La gente ha sempre dichiarato di voler creare un futuro migliore.
Non è vero. Il futuro è un vuoto che non interessa nessuno.
L'unico motivo per cui la gente vuole essere padrona del futuro
è per cambiare il passato.

Milan Kundera

La politica monetaria non basta, è quella fiscale a fare la differenza

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La scorsa settimana la Bce ha abbassato i tassi di interessi ufficiali di mezzo punto percentuale, portandoli in prossimità dello zero a beneficio dei prezzi di azioni e obbligazioni. Dal picco della crisi dell’euro a luglio 2011, grazie alla politica monetaria della Bce i prezzi dei titoli di Stato italiani (Btp) con scadenze oltre i 10 anni sono aumentati del 50% (nel corso del 2014 si sono registrati incrementi prossimi al 20%). Anche la Borsa italiana dal minimo del 2011 ha registrato un incremento superiore al 50%. Nello stesso arco temporale il Prodotto Interno Lordo (Pil) nominale italiano è rimasto fermo, invariato (è aumentato nel 2011 per poi calare successivamente).

Una dimostrazione da manuale della inefficacia della sola politica monetaria per rilanciare la crescita economica. Certo i cittadini italiani hanno ricevuto un beneficio dal mancato collasso dell’euro e dal forte calo degli interessi pagati dallo Stato italiano sul debito pubblico, che ha risparmiato ai cittadini manovre economiche molto più severe di quelle attuate (e la dinamica del Pil avrebbe anche potuto essere peggiore in assenza degli interventi della Bce). Ma gli essere umani non sono programmati per  ragionare su “ciò che sarebbe accaduto se…”, quanto su ciò che è evidente in superficie.

E ciò che emerge con maggiore risalto è la riduzione dei redditi della maggioranza della popolazione fatta da redditi da lavoro che rappresentano il 65-70% del totale, mentre i redditi generati dalla detenzione di attività finanziarie (titoli di Stato e azioni) sono esplosi accentuando il fenomeno della concentrazione eccessiva del potere di acquisto, che è una delle cause fondamentali della stagnazione del Pil. Quindi la sola politica monetaria ha salvato l’Italia da una deriva modello Argentina (uscita dall’euro, svalutazione, crollo economico, crisi sociale), ma ha prodotto un’accentuazione nella distribuzione del reddito e della ricchezza che minano la coesione sociale.

È la politica “fiscale” (spesa pubblica, tasse, riforme) che è in grado di dare uno stimolo alla crescita economica e alla redistribuzione del reddito. Ma questa leva non si può usare a causa del “combinato disposto” di un debito pubblico italiano eccessivo (fatto esplodere negli anni di crescita economica, quando sarebbe stato saggio ridurlo come ha fatto Clinton negli Usa) e dal dominio nel pensiero economico mondiale del mantra “la politica fiscale espansiva è cattiva politica”. E non è solo l’Europa ad essere vittima di questo pensiero dominante: anche quasi tutti i paesi emergenti con i conti dello Stato in perfetto ordine (ben al di sotto dei parametri di Maastricht) perseguono una politica fiscale restrittiva o neutrale. Quando si scrive di economia si finisce troppo spesso per rammentare qualche illuminante frase di Keynes, in questo caso quella sulla importanza delle idee (degli economisti) che sono alla base della azione dei politici anche decenni dopo la loro elaborazione.

Mario Zanco

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