La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Ottimizzare lo smaltimento: dall’Italia l’innovazione bioedilizia

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“Una dimensione rinascimentale del sapere” è una frase che colpisce e che servirebbe in questo momento in Italia; un nuovo Rinascimento, ricco di molte visioni e polifunzionalità: “Non si può avere una sola visione – dice risoluta Daniela Ducato  a FUTURO QUOTIDIANO, fresca del premio Minerva (uno dei tanti) per l’imprenditoria, con la sua progettazione e produzione di materiali che dalla natura ritornano in natura grazie alla sua azienda di bioedilizia Edilana -: ci vuole multidisciplinarità e intelligenza delle persone nelle competenze e la loro esperienza; noi siamo un po’ rinascimentali, l’unione delle arti e dei mestieri sono una caratteristica del nostro made in Italy”. L’imprenditrice sarda Daniela Ducato è molto fiera di quello che ha fatto: ha trasformato le eccedenze di ciò che si trova in natura in materiali per l’edilizia, ha ottimizzato lo smaltimento.

Edimare, la lana che proviene dal mare

bioedilizia

Edimare

Gli isolanti termici, per esempio, sono prodotti solo con lana di pecora sarda le cui scaglie danno alla fibra ruvidezza e permettono di trattenere una maggior quantità d’aria e dunque avere un eccellente isolamento termico che rimane costante anche in presenza di umidità. Ma oggi c’è anche Edimare, la lana di mare ottenuta dalle eccedenze di posidonia spiaggiata, che unita alla lana ovina ha permesso di creare un isolante termico unico al mondo con cui si risparmia fino al 30% in più di energia rispetto alla fibra di legno e ad altri materiali coibenti. Un team di sinergie si è unito, di maestri industriali, di imprenditori, non solo della Sardegna, ma anche del resto d’Italia. ”Insieme si superano difficoltà, – spiega l’imprenditrice sarda – si risparmiano denari pubblici perché bisogna investire in cose che già ci sono, in prodotti che traducono il territorio; così si riesce a fare a meno nella petrolchimica”. Perché è questa la missione della sua azienda: utilizzare quello che si ha intorno, nella propria terra, sia come paesaggio materiale che come paesaggio immateriale. Dalle eccedenze del latte si ottengono collanti per le pareti; dall’eccedenza vegetale, come la paglie del grano, nascono gli intonaci, dalla sottolavorazione dell’olio d’oliva un prodotto che fortifica la malta e dà trasferibilità agli additivi dell’edilizia, dalle cave sarde ceramiche e piastrelle. Si creano isolanti termici acustici, intonaci, pitture, colori, pannelli di fibre vegetali e di lana di pecora, terra cruda, pareti e tetti, tutti realizzati con un’ingegnerizzazione industriale all’avanguardia.

L’impegno per rispettare la natura

“Io sono della Sardegna, – prosegue la Ducato – la prima terra di Europa emersa nel Mediterraneo. Millenni che si traducono in una straordinaria diversità e biodiversità, in una ricchezza di materie prime naturali che raccontano una storia millenaria”. Fondamentale è la tracciabilità: “la geografia del materiale, l’origine, la storia delle persone che lo producono, deve risultare in un’etichetta. Cosa molto semplice se uno ha la coscienza a posto”. La tracciabilità è importante per la difesa dell’ambiente e dei diritti dei consumatori, ma soprattutto per la tutela delle persone che vengono sfruttate. Le Informazioni di base devono essere obbligatorie nell’etichetta, perché pongono il produttore davanti alla sua etica. A livello politico si potrebbe fare tantissimo e subito, ma vige il potere delle multinazionali delle materie rinnovabili. Con la green economy c’è un abuso salariale, e il settore dell’edilizia e della bioedilizia, fatto del 70- 80 % di materie prime, passa per lo sfruttamento delle donne perché costano molto meno degli uomini. In Italia, per fare energia pulita, prima si distrugge il territorio, si coltivano piante considerate rinnovabili, che però tolgono biodiversità e non raccontano più il paesaggio: “Siamo in mano a multinazionali a stretto legame con chi determina scelte politiche di un certo tipo. È come se si avesse una sorta di protezionismo di materiali dell’edilizia, una completa dimensione di ostaggio di una petrolchimica che detta le regole e le leggi. Io voglio fare un’architettura di pace, non produrre guerra attraverso materiali petrolchimici che inquinano, impoveriscono, creano conflitti sociali. Noi abbiamo il potere di fare una scelta diversa. Io credo in una scelta diversa”.

L’attività più impattante, l’edilizia

L’edilizia è l’attività umana più impattante che esista al mondo dal punto di vista ambientale e per fortuna c’è una consapevolezza da parte dei progettisti che è molto elevata e che scelgono i prodotti con la giusta attenzione: “se non si usano materiali inquinanti, – dice la Ducato – si coltiva la bellezza del paesaggio, si mantengono gli equilibri naturali, sugherete, pascoli di pecore, la buona gestione delle cave e tutto ciò che offre la biodiversità geologica”. Bisogna poi preoccuparsi di che cosa succederà nel post consumo, poiché si lasciano materiali problematici petrolchimici che qualcuno dovrà riciclare, riutilizzare: “noi realizziamo prodotti dalla terra alla terra, nati da una eccedenza, da una abbondanza che offre la natura e finito il loro ciclo di vita ritornano nella terra feconda senza neanche essere spostati dal luogo in cui si trovano e non subiscono altri cicli di lavorazione. Produciamo senza petrolchimica e senza materiali rinnovabili, che derivano da sfruttamenti di agricoltura o di persone; e produciamo a km 0, che preferisco chiamare km corto, perché il materiale è sul posto e non deve essere importato. Perché non continuare su questa strada?”

Stefania Miccolis

L'Autore

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