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Gianni Rodari

P. RIDET A FQ: SU CHARLIE HEBDO NON SI CONFONDA RAZZISMO CON LIBERTA’ DI PENSIERO

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“Mai porre limiti alla libertà di satira, e non confondiamo il razzismo con la libertà di pensiero”, a Futuro Quotidiano parla Philippe Ridet, corrispondente dall’Italia di Le Monde. Nella sua casa nel centro di Roma, lontano migliaia di chilometri dalla Parigi sconvolta di queste ore, Philippe Ridet, seduto alla scrivania, sigaretta accesa, controlla di continuo gli aggiornamenti sulla caccia ai presunti attentatori della strage al Charlie Hebdo. Sono sette anni che Ridet è nella Capitale, come corrispondente del quotidiano Le Monde e, ci racconta, i suoi ricordi della Francia e di Parigi che sono sicuramente più rosei della cruda realtà sbattuta oggi sulle prime pagine dei giornali mondiali.

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Philippe Ridet – Corrispondente a Roma di Le monde

Quali sono state le prime parole che le sono venute in mente, quando ha visto le immagini della strage?

Direi piuttosto che non mi è venuta nessuna parola. Le parole mancano in questi casi. Poi è arrivato un sentimento di rabbia, non solo nei confronti di questi terroristi ma anche per il clima che si è venuto a creare in Francia negli ultimi anni.

Leggeva Charlie Hebdo? Conosceva qualcuno dei giornalisti o vignettisti che sono rimasti uccisi?

Ogni tanto, ma non l’ho mai comprato regolarmente. Mi ricordo soprattutto dell’ultimo numero di Hara Kiri, che era l’antenato di Charlie Hebdo, chiuso nel ’70 all’indomani della morte di Charles de Gaulle. Cabu era il vignettista che leggevo da ragazzo, mi piaceva il suo personaggio creato per Pilote, il liceale maldestro Grand Duduche. Anche Wolinski era molto famoso quando ero ragazzo, a casa mia mi ricordo che i miei avevano dei suoi libri di fumetti. Comunque Charlie Hebdo era un settimanale che non andava molto per la maggiore, anche se adesso ovviamente tutti ne parlano.

Quando ci furono, negli anni passati, le polemiche per le vignette di Charlie Hebdo sull’islam cosa pensò in quel momento?

Non ho mai posto limite alla libertà di satira, ero d’accordo con la loro pubblicazione. Poi dobbiamo essere precisi, perché quelle vignette erano contro i fondamentalisti islamici ma non contro i musulmani e allo stesso modo, nelle illustrazioni sulla religione cattolica, i vignettisti avevano preso di mira alcune frange più reazionarie del cattolicesimo ma non il cattolicesimo nel suo insieme.

Dopo un atto terroristico, le conseguenze e le reazioni nella società dipendono molto anche dall’atteggiamento dei media. Come dovrebbero comportarsi ora?

Io penso che i media con loro gli editori, gli intellettuali, abbiano una responsabilità in quello che è successo. Non voglio arrivare a dire che noi giornalisti abbiamo creato un terreno fertile per azioni di questo tipo ma è pur vero che tutti questi dibattiti sull’immigrazione, come se fosse il problema numero uno per la Francia, sono stati un po’ un soffiare sul fuoco del fanatismo e della paura. Anche pubblicare un libro come Suicide Français di Eric Zemmour, oltre a Sottomissione di Houellebecq, non so se sia stato giusto. Si è dato eccessivo risalto ad alcuni personaggi, ne abbiamo parlato nel modo sbagliato, forse, ma sicuramente ne abbiamo parlato troppo.

Sulle colonne di Repubblica di oggi Timothy Garton Ash, giornalista del Guardian, ha chiesto a tutti i giornali d’Europa di pubblicare per una settimana le vignette “incriminate” come gesto collettivo in difesa della libertà di stampa. Ma in Gran Bretagna nessun quotidiano ha pubblicato queste vignette, stessa linea per gli americani Washington Post e New York Times. Tony Barber, sul Financial Times, ha definito “editorialmente stupida” la condotta del Charlie Hebdo. Lei cosa ne pensa?

Penso che gli inglesi o gli americani abbiano una sensibilità diversa rispetto alle religioni, la satira, il disegno satirico, è nato in Francia e quindi è un pezzo dell’identità francese.Certi grandi gesti di solidarietà collettiva, come quello proposto da Garton Ash, mi sembrano però un po’ forzati, ogni giornale fa quello che si sente di fare. In questo momento credo sia più utile aiutare Charlie Hebdo dal punto di vista materiale, per riuscire a farne proseguire le pubblicazioni, visto che tutta la redazione è materialmente distrutta. Nessuno può restituirci il talento dei singoli che sono rimasti coinvolti nella strage ma possiamo aiutare il giornale ferito a rinascere ancora una volta.

Secondo una recente indagine Ipsos, i francesi credono che il 31% della popolazione, in Francia, sia di religione musulmana, mentre in realtà i musulmani sono solo l’8%. Si sta diffondendo una sorta di islamofobia? Crede che partiti come Front National potranno trarre vantaggio dalla diffidenza o dalla paura dilaganti?

Si possono fare diverse analisi. La prima è pensare che ad approfittare di questo clima di odio e di “guerra civile” saranno partiti di destra o xenofobi già forti di loro, come Front National. Però si può anche sostenere che le manifestazioni spontanee di solidarietà, sia in Francia che nel resto del mondo, siano semplicemente l’inizio di una presa di coscienza da parte della società. E’ presto secondo me per fare previsioni di questo tipo. Comunque la percezione alterata della presenza dei musulmani nel proprio Paese ce l’hanno anche gli italiani, torniamo al discorso di una responsabilità da parte di tutti i media, non solo francesi. Anche se vanno fatte distinzioni tra una testata e l’altra, c’è anche chi ha trattato questi temi delicati dell’immigrazione in un modo corretto. I media che hanno un interesse commerciale o politico hanno forse amplificato alcune realtà.

Esattamente un anno fa, in questi giorni, veniva vietato, in diverse città francesi, lo spettacolo del comico Dieudonnè, tacciato di antisemitismo. Furono proprio Valls e Hollande, in quell’occasione, a chiedere ai prefetti di censurare lo spettacolo. Oggi, di fronte ad alcune vignette anche piuttosto esplicite del Charlie Hebdo sul cattolicesimo o l’islam, non si fa che parlare di libertà di satira…

Non siamo secondo me sullo stesso piano. Lo spettacolo di Dieudonnè prendeva tutti gli ebrei di mira, quindi era uno spettacolo razzista, perlomeno in alcuni suoi passaggi. Criticare Maometto o i fondamentalisti islamici non è razzismo ma una presa di posizione politica. Ad esempio, il divieto anche solo di raffigurare Maometto vale per i musulmani ma non per i laici disegnatori di Charlie Hebdo, per cui erano liberissimi di farlo. Nella legge francese è proibito il razzismo, ricordiamolo, ma non c’è una legge che proibisce di raffigurare Maometto. Razzismo e libertà di pensiero non sono la stessa cosa.

Le Monde ha titolato in prima pagina “L’11 Settembre francese”, è un paragone calzante?

Inizialmente ho pensato di no, è sempre rischioso fare questi paragoni, le parole, come le cifre delle vittime, hanno un peso specifico. Però effettivamente Le Monde con quell’aggettivo, “francese”, riconduce il paragone su un piano più che altro emotivo ed in questo è accettabile. Questo sarà un trauma che durerà a lungo per i francesi, come l’attacco alle Torri Gemelle per gli  americani.

Giulia Di Stefano

L'Autore

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