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“Ritratto di una Capitale”, a teatro i racconti sulla Roma amata e tradita

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Uno sguardo collettivo sulla Roma di inizio millennio è il vero battesimo della nuova direzione del Teatro di Roma targata Antonio Calbi. Per raccontare le mille sfaccettature della città, in uno spettacolo-maratona andato in scena nei giorni scorsi al Teatro Argentina, Calbi ha chiamato intellettuali e artisti, romani e non, (impossibile citarli tutti si va da Affinati a Di Cataldo, a Pavolini, da Timpano a Suriano, da Celestini a Stancanelli a Valeri e tanti altri) frantumando il lavoro in ventiquattro racconti, quanto le ore di una giornata.

Ritratto di una capitaleNe è nata un’opera collettiva “Ritratto di una Capitale” e transgenerazionale che disegna i diversi luoghi della capitale e le sue mille possibilità. Ci sono gli abitanti di una San Lorenzo irriconoscibile a causa del cambiamento del tessuto sociale delle ex periferie (la cosiddetta gerentrificazione) che invece di migliorarle le ha consegnate al caos, c’è la periferia attuale che tanto ci ricorda Tor Sapienza, un posto dove “nessuno capita per caso”, con la sua alienazione tra trans, teppisti e desiderio di fuga ma anche Piazza Vittorio e Trastevere. E ancora emarginazione, violenza e il rapporto con l’altro, lo straniero accolto dal calore romano di un vecchio pensionato o respinto dagli stessi romani sia esso africano, romeno o americano.  Una Roma dolorante che vede abbandonate le sue periferie mentre il suo centro storico viene consegnato in ostaggio ai turisti. Amata e tradita, accogliente e violenta essa ha una complessità difficile da restituire.

Per vedere la città- una città scomposta, con tutte le sue criticità -bisogna immaginarla con la forza evocativa dello spazio scenico, uno spazio qui praticamente vuoto animato dai corpi degli attori, dalla musica eseguita dal vivo, dal set virtuale- curato da Luca Brinchi, Roberta Zanardo/Santasangre e Daniele Spanò- e dalle tante storie che si susseguono una dopo l’altra talvolta incrociandosi per un breve momento.

Spiega Antonio Calbi: “Generalmente sul palcoscenico si portano drammi di famiglie, persone, generazioni ecc. Ecco noi abbiamo portato un’intera città”. E non una qualsiasi. “La sfida lanciata è stata quella di tentare di capire l’identità di Roma, un’identità che sfugge, per raccontare una città nella sua interezza, come corpo vivente”. Un progetto che il direttore prevede possa continuare con una “Sinfonia d’Europa”, con 27 “cartoline teatrali” inviate dalle altre capitali Ue. Se qualche racconto risulta meno riuscito dell’altro talvolta per un eccesso di retorica, talvolta per inesperienza – l’aver coinvolto autori meno usi all’arte scenica ha avuto i suoi limiti – tuttavia l’opera vive di se stessa, del suo aprire il teatro ai romani, del ricreare un rapporto tra scena e vita reale senza indulgere in inutili realismi. E perché no, del restituire il teatro ai suoi artisti. “Gli spazi di libertà devono essere conservati” afferma Calbi perché è partendo dalla cultura (“un dovere politico e morale”) che si può restituire una città ai suoi cittadini”. Anche se, come recita nel prologo del lavoro Corrado Augias “di una capitale Roma è molto di più ma anche molto di meno”.

Laura Landolfi

L'Autore

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