La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Moody’s colpisce ancora. E adesso nasca rating europeo

0

Ci risiamo, Moody’s vs. Italia. Il ricorrente attacco delle agenzie di rating è una delle poche certezze costanti non solo per il governo di Roma, ma per tutti noi europei. Noi italiani, francesi, spagnoli, olandesi, gliel’abbiamo giurata, ai Signori del declassamento: non la passerete liscia. Ci declassano? E noi protestiamo. Eccome, se protestiamo. Persa la tripla A, a Parigi i francesi hanno visto scendere in campo il Presidente della Repubblica, a reti unificate. In Spagna è scesa in piazza la gente, come lì usa fare. In Italia – ciascuno le sue armi – si sono mosse la magistratura e la Corte dei Conti, tirando in ballo il disatteso valore aggiunto del nostro patrimonio monumentale.moody_eu

Le grandi major del rating non sembrano preoccupate. Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings vanno per la loro strada come schiacciasassi, affibbiando giudizi e valutazioni sugli investimenti capaci di cambiare radicalmente l’appeal di un sistema-Paese, sulla base di parametri oscuri, oscillanti tra l’analisi del consolidato e la business intelligence predittiva. Qualcuno si chiede, ed è legittimo: chi controlla i controllori? E poi, non del tutto secondariamente, qual è il modello di business grazie al quale le agenzie di rating sviluppano le loro immense fortune? Mentre sono circoscritti gli ambiti e i poteri dei “watchdogs” finanziari istituzionali, quali la Consob italiana, la Bce, l’ Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), non vi sono limiti per l’operatività finanziaria con cui operano le tre major del Rate.

Le agenzie comprano e vendono fondi di investimento, creando un gigantesco conflitto di interessi, sono attori e registi al tempo stesso. Perché dopo aver collocato strumenti finanziari in acquisto o in vendita, le stesse agenzie provvedono ad emettere la loro augusta valutazione. Alla faccia della “terzietà”.

Per capire di cosa parliamo:  nel 2006 il 44 per cento dei guadagni di Moody’s proveniva direttamente dalle sue attività speculative nella finanza strutturata. Troppe cose non tornano. E così il Canada prende le distanze da un sistema Usa-centrico e fonda, a Toronto, la Dominion Bond Rating Service. Una novità importante che ha portato la Bce a considerare la solvibilità dei titoli di Stato italiani, ad esempio, solo sulla base delle valutazioni della Dbrs.

Per non stare con le mani in mano, il nuovo gigante della finanza mondiale, la Cina, ha fondato la sua agenzia di rating, la Dagong. Omologata per l’Unione Europea dalla Esma, opera dal giugno del 2013 anche in Italia, rilasciando rapporti e valutazioni su tutto. E la Russia? Possibile che non sia della partita? Infatti gareggia, con la sua RusRating. Insomma: ci sono tutti, manchiamo noi. Noi che aspettiamo, speranzosi e inibiti, un qualche intervento dalla Procura di Trani, noi che portiamo al banco dei pegni i Bronzi di Riace, noi che minacciamo tanto ma agiamo pochissimo, non siamo capaci di dare vita ad una agenzia di rating europea. Londra, Francoforte, Parigi, Amsterdam, Madrid, Milano insieme non riescono a focalizzare quanto sia importante aggiungere all’unità monetaria, una autorità di valutazione finanziaria credibile, terza, non ostile. Non che non ci si sia mai pensato: il Parlamento Europeo ha anche pronunciato una “raccomandazione” ad avviare un’agenzia di rating made in Europe. Ma l’Unione Europea, lanciato il sasso, ha nascosto la mano davanti ai costi: 500 milioni di euro per strutturare una agenzia di rating in grande stile, stando all’esempio americano. Bisogna forse tornare a farci un pensierino.

Se si ritiene quel prezzo troppo salato, si pensi a quanto costa l’instabilità. E quanto stiamo pagando caro questo abbonamento alla giostra rotante della crisi.

Aldo Torchiaro

L'Autore

Lascia un commento