Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

A quarant’anni dalla morte di Pasolini, Pino Pelosi parla a FQ

1

pasoliniChe Pino Pelosi non sia sempre stato attendibile non è una novità. Così come non è una novità quanto la sua presunta, e qualche volta conclamata, inattendibilità abbia sempre fatto da scudo a chi non ha mai voluto prendere sul serio un’altra ipotesi sul delitto Pasolini. Chi si è fatto avanti, nel corso dei quarant’anni che ci separano dalla notte del 2 novembre del 1975, dicendo che Pelosi non era nient’altro che un bugiardo dovrebbe probabilmente ammettere che se Pelosi è stato, così com’è stato in alcune occasioni, un bugiardo lo è stato solo a metà. Il caso impone un minimo di onestà intellettuale e analisi, se così vogliamo dire, anche antropologica. Pino Pelosi quarant’anni fa era un ragazzo di 17 anni, uno di quei ragazzi di borgata con una famiglia modesta e nessuna particolare ambizione. Uno di quelli che per caso, per sfortuna o per scelte sbagliate, finiscono poi per far parte di qualche giro poco raccomandabile, così come gli accadde e, verosimilmente, scelse, e che lo portò la notte del 2 novembre in quello sterrato dell’Idroscalo di Ostia dove, all’alba del giorno successivo verrà ritrovato ucciso il poeta friulano, in una pozza di fango e sangue. È passato ormai quasi un anno da quando Pelosi, proprio sulle pagine di questo giornale, dichiarò, a me e in esclusiva che la notte in cui morì Pier Paolo Pasolini forse non venne arrestato a bordo dell’Alfa Gt 2000 dell’intellettuale targata Roma K6996, ma su un’altra auto, identica. Ancor prima di quell’intervista, in un’inchiesta, edita da I Quaderni dell’Ora, realizzata insieme a Simona Zecchi si riportavano alcuni dati, mai presi in considerazione in alcuna indagine, che lasciavano presagire cosa sarebbe accaduto oggi.

Quell’inchiesta (poi sviluppata e arricchita con elementi inediti da Simona Zecchi nel libro Pasolini, Massacro di un poeta edito da Ponte alle Grazie) aveva tra i suoi punti fondamentali proprio quello che Pelosi non fosse stato arrestato a bordo dell’auto di Pasolini, così come scritto nei verbali ufficiali di quella notte. Le basi su cui si fondava la nostra convinzione erano diverse. La prima era un’evidenza che emergeva dalla documentazione contenuta del fascicolo del primo processo a carico di Pino Pelosi, nella fattispecie sia Graziella Chiarcossi, cugina dell’intellettuale, che Ninetto Davoli nei loro interrogatori non parlavano mai di furto dell’automobile, che poi sarebbe stata una delle prove schiaccianti a incastrare Pelosi per l’omicidio, ma sempre di un ritrovamento. Quella che potrebbe sembrare un’imprecisione, in realtà, è un dato fondamentale per iniziare a comprendere ciò che accadde quella notte, soprattutto se incastrata con un’altra importantissima dichiarazione. Sergio Citti infatti, regista e intimo amico di Pasolini, dichiarò nel 2005 all’avvocato Guido Calvi di aver appreso, immediatamente dopo il delitto e proprio da Graziella Chiarcossi, che in realtà l’Alfa GT venne ritrovata alle 3 di notte abbandonata in via Tiburtina. Per essere ancora più chiari: la Chiarcossi gli aveva confidato di essere stata svegliata alle tre di notte da due carabinieri che cercavano Pasolini per informarlo del ritrovamento della sua auto in via Tiburtina. Solo che Pasolini in casa non rientrerà mai.

Quell’affermazione troverà conferma da parte della cugina dell’intellettuale friulano soltanto oggi, 30 ottobre 2015, in un’intervista rilasciata a Simonetta Fiori per La Repubblica, a distanza di dieci anni dalla dichiarazione di Citti. Ad ampliare i sospetti arrivò la dichiarazione di Piero, nome di fantasia che scegliemmo per proteggere l’uomo che su quella notte e sull’arresto di Pelosi sapeva qualcosa di ben preciso: non venne arrestato a bordo dell’automobile di Pasolini ma a piedi, alla fontanella di Piazza Gasparri a Ostia. E non era il solo a saperlo, lo sapeva tutto il quartiere, quello del Tiburtino, che era sia il suo che di Pelosi. Tutti i dati incrociati nel modo giusto sembravano riscrivere una diversa dinamica sui fatti di quella notte, una dinamica talmente verosimile da mettere in dubbio la veridicità dei documenti ufficiali sull’arresto di Pelosi. Se quell’auto era effettivamente stata rinvenuta sulla Tiburtina doveva necessariamente esserci un verbale a confermarlo. Un verbale che avrebbe cambiato una volta e per tutte la storia di quella notte e che, probabilmente, avrebbe anche cambiato le sorti della vita di Pelosi. Un verbale che cercammo senza mai trovarlo, ma di cui una fonte coperta ci svelò l’esistenza tramite una mail. “So che stai cercando queste informazioni. Quello che ti posso confermare è che oltre al documento che tu cerchi ci sono una serie di altri documenti che afferiscono, citano o fanno capire che quello che cerchi esiste o come amano dire “esiste(va)” in quanto ci si riferiscono direttamente o indirettamente. Il blocco documentale originale credo sia off-limits per tutti nel senso che magari starà in una cassetta di sicurezza di qualche illustre sconosciuto ai più ma, non credo che abbiano (e per questo non aiutano) il controllo certo su tutta la documentazione.

PASOLINIRiassumendo per quello che mi è stato dato di sapere: 1. il malloppone ce lo abbiamo noi e ben custodito; 2. copie o documenti che lo raccontano potrebbero essere ancora sparsi perché sfuggiti alla “censura”, in quanto hanno camminato secondo strade non ufficiali e quindi non tracciate all’epoca; 3. quello che si trova formalmente è quello che si vuol far trovare (ma anche qui qualche dubbio sull’accurata pulizia dei faldoni lo hanno). Ciao.” Il testo integrale della mail, datata 24/02/2012 e edita sempre all’interno dell’inchiesta realizzata per I Quaderni dell’Ora insieme a Simona Zecchi fu ciò che chiarì, a noi, una volta e per tutte che, quello che per qualcuno non sembrò nulla di più che un pasticcio giudiziario, era in realtà qualcosa di ben architettato. Che avrebbe lasciato, per tanto tempo, nell’omertà e nel silenzio uno degli omicidi più oscuri del nostro paese. Numerose inchieste giudiziarie si sono susseguite in questi anni, eppure nessuna di queste ha mai preso in reale considerazione le parole di Sergio Citti, che per primo, anche se dopo tanti anni, diede uno spunto per riscrivere la storia di quella notte. E invece non si è mai voluto dubitare della veridicità della documentazione di quella notte.

Era stato dato per pacifico che Pelosi fosse colpevole e che fosse stato arrestato a bordo di quell’auto perché quel fatto era necessario per dimostrare la sua responsabilità e il suo coinvolgimento in merito all’assassinio. Ma il suo arresto non avvenne in quel modo e la dichiarazione di Graziella Chiarcossi chiarisce definitivamente ciò che è stato ampiamente dimostrato anche in uno dei paragrafi del sopracitato libro inchiesta di Simona Zecchi. Eppure Pelosi di quel momento dice ancora poco e nulla, davanti al momento del suo arresto fa confusione e non riesce a dire quello che oggi sembra un’evidenza più che ovvia: se l’auto di Pasolini venne ritrovata abbandonata in via Tiburtina alle tre di notte lui non venne arrestato così come si è sempre raccontato. Punto. A distanza di un anno continua a sostenere di essere “forse” stato arrestato a bordo dell’altra auto. “Erano uguali” dice “e non mi sono fermato a guardare i documenti, i carabinieri li hanno visti. Io sono stato arrestato a bordo di un’Alfa Gt 2000, non so se era quella di Pasolini”. Eppure non può non ricordare perché lui su quella macchina ci è salito diverse volte prima di quella notte.

Graziella Chiarcossi ha dichiarato a Repubblica che i Carabinieri la avvertirono del ritrovamento della macchina di Pasolini abbandonata sulla Tiburtina, cosa di cui aveva parlato anche Sergio Citti, tu un anno fa sottolineasti la stessa cosa a al Pm titolare delle indagini, Francesco Minisci, e poi dichiarasti su questo stesso giornale di non essere sicuro di essere stato fermato a bordo di quell’Alfa Gt.

“Ah, l’ha ammesso dopo 40 anni eh? Allora cominciano a uscire delle cose. Speriamo che la gente, o la stessa Chiarcossi, tirino fuori anche altre cose, il furto in casa di Pasolini per esempio (Pelosi si riferisce al presunto furto di alcuni documenti, tra cui l’Appunto 21, in casa Pasolini) o perché hanno poi distrutto la sua macchina quando con tutte le altre cose poteva uscire fuori qualcosa”

Dunque?

“Te lo ripeto un’altra volta, era un’Alfa Gt ma non è che stavo a guardare la targa, non guardavo ste cose ma non so se era la stessa o era quella ritrovata a via Tiburtina, io non lo so. Poi mi hanno arrestato, non so se c’è stato qualche scambio”.

Sì, ma adesso è arrivata la conferma di una cosa che tu hai puntualizzato tempo fa. Quindi è vero o 1no che la macchina di Pasolini era stata abbandonata sulla Tiburtina?

“Così le hanno detto due carabinieri, io non so dopo il mio arresto cosa c’è stato, chi è intervenuto e perché. Queste sono le scene del delitto Pasolini”

Proviamo a tornare un attimo indietro nel tempo, secondo le ricostruzioni del tempo tu correvi contromano sul lungomare di Ostia a bordo della macchina di Pasolini quando sei stato fermato dai Carabinieri e quella è stata la prima prova di colpevolezza che poi ti avrebbe legato al delitto. Esistono però delle testimonianze che dicono che quella macchina è stata rinvenuta in un altro luogo e in un altro momento.

“C’è il rapporto dei carabinieri che dice che mi hanno fermato sull’Alfa Gt di Pasolini. Non lo dico io”

Sì, ma è lecito dubitarne viste le altre dichiarazioni.

“Se tu dubiti dei carabinieri so’ cose tue, se tu dubiti va bene. Che c’entro io, sono stato arrestato e ho fatto il carcere. Se hanno preso la macchina e l’hanno portata sulla Tiburtina o quella che guidavo io era il doppione non lo so. Però questo fa tornare tutto perché le macchine sono due: una ce l’ho io e l’altra sta a via tiburtina. Tutto torna”

In che senso?

“Io ho confermato delle due macchine uguali e nessuno ci credeva. Ho detto la verità. Poi c’era la Fiat 1300 o 1500 e poi la moto, quella dei Borsellino, ma non li ho visti in faccia e non credo che gli hanno menato”

Bene, torniamo di nuovo alla macchina. La conoscevi, non puoi non ricordare un dettaglio, qualcosa che confermi se era quella su cui sei scappato l’auto di Pasolini o no. Prova a ricordare quella machina, l’interno di quella macchina.

“Una sensazione, il tipo di guida. Com’era messo il sedile vicino ai comandi. Era più lontano del solito, Pasolini stava più vicino ai comandi e come sono entrato mi sono sentito più a mio agio, non ho dovuto fare il sediolino indietro come le altre volte. Queste sensazioni qua.”

Quindi solo sensazioni. Il fatto reale è uno: la macchina su cui ti hanno arrestato l’avete vista solo tu, Cuzzupè e Guglielmi. Solo tu puoi dire che macchina era.

“Te l’ho detto, mi sono sentito comodo. Oggi comincio pure io a masticare amaro. Ma ho preso la macchina di Pasolini o…? Non lo so che hanno fatto dopo. È importante la storia della seconda macchina perché conferma che non ero da solo, che sono innocente. Non sono passato io sul corpo di Pasolini.”

Martina Di Matteo

L'Autore

1 commento

  1. Speria.o che prima di morrire pelosi dice la verita visto che ha fatto privare il mondo di uno dei migliori intelletuali del 900,non che cambia niente, pero sapere la verita fa sempre bene visto che suo confessione iniziale voleva uccidere pasolini anche nella mente di persone e deve per questo dire la verita

Rispondi a mohammad Cancella risposta