Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

LA NOSTRA AMBIVALENZA NEI CONFRONTI DELLA SCUOLA

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Esiste un’ambivalenza notevolmente diffusa – nel sentire comune e di conseguenza nella politica italiana – nei confronti della scuola, che finisce per condizionare inevitabilmente l’atteggiamento di fondo con cui i governi di turno guardano ad essa. La scarsa considerazione di cui soffre la scuola italiana – con gravi ripercussioni sulla salute morale e intellettuale del nostro Paese – è figlia di questa ambivalenza. A parole si sbandiera tutto il bene che si può immaginare per questa (vedi la bontà della nostra legislazione scolastica), nei fatti poi la si tratta come una cenerentola. E’ un sentimento di doppiezza sul quale bisogna fare chiarezza, se non si vuole che inavvertitamente continuino a scattare sotterranee complicità con chi si lascia andare inconsciamente alla svalutazione della scuola, e non solo nella classe politica.

La funzione scolastica nella società odierna

scuola_lavagnaPrendo a prestito un passo di chi riesce a raccontare la scuola dei nostri tempi in modo accattivante e simpatico. E’ un passo di un libro di qualche anno fa, dal titolo “Il rosso e il blù” di Marco Lodoli, insegnante e poi scrittore. Sebbene mi piaccia molto il modo di raccontare la scuola italiana del collega Lodoli, ho sentito anche in alcune sue pagine l’eco di questa ambivalenza. Il tema a cui mi riferisco in particolare è la funzione educativa della scuola nella società avanzata del post-moderno – rapportata agli interrogativi di un’alunna del prof Lodoli su problemi sociali alquanto scottanti del mondo giovanile odierno – l’identità dell’individuo e la ineluttabilità dello sviluppo economico illimitato a cui è condannato il nostro mondo occidentale. Lodoli racconta con particolare maestria l’incalzare delle argomentazioni della ragazzina che vuole affermare una tesi (noi giovani non abbiamo nessuna speranza di distinguerci, di sviluppare una nostra personale identità, possiamo solo comprarci delle mutande D&G uguali a quelle degli altri, noi siamo la massa informe), alla quale egli non sa dare una risposta soddisfacente (il che non sarebbe un male in assoluto sia nella sua realtà di docente che nella finzione narrativa).

Il vero problema è che il prof rimane così disarmato di fronte alle serrate argomentazioni della sua studentessa, che finisce per avallarle e addirittura condividerle suo malgrado. In breve diventa complice della ragazzina, non so quanto nella realtà e/o nella finzione narrativa. Poco importa. “(…) Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso” – scrive Lodoli. – “Ho protestato, ho ribattuto che non è assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni; amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Ho protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più convincenti, gli esempi più calzanti, ma capivo che non riuscivo a convincerla. Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me stesso. (…)”

La scuola, laboratorio di pensiero critico

E’ qui, in questa sottaciuta resa al ragionamento della sua studentessa, che scatta in me il dissenso. E anche delusione e rabbia nei confronti di questa ambivalenza di fondo, che fa perdere di vista la vera essenza della scuola nella società. La scuola deve essere un laboratorio di pensiero critico, dove si apprende a decodificare la realtà nella più ampia libertà possibile. Punto. La scuola non può aderire ad un pensiero unico. Deve essere attenta ai cambiamenti della società, questo sì, ma li deve leggere, analizzare e aiutare a scorgerne implicazioni nascoste e truffe ideologiche, a comprenderli e a decidere se aderirvi o no. In questo consiste la sua laicità. Di fronte alla ‘pischella’ che inneggia alle mutande di D&G non bisognerebbe arretrare disarmati, né – per contrasto – avanzare come bacchettoni sventolando il vessillo della lirica francescana, nel tentativo di convertirla alla sobrietà o convincerla a tutti i costi che si sbaglia. Bisognerebbe rimanere semplicemente in ascolto del suo disagio. Perché è di disagio che ci sta parlando la ragazzina. Del suo disagio di vivere in questa società, che ha smarrito la capacità di riflettere a forza di inseguire la mitologia del possesso e del godimento illimitato.

Ascoltare il disagio giovanile

esterno_scuolaRimanere in ascolto del disagio dei ragazzi senza farsi spaventare. Far sentire loro che si è in grado di sostenere quel disagio con tranquillità è importantissimo e equivale a infondere in loro un po’di serenità e un tratto di autorevolezza nella propria figura di docente. Significa conquistare la loro fiducia. A queste condizioni si potrà – anche – fare lezione, perfino intrattenerli un’ora sull’Infinito di Leopardi, per quanto possa sembrare a primo acchito palloso, come si dice adesso. Prima o poi si presenterà l’occasione di riprendere il discorso sulle mutande D&G o sulla inesorabilità del Pil, magari passando per Leopardi o Schopenhauer, e allora avrà più senso riflettere tutti insieme sul disagio dell’esistenza, sulle mutande e sul Pil ma un livello un tantino più complesso. Non bisognava invertire la scaletta e utilizzare l’agorà scolastica come laboratorio attivo sul pensiero e solo dopo ricorrere al contributo di Leopardi o Schopenhauer, come suggerivano le buone pratiche didattiche sviluppatesi in anni di lavoro in trincea?

“Lasciare il segno”

Come docente puoi vestire D&G, puoi acquistare l’ultimo scooter alla moda, farti la lampada, apparire fico, ma se hai scelto di fare questo mestiere, forse è perché in fondo amavi anche l’Infinito di Leopardi. E questo deve venire allo scoperto. Questo segno di amore deve attraversare trasversalmente tutta la classe, anche se con le difficoltà che esso presenta. Come ama suggerirci M. Recalcati, in-segnare vuol dire “lasciare il segno”. Significa lasciare testimonianza del cammino fatto per affrontare la complessità del mondo, non la sua stereotipata lettura per luoghi comuni abusati e ritriti. Per fare questo bisogna però uscire dall’ambivalenza che ci attanaglia. Solo così si potrà osservare la scuola con sguardo limpido e rendersi conto che non potrà esserci assolutamente scuola dove si prospettano modelli simmetrici a quello sociale (la cosiddetta scuola-azienda), dove consumismo, scientismo tecnologico e disumanizzazione culturale regnano incontrastati e concorrono – tout court negli occhi dei nostri adolescenti – all’appiattimento, impoverimento e alla banalizzazione brutale della realtà.

Nicola Corrado

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