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Gianni Rodari

SUFI NETWORK…L’ALTRO ISLAM

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Ci spalanca le porte di un mondo affascinante, vicino e lontano al tempo stesso, svelandoci l’esistenza di una componente viva e complessa dell’Islam anche contemporaneo, il libro “Sufi Network. Le confraternite islamiche tra globalizzazione e tradizione”, edito da Jouvence a firma di Francesco Alfonso Leccese, docente di Cultura e Società dei Paesi di Lingua Araba all’Università Unint di Roma. Un libro, dal taglio scientifico, ma dal linguaggio divulgativo, che contribuisce a dissolvere certi luoghi comuni, duri a morire, che sono il risultato di sedimentate deformazioni orientaliste, che continuano a condizionare il nostro approccio, l’approccio dell’Occidente, a certi temi. Luoghi comuni, che rischiano di portarci assolutamente fuori strada nel confronto e tentativo di dialogo con il mondo musulmano.

Nel nostro immaginario popolare collettivo l’identikit dei sufi è assai favolistico e varia dal poeta d’amore delle corti medievali islamiche, al mendicante dotato di poteri magici, al guaritore. Dal fachiro in grado di camminare sui carboni ardenti o di ingoiare serpenti, di cui è infarcita certa letteratura di viaggio britannica, francese, olandese e italiana di epoca coloniale, ai dervisci rotanti, iconograficamente impeccabili nello loro vesti lunghe e cappelli cilindrici, protagonisti degli spettacoli folcloristici, che le agenzie di viaggio propongono spesso a chi sceglie determinate mete come Turchia e altri paesi del Medio Oriente, del Nord Africa e del continente asiatico.

Questo saggio, già dal titolo e dal sottotitolo, ci evoca con grande immediatezza e forza un’idea dei Sufi ben diversa, che scardina d’un colpo quella stereotipata. Ci dice subito che i Sufi non sono ciarpame da gran tour, che non sono un fenomeno fuori del nostro tempo, che non hanno niente a che vedere con le pratiche New Age o con certa vulgata consumistica delle tecniche yoga, ma che sono una realtà, che fa parte integrante della cultura islamica. Una realtà, custode di una straordinaria tradizione speculativa, fatta di ricerca spirituale e di una lettura profonda degli insegnamenti coranici, che va oltre i significati esteriori. Una realtà che partecipa al dibattito sui nuovi cammini che l’Islam ha dinanzi.

Una realtà, con la quale, nel corso dei secoli l’Occidente più o meno sotterraneamente ha intrattenuto fecondi rapporti. E’ accaduto nel Medio Evo: Dante Alighieri, secondo alcuni eminenti studiosi, conosceva sicuramente le opere del Ibn Arabi, il doctor maximus, il Muyddin, ossia il vivificatore della religione, come è stato denominato (morto 20 anni prima che lui nascesse a Damasco il 16 novembre 1240) e la Divina Commedia conterrebbe molteplici riferimenti ai suoi scritti. Ed è accaduto anche in epoche successive. Nello scorso secolo grandi intellettuali come Titus Burckhardt, Martin Lings, Michel Vâlsan, Rene Guenon si sono occupati di sufismo e di esoterismo islamico. Guenon addirittura nel 1930 si trasferì al Cairo, dove visse per il resto della vita, entrando in relazione con una importante confraternita sufi la Ḥāmidiyya Šāḏiliyya e dove divenne noto come šaikh ‘Abd al-Wāḥid Yaḥyā. Guenon era innamorato dell’Islam e criticava la civiltà occidentale moderna, invocando una riscoperta dell’antica sapienza, che riteneva fosse ancora viva in alcune espressioni spirituali d’Oriente, come il Sufismo appunto.

Oggi a farci conoscere i Sufi, in maniera più amplificata e più semplificata rispetto ai tempi di Guenon, come ci racconta il professore Leccese, ha contribuito e sta contribuendo in maniera straordinaria anche la cultura pop, attraverso l’arte e la musica: in Italia ci hanno pensato Franco Battiato, e più di recente i Radiodervish, un gruppo musicale di nicchia barese. Nel mondo, grandi contributi sono attivati da Madonna e Demi Moore che con i loro videoclip dedicati al grande poeta sufi e mistico medievale Jalal Al-Din Rumi hanno contribuito a fare anche la fortuna degli editori del celebre derviscio rotante, le cui raccolte in versi negli Stati Uniti sono diventati best seller, che ormai vendono più di Dante e Shakespeare. E ancora, da Cat Stevens nome d’arte di Steven Demetre Georgiou, crismatico cantautore britannico, che si convertì clamorosamente nel 1977 cambiando il suo nome in Yusuf Islam, che con la sua fondazione Fons Vitae si batte insieme al figlio in prima linea per promuovere l’integrazione e il sostegno ai rifugiati e che lo scorso anno ha lanciato a Londra con gran clamore di stampa il Progetto Ghazali, che mira a diffondere l’Islam dell’amore e della pace in nome del grande pensatore e sufi medievale al Ghazzali, appunto .

E penso a un’altra superstar della musica, il senegalese Yossou N’Dour, che è stato anche ministro della cultura, vincitore del Grammy Award con l’album Egypt, che gli ha procurato l’accusa di blasfemia. Ecco questo libro ci spiega anche il modo attraverso il quale il Sufismo, sia in passato che oggi, sia riuscito a comunicare con chi non appartiene affatto alla cultura islamica. Ma, quel che è più importante, e va sottolineato, ci fornisce gli strumenti critici per accostarci ad una particolare espressione dell’Islam, senza pregiudizi, e attraverso la conoscenza della sua storia.

Una storia, finora poco nota, ma affascinante, che qui viene ricostruita nei suoi momenti più importanti, momenti fatti di gloria, di dialettica serrata con il potere, ma anche di persecuzioni. Non solo. Da questa ricerca fatta sul campo, in paesi, come l’Egitto, il Marocco, il Senegal, emerge che nel mondo islamico contemporaneo – ma anche nella stessa Europa, in Germania e Gran Bretagna, in particolare- c’è una fortissima presenza di confraternite sufi che hanno radici antiche, che continuano ad essere radicatissime sul territorio, come del resto dimostrano anche i numeri.

 

In Egitto ad esempio sono 15 milioni gli appartenenti alle confraternite sparse in tutto il paese. Un paese, per altro, in cui il Sufismo, da Saladino ai nostri giorni, passando per Nasser, Sadat, Mubarak, ha fatto parte integrante dell’establishment politico, sia pure con alterne fortune. Un paese in cui le confraternite sono regolate da una precisa e capillare normativa. Cosa che ci dimostra la loro piena accettazione da parte dell’Islam.

Le Confraternite sufi sono rimaste infatti sempre – con delle eccezione, è ovvio- saldamente nell’alveo della ortodossia e ortoprassi islamica. Un’aderenza codificata fin dal Medioevo – epoca in cui in seno all’Islam a ogni cosa fu dato un ordine- dal grande pensatore al Ghazali (Tus, 1058 – Tus, 19 dicembre 111), che nella sua opera IIḥyāʾ ʿulūm al-dīn (La rivivificazione delle scienze religiose), una vera e propria summa del sapere islamico dell’epoca, si occupò del Sufismo, facendolo assurgere a scienza da insegnare nelle moschee ‘Ilm al-tasāwwuf.

Il Sufismo è stata anche la componente dell’Islam che forse più ha contribuito alla diffusione del Sunnismo nel mondo, alla sua affermazione e integrazione. Il Sufismo è l’Islam raffinato, colto, l’Islam che si offre al dialogo, l’Islam della ricerca interiore, del perfezionamento di se stessi attraverso la sintonia con l’universo, attraverso l’amore per le sue creature e per Dio, attraverso la solidarietà con il prossimo. Il Sufismo è quell’Islam della tolleranza che è pure primo bersaglio del Wahabismo rigorista, del Salfismo e del Fondamentalismo. Ne sono una conferma gli attentati di cui molte confraternite e mausolei spesso in questi anni sono stati oggetto, l’ultimo in ordine di tempo, quello di novembre contro la moschea di al Rawda in Sinai, una vera e propria strage in cui sono rimasti uccisi oltre 300 fedeli. Ma se i sufi sono bersaglio dell’Islam violento, sono anche la speranza, secondo molti analisti, che esso possa essere sconfitto. I sufi hanno gli strumenti religiosi, la cultura e le capacità intellettuali di attrarre i giovani, di affascinarli e allontanarli dalle tentazioni del radicalismo.

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