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Gianni Rodari

PSEUDOCOMPETENZA A SCUOLA? SI COMBATTE CON LA COOPERAZIONE

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Il modo migliore per riuscire a sapere se un alunno ha imparato qualcosa nella scuola è quello di presentargli un problema nuovo e inconsueto. Normalmente infatti gli alunni frequentanti una scuola pensano – anche quelli più in gamba, i cosiddetti primi della classe – di padroneggiare una materia, ma in realtà molto spesso si sbagliano perché se si approfondisce si scopre che non hanno compreso veramente a fondo quello che hanno studiato. Cioè, invitati a farlo, non saprebbero applicare la conoscenza acquisita sui banchi alla soluzione di un problema reale, perché in realtà non sono competenti, ma soltanto pseudocompetenti.

 “Educare a comprendere”

competenzaUn esempio? La fisica classica insegna che gli oggetti si muovono in linea retta finché non interviene una forza esterna che agisca su di essi. Se si mostra loro un tubo curvilineo chiedendo di predire la traiettoria di un oggetto che sia stato spinto a passare attraverso di esso e poi espulso, il 50% degli alunni – secondo statistica – risponderanno che l’oggetto continuerà a muoversi secondo una traiettoria curvilinea anche dopo essere uscito dal tubo. Questo è quanto asserisce Howard Gardner, nel suo famoso libro “Educare a comprendere”, essendo della convinzione che la scuola non riesce a sradicare dalla mente degli alunni quello che hanno imparato nei loro primi anni di vita (attraverso le loro personalissime esperienze senso-motorie, percettive e simboliche). Essi rimarrebbero convinti nel profondo che certi fenomeni avvengono in un determinato modo e farebbero fatica più tardi a comprendere i postulati del sapere formale insegnato a scuola. Il più delle volte acquisirebbero soltanto superficialmente le nozioni impartite – quasi una sorta di apprendimento a memoria che in alcuni casi considerano doveroso in nome del profitto scolastico – ma senza comprenderle veramente.

La soluzione al problema della  pseudocompetenza

Quale potrebbe essere allora la soluzione del problema della pseudocompetenza? Prima di tutto lasciare libero l’alunno di esprimere il suo personale punto di vista su un determinato fenomeno, in quanto sicuramente ne avrà uno – anche se il più incongruo e assurdo di questo mondo. Se non è capace di esprimerlo spontaneamente, incoraggiarlo a farlo, anche con l’aiuto della classe. In tal caso l’insegnante si sta ponendo come un facilitatore del processo di apprendimento. Quindi attraverso la partecipazione attiva e il confronto incentrato sul fare cooperativo, osservare in lui l’emergere di un conflitto tra il suo modo di vedere e la realtà dei fatti (nel caso dell’esempio precedente, l’oggetto che esce dal tubo e assume una traiettoria rettilinea). Sarà proprio questo conflitto (in gergo conflitto cognitivo) la molla che lo spingerà e incoraggerà a vederci chiaro e a fare di quello apprendimento una conoscenza forte, una vera competenza. E’ solo così che il sapere simbolico (quello appreso da bambino quando lui ha imparato o non imparato a fare la capriola) lascia il posto al sapere formale, consolidato e approvato dalla comunità scientifica, e ne fa un soggetto competente.

La “sindrome di Achille”

“Sconfiggi il nemico che è in te” era il titolo di un libro di Petruska Clarkson apparso un po’di anni fa, quando nella scuola si incominciò a parlare di competenze, accanto alle conoscenze e alle capacità. Si incominciò a capire che la scuola – per essere efficace ed efficiente, come si iniziò a dire – doveva preparare, oltre che a pensare, anche ad applicare il pensiero nel concreto. Si incominciò per esempio a parlare di portfolio per le lingue straniere, sottolineando che non bastava dire di conoscere una lingua straniera, ma si doveva specificare cosa si sapeva fare in quella lingua: parlare, scrivere, rispondere al telefono e così via, cose che nella nostra scuola si riuscivano appena a immaginare. L’autore coniò l’espressione “sindrome di Achille” per indicare che, a partire dalla scuola e poi nella vita, quasi noi tutti siamo in qualche modo affetti da pseudocompetenza, ma non lo sappiamo o forse lo sappiamo soltanto a un livello subcosciente. Il che a lungo andare ci logora e limita la nostra felicità che è strettamente legata alla nostra autorealizzazione. Non possiamo non ascoltarci su questo punto. Accanto alle nostre pulsioni elementari, fame, sete, sesso, esiste un’altra pulsione altrettanto importante che noi siamo portati normalmente a trascurare. La pulsione ad attuare le nostre potenzialità, il nostro impulso naturale alla crescita evolutiva attraverso la creatività. La pseudocompetenza si origina in noi proprio quando questo impulso naturale viene inibito, danneggiato o snaturato. A livello scolastico nei nostri alunni, quando da insegnanti ci accorgiamo che i loro occhi non riflettono e non risplendono di quella luce particolare che solo la vera comprensione delle cose può generare.

Nicola Corrado

 

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