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Pietro Barilla

Magazzino 18: “Testimonianze di quel che era e non sarà più”

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Al Porto Vecchio di Trieste due porte di legno ben serrate proteggono da decenni le memorie silenziose degli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, nascoste agli occhi, dimenticate.
Sono le porte del Magazzino 18 che ieri si sono schiuse per portare alla luce un cimitero di oggetti sepolti dal tempo che il fotografo Jan Bernas e Carla I.E. Cace hanno deciso di raccontare, attraverso le foto e le testimonianze raccolte nel libro “Magazzino 18 – Le Foto”, edito da Fergen Edizioni.

Città invisibili

Magazzino 18

Magazzino 18

Come le città di Calvino, anche quella racchiusa nel Magazzino 18 è una città invisibile, una città di passati celati, un mondo di oggetti imbevuti di memoria e cristallizzati nel tempo. Manciate di bottoni, oggetti di lavoro, penne e compiti, libri, sedie aggrovigliate in abbracci eterni, piatti, bicchieri, giocattoli, e foto di famiglia in bianco e nero, facce senza nome, sono tutto ciò che le famiglie si sono lasciate alle spalle, tracce di una fuga, di un esilio, e “testimonianze di quel che era e non sarà più” come afferma Jan Bernas nella prefazione; residui di vite dimenticate, spezzate e perdute.

Le sue foto colgono questi oggetti di tutti i giorni immobili nel tempo, quasi sospesi, nel silenzio assoluto e nel buio illuminato appena da un presente indifferente. Sembrano dormire, in attesa di un risveglio, di un ritorno.

Un libro di storie, di immagini e parole

Questa Storia è stata raccontata nei libri, è stata anche rappresentata a teatro da Simone Cristicchi, proprio in questo periodo pregno di significato, a cavallo del giorno della memoria, ma ancora non era stata fotografata, immortalata, resa visibile agli occhi di tutti. Ed è grazie all’unione di immagini e testimonianze, di due lavori paralleli ma indispensabili l’uno all’altro, che la storia prende vita come mai prima d’ora, con una forza incredibile e inusuale. È grazie a questo lavoro parallelo e intrecciato che le storie, le tante storie – perché questo è un libro di storie – riemergono dall’oblio e divengono vivide agli occhi di chi le guarda. Divengono tangibili anche per chi non ne aveva coscienza. “La forza di questo progetto” dice Carla I.E. Cace “è stata proprio la sinergia foto-testimonianze”.

Magazzino 18 – Le Foto, perché

Accompagnare alle testimonianze orali anche le immagini, dare un volto alle voci, è il motivo per cui è nato questo libro fotografico, che è stato presentato al pubblico in anteprima il 13 febbraio, nella splendida cornice della Società Dante Alighieri, con la partecipazione Michele Pigliucci, Presidente del Comitato 10 febbraio, di Alessandro Masi, segretario generale Società Dante Alighieri, dei due autori, Carla I.E.Cace e Jan Bernas, e dell’editore Federico Gennaccari.
“Le immagini parlano ancora più delle parole” afferma in apertura Michele Pigliucci.

È nato per colmare una lacuna, “per ricucire una pagina strappata” dice l’editore. Per permettere a tutti di riscoprire il Magazzino 18, un museo nascosto, un luogo della memoria sospeso e immacolato, che attraverso le immagini accompagnate dalle parole degli esodati rivive. “Questo libro vuole essere un omaggio visivo” afferma invece Jan Bernas “a chi non ha ancora la possibilità né di conoscere né di vedere quanto è successo”.

Genesi e sensazioni dei due autori

“È nato da un pomeriggio nel quale mi trovavo a Trieste” afferma Jan Bernas “e ho avuto il piacere e l’onore di entrare in questo il Magazzino 18 nell’iter che poi ha portato alla realizzazione dello spettacolo – con Simone Cristicchi – perché prima di dedicarci alla scrittura del testo volevamo capire di cosa stavamo parlando. Il Magazzino 18 è una struttura incredibile perché è rimasta esattamente com’era nei secoli passati, è stato un salto nel tempo, un salto nel passato”.

10 feb.giornodelricordomanifestoLe sensazioni provate nel mettere piede in quel luogo silenzioso, chiuso da anni, sono state sconvolgenti, afferma Bernas: “quando sono entrato ho avuto un’immagine fortissima, queste foto appese, foto di famiglie che avevano lasciato le proprie cose… è stato come prendere uno schiaffo forte da parte di questa popolazione che ha dovuto lasciare la sua terra”. Ancora più forti le emozioni di Carla I.E. Cace, esule di “terza generazione”, “entrare là, significa fare i conti con la storia, e con delle energie latenti, è come se gli oggetti gridassero”. “Ho avuto solo un’ora per fare le foto” dice il fotografo, “però è stata così tanta l’emozione che sono riuscito a scattarne a centinaia”.

L’autrice Cace ha scoperto gli scatti di Jan Bernas casualmente, alla prima dello spettacolo di Cristicchi, alla Sala Umberto di Roma, ed è nato questo progetto che, come afferma, “è una testimonianza storica enorme. Sono veramente orgogliosa di aver potuto dar voce a queste immagini”. Un lavoro minuzioso “perché la voce che viene data a queste immagini, non è una voce casuale, ho fatto un lavoro di ricostruzione, raccogliendo le testimonianze di persone che hanno una memoria diretta”.

Contro l’oblio

“Volevo portare l’occhio dei visitatori” afferma Jan Bernas, “l’occhio di tutte le persone che non possono ancora entrare all’interno del Magazzino, cercare di renderlo partecipe a tutti”. Carla I.E. Cace, proprio in relazione a questo, vorrebbe che il Magazzino 18 venisse aperto al pubblico e fosse visitabile, “una battaglia di civiltà da portare avanti”. “Mi rendo conto che ogni anno che passa noi perdiamo questa testimonianza. Ed è lo stesso concetto di tenere il Magazzino 18 chiuso; noi ci precludiamo la possibilità di vedere davvero cosa è successo”.

È proprio per questo motivo che il progetto non si ferma qui: queste testimonianze verranno riproposte insieme a una mostra fotografica all’interno di un piano itinerante che girerà l’Italia.
Perché il fardello di questo passato non sia più “solo sulle spalle di chi ha vissuto ma anche sulle spalle dell’intero popolo italiano”, come afferma Michele Pigliucci in apertura, senza aver bisogno di un giorno del ricordo per ricordare. Fare in modo che il 10 febbraio trovi un nuovo significato. Per risvegliare le coscienze, per non far ripiombare mai più nell’oblio questa parte di storia. “Spero” si augura Jan Bernas “che grazie a questo libro si colmi un altro piccolo vuoto che è stato creato in questi tanti anni di silenzio”.

Ilaria Pasqua

L'Autore

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