La gente ha sempre dichiarato di voler creare un futuro migliore.
Non è vero. Il futuro è un vuoto che non interessa nessuno.
L'unico motivo per cui la gente vuole essere padrona del futuro
è per cambiare il passato.

Milan Kundera

Tutti pronti a parlare di Brexit, ma pochi sanno cosa significherà

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brexit-1Ieri sera sono andato a dormire abbastanza tranquillo che il pericolo fosse scampato. Per chi vive tra Roma e Londra, indubbiamente, l’allargarsi della Manica rischia di determinare qualche allungamento nel viaggio che intraprendo, quasi ogni settimana, per spostarmi dalla periferia d’Europa verso quella che è la capitale del mondo (e basta andare a controllare la classifica delle metropoli sul numero di arrivi negli aeroporti per rendersene conto). Stamattina il cellulare ha cominciato a registrare messaggi preoccupati – da una parte e dall’altra delle destinazione del mio “eterno ritorno” – dalle sei e mezza. E ho capito, subito, dall’insistenza che i sondaggi erano stati, di nuovo, sbagliati. Sono dispiaciutissimo e preoccupato. Ma so anche che i terremoti aprono voragini e grandi opportunità. Sono dispiaciutissimo ma so che l’Europa per salvarsi ha bisogno di uno shock e che la stessa cosa vale per il Regno Unito e per un Occidente che, semplicemente, sta perdendo per strada il suo istinto a viaggiare. Sono dispiaciuto ma sento anche quella ebbrezza che accompagna le stagioni di grande cambiamento. Un cambiamento che sta, comunque, per cominciare e starà dalla parte di chi la trasformazione vuole viverla, capirla, affrontarla.

Tre considerazioni che propongo a me stesso e ad altri per cominciare (finalmente) a ragionare di futuro.

Innanzitutto, molti, troppi in Europa (e non parliamo dell’Italia) parlano di problema per il Regno Unito. Vero. I sudditi di sua maestà hanno votato (smentendo l’idea che molti hanno) contro i loro interessi economici. I mercati lo hanno immediatamente dimostrato; così come ci ha messo non più di un’ora la leader del Partito Nazionalista Scozzese per ricordare al Regno che esso stesso non sarà più unito. Sento però anche dire che è un bene per l’Europa che gli inglesi se ne vadano e qualche intellettuale all’amatriciana sproloquiare sul fatto che, in fondo, la Britannia non è che sia una grande potenza.

Tutto ciò fa sorridere. Amaramente. Che l’Inghilterra sia, ancora, uno dei Paesi più importanti del mondo, lo dice il numero di italiani che vi sono emigrati e, soprattutto, la loro qualità. Ma c’è di più: l’Inghilterra definisce – più di qualsiasi altro Paese e alla pari degli Stati Uniti d’America – la modernità: i suoi strumenti (dai format dei media fino al classificazione delle riviste scientifiche; e non è solo questione di vocabolario); i suoi simboli (dalla musica fino all’ambientazione dei film); i suoi luoghi di elaborazione (dalle “think tank” fino alle grandi università). A perderci è, anche, l’Europa, tantissimo e qualsiasi minimizzazione rischia di aggravare il problema.

In secondo luogo, allora, di che ha bisogno l’Europa visto che l’effetto domino è una possibilità concretissima? In cosa consistono le riforme di cui tutti parlano e nessuno precisa? Diciamo che l’Europa ha bisogno, semplicemente, di essere smontata e ricostruita su altri principi. È giusto ricordare con forza quanto sia importante la memoria storica e quanto grande sia stato il merito di aver evitato per più di mezzo secolo conflitti nel continente che nel mezzo secolo precedente fu il centro delle più sanguinose guerre della storia. E tuttavia qui il problema è un altro: di che Europa abbiamo bisogno ora e per i prossimi sessanta anni, laddove stiamo entrando, per effetto di una rivoluzione tecnologica che in buona parte non capiamo, in un altro mondo?

La ristrutturazione deve essere radicale: della Commissione Europea, perché non ha più senso che politiche importanti siano gestite (a Bruxelles come a Roma) da funzionari che non possono essere licenziati se falliscono ripetutamente; del budget perché dopo essercelo detti mille volte, finalmente ridefiniamo come spende la Commissione Europea i mille miliardi di euro che ha a disposizione per sette anni, perché non ha più senso investire un terzo di questo denaro sulla protezione degli agricoltori, laddove forse sarebbe assai più utile offrire a tutti gli studenti europei un periodo di studio all’estero; dei meccanismi di democrazia perché se questa storia del “deficit democratico” non si risolve, mai potremo avere una maggiore unione politica ed è meglio fare marcia indietro.

In terzo luogo, dobbiamo anche essere consapevoli che, persino, parlare d’Europa non basta. La crisi che viviamo è più ampia e basta volgere lo sguardo verso il basso (la politica nei singoli Paesi, ad esempio quella che abbiamo vissuto con le elezioni comunali) o verso gli Stati Uniti per rendersene conto. Ad essere in crisi tutta la politica. Anzi tutto l’Occidente, anzi lo spirito dell’Occidente che era fatto di navigazioni, di scoperte e di corse nello spazio. Ed è una crisi che precede l’immigrazione (che, peraltro, è stata molto più forte in altri periodi storici) o la stagnazione economica. Abbiamo perso – come società – la capacità di andare verso il futuro, di anticiparlo.

Questo dice il referendum di ieri. Come momento di lacerazione di un’unione tra culture diverse ma comunque affini. Stiamo andando verso la disintegrazione come categoria dello spirito. E abbiamo problemi che richiedono visione, pragmatismo, leadership. Le reazioni del presidente della Commissione Europea che sembra, soltanto, preoccupato di gestire la nuova crisi (e dal negoziato con il Regno Unito per l’uscita) e non già di risolvere quella più generale, dimostrano con chiarezza che il futuro lo dobbiamo trovare con altri protagonisti e metodi. Sono assai dispiaciuto per il risultato. E a questo punto dovrò considerare l’ipotesi di diventare anche io suddito di sua maestà (magari accettando quella proposta di matrimonio da parte di Lady Keira). Francamente però sentir parlare improvvisati europarlamentari italiani (di cui non è dato conoscere le competenze) di irresponsabilità del Governo Inglese che avrebbe osato far esprimere il “popolino” su importanti questioni internazionali, significa essere fuori dal mondo (perlomeno da questo mondo).. dimostrare che forse gli inglesi non hanno torto a sentirsi diversi da noi sul piano dei valori.. significa essere parte (importante) del problema (enorme) che dobbiamo, a questo punto, risolvere (e che si chiama crisi dell’Occidente di cui l’Europa è parte) chiedendo ai parrucconi senza idee di concedersi un turno di riposo. Onore a David Cameron. E pensiamo ora – insieme anche ai giovani britannici che in massa hanno votato per il “remain”- a ricostruire un’Europa adeguata al ventunesimo secolo capace di ispirare, di nuovo entusiasmo e riaccogliere tra qualche anno il Regno Unito (o l’Inghilterra) che è (nonostante il vaneggiamento di qualche intellettuale all’amatriciana) e rimarrà uno dei Paesi che più di tutti ha contribuito a definire la modernità.

Francesco Grillo

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