Sogni, promesse volano... Ma poi cosa accadrà?

Gianni Rodari

Libano in bilico. FQ intervista Ammar Houry, deputato del partito di Hariri

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Il Libano è ancora una volta pericolosamente in bilico. Dal maggio di un anno fa, quando Michel Sleiman terminò il suo mandato, è senza Presidente della Repubblica. Un vuoto istituzionale estremamente rischioso in un paese di grande importanza strategica costituito da 18 confessioni religiose riconosciute, confinante con due tra le più calde aree del Medio Oriente –Israele e Siria- e il cui delicatissimo equilibrio politico poggia su una insolita divisione del potere che risale al Patto nazionale del 1943 in base al quale il capo dello stato deve essere sempre un cristiano-maronita, il primo ministro un sunnita – insieme esercitano il potere esecutivo- e il presidente del parlamento uno sciita. FUTURO QUOTIDIANO ha intervistato Ammar Houry in visita in Italia, deputato di Mustaqbal, il Partito del Futuro, e capo gruppo in parlamento del Blocco del 14 Marzo, data della Rivoluzione dei Cedri del 2005 che, dopo l’attentato in cui rimase ucciso l’ex premier Rafik Hariri, costrinse le truppe siriane a ritirarsi dal Libano.

Quali sono le ragioni di questa insuperabile impasse e chi ostacola l’elezione del Presidente?

deputato libanesePurtroppo ci troviamo in una condizione che non abbiamo mai sperimentato prima e la cui causa comunque va rintracciata nella convergenza di interessi tra l’Iran, che sul tavolo delle trattative nucleari vuole giocare anche la carta del Libano e il Partito di Dio, Hezbollah, emanazione di Teheran in territorio libanese, impegnato, nel frattempo, insieme ai suoi alleati del Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun, a evitare che sia garantito il quorum sufficiente alla Camera dei deputati per eleggere il Presidente della Repubblica. L’Iran, insomma, nel negoziare con la comunità internazionale il suo programma atomico, ha messo in chiaro quattro punti importanti: 1)il Presidente libanese non sarà eletto fino a quando non vi metterete d’accordo con me; 2)io sono il fattore principale nello situazione in Iraq; 3) io sono determinante in Siria; 4) io sono determinante nello Yemen. I dirigenti iraniani non hanno avuto nessuna remora nel dichiarare che occupano quattro capitali di quattro paesi arabi. Noi come libanesi rifiutiamo questa logica, la respingiamo. Se il quorum fosse stato metà più uno, saremmo riusciti ad avere un Presidente. Purtroppo è questa la nostra realtà.Intanto se il Libano riesce a mantenere la propria stabilità e sicurezza nazionale, questo avviene grazie a intrecci internazionali e grazie anche a chi, pur disponendo di armi, ritiene inutile, perché non gli conviene più, provocare violenze. (Dal 1978 Unifil, una forza militare di interposizione dell’Onu è presente in Libano. Dal 2014 a guidare la missione è il generale italiano Luciano Portolano ndr.)

Qual è il candidato che Mustaqbal, il Partito del Futuro, sostiene?

Il presidente della Repubblica viene votato dalla Camera dei deputati. La tradizione del Libano è quella di eleggere una personalità sulla quale ci sia consenso tra tutte le parti e che sia espressione di quel modello, di cui abbiamo parlato, fondato sulla rappresentatività di tutte le componenti del Paese. Per questo teniamo a sottolineare che la questione della Presidenza della Repubblica è una questione nazionale, ma anche cristiana. E perciò abbiamo detto che siamo pronti ad accettare qualsiasi nome, scelto dai cristiani. Sono le componenti cristiane che devono mettersi d’accordo. Noi, come forza del Blocco del 14 Marzo abbiamo candidato il dottor Samir Geagea, ma c’è una parte dei cristiani che porta avanti il generale Michel Aoun.

La prossima sessione parlamentare è fissata per l’11 marzo, c’è speranza di uno sblocco?

Né noi né gli altri in questa fase riusciremo a raggiungere i due terzi dei voti. Come schieramento abbiamo presentato recentemente un’iniziativa che mira proprio a trovare un nome che possa mettere tutti d’accordo. Sentiremo cosa ci diranno. Ma ripeto, al di là di ogni appello, ritengo che l’elezione del Presidente si sbloccherà per effetto collaterale non appena l’Iran avrà segnato qualche passo avanti nei suoi negoziati. Ma non vedo un futuro a medio termine, e lo dico con molto rammarico.

Il Libano, con il suo sistema istituzionale che dà spazio e par condicio alle principali confessioni religiose, è un modello di dialogo. Quanto è importante il dialogo in questo momento?

Ricordiamo sempre e bene le parole di papa Giovanni Paolo II che disse che il Libano è un paese che incarna un messaggio per tutto il mondo. Il presidente e martire Hafik Hariri ci chiese di parlare agli altri di noi. E nell’eco delle sue parole noi, come partito del Futuro, oggi diciamo che il Libano è il paese della moderazione, del vivere unico e della multilateralità, il paese dell’incontro di un’opinione con un’altra.Siamo per esempio l’unico stato di tutta la regione nel quale il Presidente della Repubblica  può ricoprire l’incarico per un solo andato –questo per garantire l’alternanza- e deve essere cristiano, per decisione e scelta dei musulmani prima ancora che degli altri, mentre il premier deve essere un musulmano sunnita e il presidente del parlamento un musulmano shiita.

A che punto è arrivata l’inchiesta sull’attentato al presidente Hariri  ucciso il 14 febbraio 2005 a Beirut mentre era in auto insieme ad altre 21 persone? Chi sono i veri colpevoli?

 

bombaSulle responsabilità dell’assassinio di Hariri dobbiamo distinguere due livelli. Uno è quello politico, fondato su dati di fatto: Hariri era stato minacciato più di una volta dal regime siriano e dai suoi alleati in Libano. Ma, sottolineo, stiamo parlando su un piano puramente politico. Sul fronte giudiziario c’è un tribunale internazionale che sta lavorando. Dalle indagini sono emersi elementi contro esponenti Hezbollah. Staremo a vedere.

Come vive il Libano il problema dei profughi?

Noi abbiamo sempre messo in pratica la politica dell’accoglienza. La prima volta nel ’48 arrivarono i palestinesi. Oggi ne vivono nel nostro paese oltre mezzo milione. Quando è scoppiata la crisi siriana abbiamo temuto che si ripetesse lo stesso copione e ci siamo divisi su come affrontare l’emergenza nel timore di ripetere gli stessi errori. Ma c’è differenza tra allora e oggi. Una volta terminata la crisi i profughi siriani torneranno a casa. Intanto continueremo a dare loro tutto ciò di cui hanno bisogno, malgrado sia insufficiente e la comunità internazionale non abbia mantenuto le sue promesse.

E’ fondato il rischio che l’Isis travolga anche in Libano?

Il Libano, come altre zone della regione, non è terreno fertile per quella tipologia di estremismo che nasce soprattutto in seno ai regimi dittatoriali. Perché è il paese delle molteplicità, delle molte confessioni, delle tante tendenze politiche, consuetudini e tradizioni sociali. E’ il contenitore di tutte queste cose. E in esso può trovare consenso certo terrorismo. Prova ne è quanto è accaduto nella cittadella di Arsal al confine con la Siria e nel nord, nei dintorni di Tripoli, dove lo Stato Islamico, nonostante gli sforzi, non riuscito ad attecchire.

L’Italia, l’Occidente devono temere le minacce dell’Isis?

Sì. Il terrorismo va sempre preso sul serio. E le minacce non vanno mai sottovalutate, qualunque sia la sigla. L’Isis è figlia di al Qaida. E il terrorismo in generale è figlio delle dittature. Lo Stato Islamico, nella fattispecie, è nato in reazione al regime di Bashar Assad ma ne è diventato complice: le forze siriane non si sono mai scontrate con l’Isis in una sola battaglia; la maggior parte dei militanti dell’Isis sono stati liberati dalle prigioni siriane. Molto preoccupante è intanto la situazione in Libia, che sembra destinata a complicarsi.

L’Isis sta distruggendo immensi tesori archeologici. Cosa si può fare per sensibilizzare la comunità internazionale?

An Iraqi worker stands 21 April 2001 next to the aAbbiano condannato sia come partito, Mustaqbal, che come Blocco 14, ma anche a livello nazionale, la strategia di distruzione messa in atto dall’Isis di siti archeologici che sono patrimonio dell’umanità. Lo stesso premier Rafic Hariri ha assunto una posizione immediata e chiara. A livello di gruppo parlamentare abbiamo chiesto all’Unesco una immediata riunione d’emergenza e scritto una lettera a Ban Ki Moon per assumere iniziative precise e mirate in difesa dei tanti tesori che sono esposti a un altissimo rischio.

La Primavera araba, un fallimento o un successo?

La Primavera araba è nata come un movimento popolare che si batteva contro le ingiustizie delle dittature. Per due anni esatti in Siria ci sono stati moti popolari pacifici. Sono stati i regimi a trasformarli nella loro reazione in scontri armati. Ma c’è anche da chiedersi come è accaduto che proprio in quest’area del mondo siano nate tante dittature. La ragione è semplice: la democrazia qui è sempre stata procrastinata in nome della soluzione della questione palestinese. E’ per questo che i popoli accettavano questo rinvio. Ma poi la democrazia non è arrivata mai. E dove più che altrove regnavano povertà e ingiustizia è scoppiata la Primavera araba.

Ma la Questione palestinese verrà mai risolta?

C’è la certezza che lo sarà. Noi come arabi abbiamo lanciato dal 2002 nel corso del vertice che si tenne a Beirut un’iniziativa di pace che accoglieva la soluzione proposta dal futuro re saudita Abdullah, scomparso di recente. Il principio era semplicissimo: terra in cambio di pace. Ci sono state diverse risoluzioni internazionali emanate sia dall’Assemblea dell’Onu che dal Consiglio di sicurezza, dalla 181 fino alla 242 dopo la guerra del ’67, alla 338 dopo la guerra del ‘73 (Kippur- Ramadan). Qual è la filosofia della nostra soluzione?Creare due stati che vivano in pace nell’ambito dei confini geografici del 4 giugno del 1967. Ma per avere chance questa soluzione va sostenuta da un’ampia volontà internazionale.

Quanto all’ Egitto, meglio quello dei Fratelli musulmani o quello del Presidente al Sisi?

Non interferiamo negli affari interni degli altri paesi. Ma l’Egitto ha un suo peso, un suo posto particolare e tra gli arabi e nel mondo occidentale. Ed è quello che più degli altri ha pagato un alto prezzo. Ha fatto tante guerra, mettendo a repentaglio la sua popolazione, la sua economia e stabilità. C’è un forte amore per l’Egitto nel cuore di tutti. Ma non per questo possiamo negare la necessità di dire sempre in tutti i luoghi che la democrazia è la soluzione. Il presidente Morsi è stato eletto, ma il problema è che i Fratelli musulmani non hanno mai avuto né preparato un programma di governo, erano talmente confusi.

Infine, che c’è di vero nel coinvolgimento, di cui si è parlato, del partito Mustaqbal e dei suoi alleati nel tentativo di coprire la presenza in Libano di Marcello dell’Utri, fondatore di Forza Italia, condannato un anno fa per concorso esterno in associazione mafiosa? E nel fatto che si dica che il Libano sia un paradiso terrestre ma anche fiscale?

Della vicenda di Dell’Utri non ne so davvero nulla. Mi risulta che venne arrestato e poi estradato. Quanto alla questione fisco posso dire che è regolato da leggi che garantiscono parità di trattamento tra investitori locali ed esteri e che la tassazione è quasi nulla per i non residenti. L’imposizione fiscale riguarda esclusivamente i redditi derivanti da attività svolte in Libano o in base a quanto stabilito in accordi internazionali con altri Paesi. E vige il segreto bancario.

Velia Iacovino La traduzione simultanea dall’arabo è di Samir al Qaryouti

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