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Gianni Rodari

Luca Giuliani, un archeologo italiano a Berlino

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berlinoLuca Giuliani non è un nome molto conosciuto in Italia, ma è stimatissimo nell’ambito dell’archeologia e della direzione di musei, tanto che è stato chiamato nella commissione che deciderà i direttori di musei italiani. Lui che per lavoro si è spostato in molti luoghi – “Sono andato dove mi hanno chiamato (anche se in Italia non è capitato)” – ritiene sia una buona cosa fare concorsi aperti, perché è importante la concorrenza internazionale, aprire a persone che non hanno passato la vita nelle soprintendenze, che non sempre funzionano come dovrebbero. Considera “peregrina” la paura che i musei italiani vengano invasi da stranieri, perché solo una piccola percentuale delle candidature comunque viene dall’estero. Di madre berlinese e padre perugino, Giuliani, nato a Firenze, ha poi conseguito la maturità a Zurigo ed ha studiato archeologia classica, antropologia e letteratura italiana a Basilea. È stato dunque obbligato a leggere e scrivere in tedesco: “Rimasto a nord delle Alpi mi sentivo in una specie di esilio linguistico; da un certo punto in poi non più”. Con la maggior parte degli scritti e delle lezioni in tedesco “mi sono scientificamente assimilato nell’ambiente di lingua tedesca”. Quando gli si chiede se essere archeologo è stata una scelta dettata da passione, quasi si arrabbia, “Io faccio l’archeologo di mestiere, è un’altra cosa dalla passione. La passione ce l’hanno i dilettanti”. Ha iniziato per seguire una persona molto interessante che insegnava archeologia, ma poi la scelta non l’ha mai rimpianta “anche se fatta con criteri strani”. È molto serio Giuliani, parla in maniera precisa e pacata, i suoi pensieri si comprendono perfettamente, ed è molto sicuro di quello che dice. Pur essendo un archeologo greco romano – ha fatto scavi in Sicilia, a Taormina, Naxos, a Kamarina nella costa sud, poi a Eretria dove c’erano scavi svizzeri – è duro riguardo allo stato attuale della Grecia, culla della civiltà, e distingue la cultura dall’economia: “Lo Stato moderno della Grecia nato nel 1835 dopo la rivoluzione contro i turchi deve trovare strutture statali che gli consentano di sopravvivere e avere un bilancio che sia responsabile e questo non ha nulla a che vedere con la culla della civiltà. Il problema è indipendente dalla Ue; la Grecia si è costruita come Stato clientelare senza strutture statali corrispondenti. La politica economica dell’Ue è problematica e non efficace. Io direi no sia ai greci che alla Ue.”

Più che un archeologo scavatore si definisce un archeologo di musei. È stato vice direttore dal 1986 al 1992 del Museo delle Antichità di Berlino (Berlin Antikenmuseum) ed è passato poi a insegnare archeologia classica all’università di Friburgo, di Heidelberg, di Monaco di Baviera e poi alla Humboldt-Universität di Berlino: “una peculiarità, sono in pochissimi che abbiano fatto esperienza sia nei musei che nelle università, almeno in ambito di lingua tedesca. In genere sono due compartimenti stagni con poco scambio fra l’uno e l’altro”. Aveva capito che “per trovare materiale nuovo non bisognava scavare, ma andare nei magazzini”. Il materiale esposto è solo il 2%, e il 98% si trova in magazzino: “Io facevo parte del personale scientifico del reparto antichità; prima della caduta del muro il reparto antichità era un museo di arti minori, importante per quanto riguarda la ceramica attica e apula con meno cose romane e pochissima scultura, forte per il materiale etrusco, ma soprattutto per la gioielleria antica, una delle collezioni maggiori nel mondo”. Sottolinea la differenza fondamentale fra i musei all’estero e quelli italiani: “I grandi musei sono cresciuti a fine ‘800 primi ‘900, acquistando molto più materiale di quello che potevano esporre. In Germania, Francia, Inghilterra o America i musei sono nati sul commercio antiquario: più soldi c’erano e più venivano comprate opere, che all’epoca costavano molto meno di adesso, perché non c’era un mercato di collezionisti privati competitivo. In buona parte i musei venivano ingranditi secondo criteri enciclopedici; si voleva un esempio di ogni categoria e di ogni epoca di un dato artista, cosa che ha procurato un inevitabile problema di spazio. In Italia invece le collezioni sono cresciute grazie a quello che donava il territorio oppure da secolarizzazioni nelle chiese, e i musei archeologici con eccezione forse del museo di Napoli e quello Gregoriano etrusco in Vaticano, sono ancorati al territorio; quello che si scava va a finire nel museo del luogo, come a Taranto, Reggio, Palermo, in tutti, e a maggior ragione in quelli minori”. Trova i musei italiani difficili da gestire e molto diversi l’uno dall’altro: “la quantità di opere d’arte corrisponde a tutto quello che c’è nel resto del mondo, almeno per quanto riguarda certi tipi di arte. Quindi c’è una enorme sovrabbondanza di materiale con un limite alla disponibilità dei mezzi. E questo comincia naturalmente con gli scavi”.

Giuliani spiega come il grosso problema negli ultimi trenta, quaranta e cinquanta anni, siano stati gli scavi berlinoillegali che andavano a finire sul mercato antiquario. Fra l’altro in Italia esiste una legge per cui tutto quello che si trova sotto terra è proprietà dello Stato, ma non una legge per indennizzare e acquistare un pezzo ritrovato da qualcuno, o per la protezione dei ritrovamenti. Le stime mostrano che il commercio di materiale archeologico e di beni artistici illegali sono il terzo mercato illegale dopo quello delle armi e delle droghe, “una fetta molto grossa”. “Intorno alla metà degli anni ‘60, una enorme quantità di scavi illegali aveva superato quelli legali. Da una parte c’erano gli scavi legali fatti alla luce del sole con tutte le garanzie, di notte invece gli illegali, con le ruspe che lavoravano in fretta e distruggevano le tracce dello scavo. Un vero e proprio fenomeno di esportazione condotto in modo professionale e seguendo le leggi di vendita. Oggi sono meno semplicemente perché buona parte di necropoli scavate illegalmente in questo modo si sono esaurite e non c’è più niente da scavare. E credo che dall’Italia oggi provenga poco, in compenso la cosa si è spostata in Turchia e nell’estremo Oriente”. Tiene a sottolineare che i musei di Berlino sono stati fra i primi a prendere posizioni chiare e dure contro il commercio illegale e rinunciavano a fare acquisti su tali mercati, ma essendoci bisogno di flussi di opere e di novità, importanti erano le cooperazioni a livello di singoli musei fra la Germania e gli altri paesi: “l’idea era di portare materiale non esposto e non restaurato a Berlino, restaurarlo a spese nostre, pubblicarlo ed esporlo e poi ridarlo al paese di origine dopo cinque anni; così si investivano i soldi precedentemente utilizzati per acquistare le opere”. Non pensa che vi siano differenze fra cittadini italiani o tedeschi nei confronti della cultura: “è solo questione di educazione”. I cittadini dovrebbero essere educati sin da scuola ad amare le opere d’arte: “a scuola si impara a leggere e scrivere ma non si hanno gli occhi per guardare e per andare nei musei. Ci vuole un minimo di competenza e curiosità e di tecnica dello sguardo.” Oggi Giuliani è in pensione, ma Rettore dal 2007 dell’Istituto di Studi Avanzati di Berlino (Wissenschaftskollegs zu Berlin), una maniera per far progredire la cultura: “Ogni anno invitiamo quaranta scienziati di tutte le materie e di tutte le lingue che passano insieme dieci mesi con l’obbligo di perseguire le loro ricerche”.

Stefania Miccolis

L'Autore

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