Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

Sono come tu mi vuoi

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sono come tu mi vuoiAmmettiamolo, quale donna sulla trentina senza uno straccio di fidanzato quando ha ricevuto la partecipazione di matrimonio della tanto “amata” cugina più piccola, non ha pensato di farsi accompagnare da un belloccio pur di non andare da sola a sorbirsi i commenti del parentado? Ebbene si, nessuna! Ho provato a cercare su internet ed eccoli qui: belli, aitanti e buoni ascoltatori, sono questi “gli uomini del piacere” che soddisfano i desideri sessuali di donne di ogni età. Navigando in rete ci sono siti di agenzie o profili personali corredati di foto di corpi seducenti, listino prezzi in base alla durata del “noleggio” e listino prestazioni: “Sarò come tu mi vuoi, elegante o sportivo, dolce, solare e sensuale. Quello che offro è un servizio ad alto livello professionale, dando e chiedendo riservatezza, serietà e massima igiene”. Questo? Uno slogan tipo. In sostanza è questo ciò che promettono questi sex worker, ma in realtà non è quello che forse ogni donna vorrebbe sentirsi dire?

Dai sondaggi emerge che tra il gentil sesso, una donna su quattro ha pensato almeno una volta di pagare per avere un rapporto; quasi due su dieci l’hanno fatto concretamente. Se fino a qualche tempo fa, si pensava solo alle belle e giovani escort e alle fantasie maschili, oggi dobbiamo fare i conti con un’esigenza che è anche femminile. In realtà quello che manca specificamente alle donne (cosi come agli uomini del resto) non è tanto il sesso in sé per sé ma il fattore scatenante è invece la carenza affettiva dovuta alla solitudine dell’essere single o alle mancanze e carenze del partner. Si parla, si va a cena insieme o alla mostra di quell’artista famoso, lo si può “noleggiare” per fare ingelosire un ex, insomma non è detto che gli incontri con un gigolò si concludano con una prestazione sessuale, qualcuno si limita ad una chiacchierata, per sfogarsi, per sentirsi ascoltata. In questi casi emerge chiaramente la tematica di solitudine e frustrazione in cui queste persone sono intrappolate. Un vuoto che porta a mercificare qualcosa che, per definizione dovrebbe caratterizzare l’essere umano: la relazione con l’altro e il bisogno di essere amati.

Mi viene da pensare che quello che si celebra in questi rapporti a pagamento è l’incontro tra due solitudini, pagare il corpo dell’altro, quando anche la presenza dell’altro, restituisce, forse, almeno nella finzione, l’illusione di non essere soli. Quest’ aspetto induce a riflettere, quindi, sulla duplice valenza del fenomeno, poiché, sembrerebbe presente l’idea che un gigolò “costa” meno, in termini affettivi, ovviamente, rispetto agli uomini che chiedono senza mezzi termini impegno e responsabilità. Alla luce di ciò, frequentare un uomo a pagamento non solo appare più rassicurante, ma permette alla donna di sentirsi “femmina” attraverso l’esercizio del potere legato al denaro, potere che per millenni le è stato negato. Certo, in questi casi si può godere di un sesso più appagante. Solitudine, incapacità di relazionarsi, affermazione di sé e del proprio potere in cui l’altro diventa figura accessoria, strumento di piacere… Stabilire una regola valida per tutti è impossibile, ma quello che sembra evidenziarsi in questa modalità di entrare in contatto con l’altro è l’assoluta necessità del “cliente” di assumere un ruolo di centralità che non sempre e non solo ha a che fare con il ruolo e il piacere sessuale. Questo fenomeno pubblicamente criticato, ma in realtà culturalmente accettato,è talmente diffuso che ne usufruiscono anche soggetti già impegnati in un rapporto di coppia. Sicuramente non è facile confessarlo, nemmeno agli amici, complice della segretezza, un contesto sociale che per tradizione rifiuta l’idea che il sesso possa diventare oggetto di una prestazione a pagamento.

Valentina De Maio

L'Autore

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