le “singole partiture scolastiche” mediante un impiego consapevole delle “linee melodiche costituenti”, traducendo la libertà d’ insegnamento in varietà di approcci educativi, inclusivi, innovativi..nessuno vorrebbe eliminare la democrazia, lo spirito di squadra ma..” la mancata voce nello sciopero dei docenti” non può non porre una legittima riflessione sulla dinamica delle regole del gioco..