La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Tv, anche i Floris appassiscono. Parola di massmediologo

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Prima o poi tutti i Floris appassiscono. La seconda puntata della “guerra dei talk show” testimonia come forse una stagione televisiva è (quasi) finita. Se diMartedì “festeggia” un timido recupero che lo posiziona a un modesto 4,23% di share, Ballarò condotto da Massimo Giannini dimezza gli ascolti, perdendo un milione di contatti in una sola settimana. Come se non bastasse è arrivata ieri l’abiura di Michele Santoro che ha annunciato la crisi del modello di cui è stato ispiratore e ha paventato il suo ritiro con un post al vetriolo su Facebook (“Questa è l’ultima stagione di Servizio Pubblico”). Appena iniziata, insomma, la maratona televisiva annaspa tra fuga degli spettatori, giovani su tutti, e carenza di idee. Guerino Nuccio Bovalino, massmediologo e ricercatore del Ceaq della Sorbona di Parigi, ne parla a FUTURO QUOTIDIANO.

Professore, possiamo parlare di una crisi irreversibile dei talk show politici?

La crisi dei talk show ancor prima di essere una crisi del format è lo specchio che riflette la saturazione di alcuni personaggi e del modo in cui vengono ritualmente affrontate le questioni politiche. Una crisi oltretutto figlia di un contesto storico post-televisivo che tarda a essere accettato. Il tentativo di rinnovarsi pescando fra le firme in vista della carta stampata o il passaggio di noti conduttori a altre reti ritenute più cool è solo l’ultima illusione di rinascere dalle proprie ceneri. Il risultato è la sensazione di un fastidioso eterno ritorno di coloro che vengono considerati la casta dell’informazione, odiata tanto quanto la più famigerata casta politica.

bovalino

Guerino Nuccio Bovalino, massmediologo

Come sono percepiti dal pubblico i vari Ballarò, Porta a Porta, diMartedì? 

I talk show sono percepiti come fossero una recita, uno spettacolo di teatro fra attori consanguinei, una élite di pseudo-progressisti e politici che giocano a fare i duellanti. Ormai sono stati smascherati. Il passaggio di testimone dalla televisione alla rete come fonte  primaria di informazione, fra gli addetti ai lavori e non, ha sancito la rottura fra un certo mondo tradizionale di comunicare la politica e gli spettatori-elettori. La rete ha smascherato le ipocrisie di chi vorrebbe spiegarci come va il mondo da uno studio televisivo che impedisce la replica immediata dello spettatore alle loro parole.

Cosa intende di preciso?

La tv di approfondimento politico era il luogo in cui andare a fondo nella realtà dei problemi. Oggi è divenuta solo una patina superficiale che tratta le questioni politiche in maniera retorica e prevedibile. La gente preferisce l’informazione cruda e senza filtri. Ognuno di noi, accendendo la tv, potrebbe già anticipare le parole gonfie di luoghi comuni con le quali un certo personaggio politico sviscererà uno specifico argomento. La rete consente di andare oltre quella patina e ospita il retroscena reale delle notizie “recitate” in tv.

La rete è diventata centrale, quindi. Più della televisione?

L’approfondimento c’è solo in rete ormai, l’unico retroscena possibile per trovare il significato reale dei fatti che i talk show non mostrano. La rete non è la custode della verità ma nella nostra navigazione possiamo incrociare le diverse verità, diversi punti di vista che ci consentono una conoscenza dei fatti più complessa, meno banale. In rete inoltre l’informazione non è unidirezionale, si può agire sulla notizia, da consumatori di news si diviene produttori di una capillare controinformazione.

In effetti i dati registrano una fuga del pubblico giovanile dalla tv tradizionale.

I giovani non solo prediligono informarsi sul web anziché guardare i tradizionali talk show, ma sono oltretutto attratti dalla dimensione impolitica e transpolitica alimentata dai nuovi media. La politica da campo privilegiato del dibattito è uno dei vari ambiti del quotidiano nei quali i giovani compiono invasioni dissacratorie, ironiche, ludiche. La rete ha creato i populismi digitali con le sue utopie tecnodemocratiche, ha offerto una piattaforma espressiva a movimenti di contestazione come Anonymous, ma nella maggior parte degli utenti ha solleticato passioni molto lontane dall’attivismo politico. Vi è un totale disinteresse per la politica e di contro una immersione nel giocoso mondo delle svariate tribù digitali di cui si fa parte per affinità di hobby o passioni. Per non parlare della pornocultura on line, che ha fagocitato gran parte del traffico in rete.

Quali sono degli esempi di nuove fonte di informazione?

La disaffezione ai talk show va di pari passo con la passione per i siti nei quali la politica viene analizzata in maniera originale e realistica, Dagospia su tutti. Nel sito di Roberto D’Agostino la politica è mostrata come luogo del potere e delle relazioni e si esplicita nella sua essenza più gustosa: un mix di cultura pop, icone e trash. Alto e basso. Una politica che esce dai salotti televisivi e dalle riflessioni ipocrite dei soliti noti, e viene invece denudata e offerta in pasto ai lettori come fosse un romanzo o un telefilm. Non è un caso che il telespettatore preferisca la politica immaginaria raccontata da serie televisive come House of Cards al solito frullato di luoghi comuni dei nostri studi televisivi. Si percepisce più autentico il cinismo dei finti politici raccontati nelle serie tv che il buonismo esibito in tv dai nostri veri politici. Allo stesso modo un disagio profondo lo creano i conduttori. Coprotagonisti di una informazione che è talmente costruita da avere il sapore di una messinscena permanente.

berlusconi sediaMichele Santoro, a quanto sembra, ha detto basta.

Merita l’onore delle armi. La sua resa è una presa di coscienza che ci costringe a riconoscere una capacità di lettura del nostro tempo maggiore rispetto ai colleghi. Forse la fine del talk show l’ha sancita Berlusconi  nel suo scontro finale con Travaglio in casa Santoro. Il gesto di spolverare la sedia è stato il culmine di un tipo di politica televisiva, l’estremizzazione, l’apice del godimento da talk show. Ora è solo discesa continua.

Prevede che ci possa essere una soluzione?

Sicuramente non basterà Benigni a risollevare il talk show. Ciò che pare certo è che la Rete sta creando nuovi opinion leader, personaggi capaci di affrontare la politica contestualizzandola alla quotidianità che viviamo. Il medium di riferimento è cambiato, dalla tv alla rete. Ciò porterà un modo diverso di comunicare e dibattere sui problemi e di conseguenza un nuovo linguaggio. Ma il punto è riuscire a parlare di ciò che è urgente per la vita quotidiana di un singolo cittadino, ormai stanco della spettacolarizzazione dei problemi e dei profeti che ripetono la medesima filastrocca da anni.

Ilaria Pasqua

L'Autore

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