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Pietro Barilla

Venti di guerra sul Golfo. Trump studia come neutralizzare il Congresso

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Forti venti di guerra spirano sul Golfo. La tensione tra Teheran e Washington è cresciuta nelle ultime settimane. Gli Stati Uniti hanno ridotto il personale della loro ambasciata a Baghdad e chiesto al governo iracheno di scegliere da quale parte stare. Il presidente americano Donald Trump intanto, secondo quanto riferisce la Nbc, avrebbe mobilitato il suo staff per cercare di trovare il modo in cui poter legittimamente attaccare l’Iran senza il permesso del Congresso. E l’opzione alla quale starebbero lavorando gli esperti dell’amministrazione è la risoluzione che venne varata dopo l’11 settembre che dà potere all’inquilino della Casa Bianca di usare in qualsiasi momento la forza contro nazioni, organizzazioni o persone coinvolte a qualsiasi livello negli attentati terroristici di quel giorno.

Nel caso dell’Iran, spiega la Nbc, Washington starebbero raccogliendo prove su presunti legami tra Teheran e al- Qaeda per trasformare il paese degli Ayatollah in una minaccia terroristica per gli Stati Uniti. Una prospettiva considerata devastante dalla maggior parte dei democratici e anche da alcuni repubblicani, che sono convinti che l’Iran non abbia avuto alcun  ruolo negli attacchi dell’11 settembre, sono fortemente contrari a impegnare le forze statunitense in un’altra guerra, e ritengono che il Congresso abbia concesso nel corso degli anni troppo potere all’autorità presidenziale.

Nel frattempo l’amministrazione Trump sta mettendo in atto una serie di iniziative strategicamente finalizzate al suo obiettivo e a un anno –era l’8 maggio del 2018- dalla decisione unilaterale di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano e ripristinare le sanzioni contro Teheran, ha incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche le Guardie della Rivoluzione, i pasradan iraniani, e immediatamente dopo, ha inviato nel Golfo la portaerei Abraham Lincoln con a bordo oltre 40 cacciabombardieri e disposto il trasferimento di quattro B- 52, aerei in grado di percorrere lunghe distanze e di bombardare da grandi altezze con alto potenziale distruttivo, e di una batteria di missili Patriot, che potrebbero essere schierati in un paese amico, come Bahrein, Kuwait o Giordania. E a giustificazione di queste grandi manovre, Washington ha cominciato a far circolare allarmistiche notizie attribuite a fonti dell’ intelligence, secondo le quali le forze armate iraniane e le milizie di combattenti preparerebbero un attacco contro gli Stati Uniti e i suoi interessi in Medio Oriente.

A farsene portavoce il consigliere della Sicurezza nazionale, uno dei falchi dell’amministrazione, John Bolton,  lo stesso che tre anni fa voleva bombardare Teheran per impedire all’Iran di portare avanti il suo programma nucleare, “perché – a suo dire- mirato a sviluppare un micidiale arsenale”. Contemporaneamente lo stesso Trump ha cominciato ad accusare l’Iran di aver sostenuto al Qaeda e di averla usata come proprio braccio armato all’estero, e di progettare un attacco terroristico contro l’ambasciata americana a Baghdad, per questa evacuata. E’ chiaro che Trump sta facendo di tutto per potere dare applicazione alla legge del 2001.

Ma chi si cela dietro il presidente americano? Il Jerusalem Post, il 18 maggio, ha pubblicato un articolo di Seth Frantzmann in cui si segnala che aumentano negli Stati Uniti da destra e da sinistra voci che accusato Bolton,  il segretario del Dipartimento di stato Mike Pompeo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman a spingere Trump alla guerra contro l’Iran. Ed è significativo quello che ha detto in una conferenza stampa a Riyadh, domenica 19, il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir. “Non vogliamo un conflitto nella regione e lavoriamo per impedirlo. Ma se l’altra parte sceglie la guerra, risponderemo con forza e determinazione in difesa dei nostri interessi”, ha detto il ministro, esortando la  comunità internazionale ad assumersi la responsabilità di impedire all’Iran di destabilizzare la regione. Al-Jubeir ha parlato anche di indagini in corso per accertare la responsabilità dell’attacco a quattro navi (incluse due petroliere saudite) sulla costa di Fujairah.

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