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Gianni Rodari

Lesotho. Sull’orlo del caos il paese dell’acqua più pura del mondo

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Il Lesotho, regno dell’oro blu, è sull’orlo del caos, tra conferme e smentite di un colpo di stato militare in atto. Tra le 3:00 e le 4:00 (l’ora locale corrisponde al fuso in cui si trova l’Italia) di sabato mattina, 30 agosto 2014, alcune unità militari dell’esercito hanno circondato la residenza del primo ministro, il laburista fondatore del partito Convenzione di Tutti i Basotho (All Basotho Convention, ABC) Motsoahae Thomas Thabane in seguito al divieto posto allo svolgimento di una protesta antigovernativa prevista per lunedì primo settembre. A riferire timori di un possibile golpe in atto è stato il ministro Thesele Maseribane, leader del Partito Nazionale Basotho (Basotho National Party, BNP) che fa parte della fragile coalizione al potere dopo le elezioni che si sono tenute nel 2012. Thabane, secondo fonti bene informate, sarebbe riuscito a fuggire in Sudafrica sottraendosi alla cattura delle forze speciali, che avrebbero dovuto consegnarlo al re Letsie III. Il sovrano, al potere dal 1996, svolge un ruolo cardine di legame decisionale tra i vari poteri dello Stato (Gabinetto, Parlamento, Esercito), ma non si è ancora pronunciato sull’accaduto.

I militari avrebbero anche preso il controllo di una stazione radio nell’area periurbana di Ha Mabote (Motlakaseng) interrompendone le trasmissioni. Altre emittenti radiofoniche, come Leseli Fm, così come le linee telefoniche sono rimaste isolate per alcune ore.

Intanto il capo dell’esercito è stato subito destituito e il maggiore Ntele Ntoi, portavoce delle forze armate, intervistato dall’emittente televisiva sudafricana “Ann7”, ha negato che nel paese sia in atto un colpo di stato e ha attribuito la responsabilità dell’azione a un gruppo ristretto di militari ribelli.

Dichiarazioni che comunque non suonano rassicuranti e che non sembrano aver convinto né gli osservatori internazionali, né il Sudafrica, di cui il regno del Lesotho è una enclave. Lo stesso portavoce del ministero degli Esteri di Pretoria, Clayson Monyela, ha espresso forte preoccupazione. Quello che è successo a Maseru presenta infatti tutte le caratteristiche di un vero e proprio golpe simile a tanti altri verificatisi in numerosi stati africani, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, dove ad agire è sempre stata una ristretta cerchia del regime, animata dall’obiettivo di sostituire il governo in carica con un’altra istituzione (civile o militare) o di preparare la strada al cambiamento ricorrendo o minacciando di ricorrere all’uso di armamenti in possesso dello stato stesso.

Fin dall’indipendenza dalla Gran Bretagna, ottenuta il 30 settembre 1966, l’ex protettorato del Basutoland ha subìto numerosi colpi di stato di stampo militare e si è trovato molte volte a dover fronteggiare il tentativo (spesso riuscito) del governo di Pretoria di condizionarne la politica e il percorso economico. Attualmente il Lesotho mantiene, infatti, una stretta dipendenza dalla Repubblica del Sudafrica, in particolare per quanto riguarda le comunicazioni, i servizi e le rimesse dei suoi lavoratori emigrati. Queste ultime sono particolarmente rilevanti a fronte del fatto che negli ultimi sei anni, il paese ha ricevuto un flusso di rimesse pari in media al 35% del proprio Pil.

Tensioni in atto da giugno. Il ruolo della famiglia dei milionari indiani Gupta

Le ultime tensioni politiche in questa piccola monarchia costituzionale senza sbocco sul mare con una popolazione di poco più di 2 milioni di abitanti sono intense dallo scorso giugno, ovvero da quando lo stesso primo ministro si è ritrovato a sospendere il parlamento per evitare un voto di sfiducia in seguito a scontri tra le componenti che avevano assicurato appoggio al governo. Poche settimane più tardi, Thabane aveva anche provveduto a sostituire il comandante dell’esercito.
Soltanto pochi giorni fa, lunedì 25 agosto, il primo ministro si era nuovamente trovato in una difficile situazione questa volta difendendo tenacemente la sua decisione di rilasciare passaporti diplomatici ai membri della famiglia Gupta, una decisione fortemente contrastata dall’opposizione che ne aveva chiesto il ritiro. La famiglia Gupta, in particolare Ajay, Atol e Rajesh Gupta, i primi ad arrivare nella regione dal Saharanpur (India) all’inizio degli anni Novanta con il mandato di uno dei loro membri, il magnate Shiv Kumar, di esplorare le opportunità economiche dell’area, è molto vicina ad alcune famiglie influenti nell’area, in particolare a quella del presidente sudafricano Jacob Zuma. Negli ultimi 20 anni gli interessi economici della famiglia Gupta si sono fatti sempre più intensi arrivando a contare ingenti partecipazioni attraverso investimenti in società operanti in settori differenziati, dai media all’industria mineraria, non prive di influenze politiche.

Lesotho, un caso studiato dall’antropologo Ferguson

In passato, il Lesotho aveva attratto l’attenzione dell’antropologo americano James Ferguson, noto in tutto il mondo per le posizioni critiche nei confronti dei prevalenti approcci allo sviluppo internazionale e dei processi di depoliticizzazione connessi all’apparato della cooperazione. Nel suo celebre “The Anti-Politics Machine: Development, Depoliticization, and Bureaucratic Power in Lesotho” (1990), Ferguson presenta una delle descrizioni più profonde dell’area rilevando, in particolare, le conseguenze politiche ed economiche derivanti dalla ‘sottorappresentazione” del paese.

La Svizzera dell’Africa australe. È legata all’acqua l’importanza strategica del paese

Tornando ai giorni nostri, è proprio sul piano economico che il Lesotho è destinato ad assumere un’importanza strategica nell’area legata allo sfruttamento della risorsa naturale rinnovabile per eccellenza: l’acqua. Questa enclave all’interno del Sudafrica che ama definirsi “la Svizzera dell’Africa australe”, seppur situata in una regione nella quale cui il problema della povertà è molto diffuso, l’agricoltura di sussistenza non riesce a soddisfare il fabbisogno interno, la disoccupazione è elevata e le disuguaglianze economiche sono particolarmente marcate, è, infatti, uno dei bacini più importanti della regione per quanto riguarda la quantità e qualità di quello che il popolo Basotho chiama “oro bianco” ( e noi “oro blu”) per rendere l’idea del potere economico costituito dallo sfruttamento e dalla gestione delle acque. Le precipitazioni piovose e le intense nevicate invernali forniscono una stima di 5,5 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno, mentre dalle risorse idriche sotterranee rinnovabili provengono circa 340 milioni di metri cubi, sempre su base annuale.

Tra le acque più pure del mondo

L’acqua del Lesotho è di particolare valore non soltanto in termini quantitativi, ma anche qualitativi essendo considerata una delle più pure al mondo dato che la ridotta contaminazione microbiologica non richiede eccessivi trattamenti. Il Lesotho e, in particolare, il Qacha’s Nek (uno dei 10 distretti che compongono il paese dal punto di vista amministrativo), dove sono localizzate le sorgenti naturali caratterizzate dal maggior potenziale di sfruttamento economico e produttivo anche ai fini dell’imbottigliamento e della commercializzazione, è, dunque, considerato la vera e propria sorgente d’acqua del continente africano.

Il gigantesco progetto di export dell’oro blu o bianco

Sin dalla metà degli anni Ottanta, gli sforzi del paese si sono, dunque, concentrati prevalentemente sullo sviluppo di tali risorse per l’esportazione. Questo si concretizza attraverso il “Lesotho Highlands Water Project” (LHWP), un gigantesco progetto che prevede la costruzione di dighe e condotte per la produzione di energia idroelettrica e il trasferimento delle acque verso il Sudafrica così come verso altri Paesi della regione ed eventuali piani per esportazioni che possano andare anche oltre l’Africa australe.
Il Lesotho è la sorgente dell’Africa e il tesoro di Pretoria
Si tratta attualmente del progetto di gestione delle acque più importante al mondo dopo la diga delle Tre Gole in Cina e della più grande e ambiziosa struttura di questo genere progettata a lungo termine nel continente che può contare, oltre all’elevata piovosità del paese, sugli strati di roccia superiori di basalto dei Monti Maloti, parte della più nota catena montuosa Monti dei Draghi (Drakensberg), che contribuiscono alla ricchezza di tale bacino eccezionale. Il progetto si propone, inoltre, di soddisfare le esigenze di rapida crescita della provincia del Gauteng in Sudafrica, la provincia più popolosa dell’area che comprende l’espansione metropolitana di Johannesburg e Pretoria generando quasi il 60% della produzione industriale del paese e l’80% della produzione mineraria. Questa provincia necessita, dunque, di ingenti quantità di acqua in misura nettamente superiore a quella che la sua fonte principale, il fiume Vaal, sia in grado di garantire.

Anche l’Italia coinvolta nel progetto per l’acqua

Il progetto LHWP, il cui costo totale è stimato intorno agli 8 miliardi di dollari e il cui completamento è previsto per il 2027, è finanziato dal Sudafrica con il supporto della Banca Mondiale (il principale creditore), dell’Undp (United Nations Development Programme, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) e dell’Unione Europea. Il gruppo industriale italiano Salini Impregilo S.p.A. è, inoltre, coinvolto in qualità di capofila di un consorzio internazionale del quale fanno parte anche la società tedesca Hochtief, la francese Bouygues, le inglesi Keir e Stirling international e le sudafricane Concor e Group Five che si è aggiudicato l’appalto per la costruzione delle dighe di Katse e Mohale Dam e di un tunnel sotterraneo di collegamento lungo 260 chilometri.

Alla luce di quest’importanza strategica per lo sviluppo dell’intera regione, la situazione in Lesotho è guardata con particolare interesse e preoccupazione dai paesi membri della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Southern African Development Community, SADC), l’organizzazione internazionale regionale preposta al perseguimento della cooperazione e dell’integrazione socio-economica così come della sicurezza tra quindici paesi africani (includendo tanto il Sudafrica che detiene un ruolo preminente, quanto il più piccolo Lesotho) completando il ruolo dell’Unione africana (UA), che riunisce, invece, tutti gli Stati africani con la sola eccezione del Marocco. Tra gli obiettivi principali della SADC rientrano anche la promozione e la difesa della pace e della sicurezza, l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e regionali e la loro massimizzazione, la tutela dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto. Il ruolo che assumerà quest’organizzazione nella gestione della crisi in Lesotho sarà dunque determinante per lo scenario che potrà delinearsi nei prossimi giorni in quest’area contraddistinta da crescenti intensità e interessi internazionali, tanto sul piano economico quanto politico.

Anna Lodeserto 

Twitter: @annalodeserto

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