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Alan Kay

AMERICA AMERICA, DOVE VAI? 50 ANNI DOPO SELMA LA POLIZIA UCCIDE ANCORA I NERI

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anthony robinsonÈ successo di nuovo. Nel Winsconsin. Anthony Robinson, con precedenti per aggressioni, viene coinvolto in una rissa e le forze dell’ordine intervengono per sedarla. Ma lui viene ucciso. Proprio nel giorno dedicato alla commemorazione della tragica marcia di Selma per i diritti civili, da cui il titolo del film su Martin Luther King. Le ripetute uccisioni di afroamericani, anche minori, da parte di agenti di polizia negli Stati Uniti spinge da anni lo scontro etnico inestirpabile dalla società americana sul piano della guerra aperta. È lo sbocco di una tematica mai risolta che nell’immediato dell’attualità scaturisce anche dai fatti di Ferguson, nel Missouri, con la furia scatenatasi dopo l’arresto del giovane Michael Brown.

La “guerra” infinita tra afroamericani e polizia

Watts, sobborgo meridionale di Los Angeles, 11 agosto 1965. Marquette Frye, un uomo di colore, viene fermato per guida sospetta in stato di ebbrezza da alcol o droga. In azione, i “Chips” della nota serie televisiva, ossia gli agenti della California Highway Patrol. Frye viene trattenuto per accertamenti. Il fratello Ronald chiede il permesso di ritirare la vettura. Lee Minkus, il funzionario cui è affidata l’inchiesta, glielo nega. La popolazione di colore della zona non gradisce ed iniziano sei giorni di violenza, incendi e saccheggi.

1991, ancora Los Angeles. Il 3 marzo Rodney King, un tassista, non si ferma all’alt di una pattuglia della polizia metropolitana. L’arresto avviene con violenze riprese dalle telecamere e trasmesse sulle principali reti. Finiscono sotto processo gli agenti Stacey Koon, Laurence Powell, Timothy Wind e Theodore Briseno. Un anno dopo, il 29 aprile 1992, con sentenza di primo grado i cinque sono prosciolti. I ghetti di South Los Angeles, in prevalenza ispanici ed afroamericani, esplosero. Una rivolta che presto si contagiò a Chicago e a Harlem.

Ancora, a Detroit nel 1967, a Memphis nel 1968, dopo la morte di Martin Luther King. Saccheggi e vandalismi si videro in abbondanza nel luglio 1977, durante il catastrofico black-out a New York. Il coprifuoco venne dichiarato dal sindaco di Detroit per tutti i giovani con meno di 18 anni a seguito di una recrudescenza di teppi­smo verso la metà degli anni ‘80.

Il luogo dove solo il denaro protegge l’individuo

s.louis“America America, dove vai?” Il titolo italiano del film di Haskell Wexler del 1969 resta un interrogativo senza risposta. Superata la Nuova Frontiera e la­sciata definitivamente indietro la sindrome del Vietnam, rimosso il Watergate e dichiarata una guerra permanente al terrorismo, la civiltà più avanzata del mondo rivela delle sacche congenite di imbarbarimento, inspiegabili col riduttivo ricorso alle «contraddizioni del capitalismo». La verità è che l’etica e i costumi del selvaggio west aleggiano in permanenza fra i grattacieli delle metropoli e i vialetti dei quartieri suburbani. La wilderness, la natura selvaggia, non è stata «addomesticata» dallo sviluppo industriale ed economico. Perfino gli indiani tornano sul sentiero di guerra, rivendicando i loro diritti con una combattività che promette cupamente di aggiungersi al calderone etnico già in ebollizione.

Ciò che per Tocqueville era segno di vitalismo nei tratti americani, oggi non può più passare sotto i crismi positivisti e pragmatisti. La realtà degli Stati Uniti è quella di una società in cui solo il denaro protegge l’individuo dall’incognita del suo suo simile. Hobbes vi ritroverebbe all’estremo la con­ferma del classico motto “homo homini lupus”. L’immoralità dell’accanimento con il quale colletti bianchi, blu e rosa si fanno la festa l’un l’altro nella corsa alla carriera è un riflesso di quella guerra ben più cruenta che si combatte giorno e notte per le strade contro una criminalità che non dà tregua, per qu­anto ormai le forze di polizia americane siano tra le più efficienti e dotate di un supporto tecnologico ai limiti della fantascienza.

I paradossi del vivere quotidiano

Camminare, guidare l’auto, andare nei mezzi pubblici può sfociare in epi­sodi imprevisti. Il che accentua la sensazione di estraneità nei confronti nel prossimo sino alla diffidenza o alla paranoia. Nel 1984 il tecnico elettronico Bernhard Goetz prende la metropolitana, a New York. Quattro adolescenti di colore gli chiedono «qualcosa» senza troppa deferenza: si chiama «accattonaggio aggressivo» ed è un reato. Goetz risponde: «Certo, ho qualcosa per ognuno di voi», estrae una pistola e fa fuoco. I media parleranno di un’incarnazione del “Giustiziere della Notte” portato sullo schermo da Charles Bronson. I leader neri grideranno al razzismo. Gli studiosi, più freddamente, assolveranno Goetz in nome dell’intollerabilità raggiunta dalla convivenza ci­vile. La comunità è fatta ormai di familiars strangers, estranei abituali, dai quali si dà per scontato che ci si può attendere di tutto.

La realtà nelle province e nelle città

el_bronx_5L’architettura, che una volta creava gli spazi e le dimensioni abitative, si limita a seguire il trend. Spuntano gli skywalks, passerelle coperte a mezz’aria che collegano un palazzo all’altro nei centri commerciali. In questo modo, ad Atlanta, Chicago, Denver, Detroit, Houston e Los Angeles —le metropoli con i più alti tassi di criminalità— è possibile percorrere intere distanze senza uscire. Nei casi limite, gli skywalks conducono dall’abitazione al posto di la­voro in una sequenza ininterrotta di protezione e sicurezza.

Ma la profonda provincia, il Middle West, non è più quieto. Alcuni villaggi ergono vere e proprie palizzate al loro ingresso e montano torrette di guardia che non hanno nulla da invidiare a quelle di Fort Apache. A turno, gli abitanti stanno a guardia per segnalare e intervenire con le maniere forti quando giun­gessero stranieri non bene accetti, come giovani dall’abbigliamento strano e neri.

A Washington, la città del Presidente, è sconsigliabile stagliarsi di sera nel vano di una porta d’ingresso che dà sulla strada con la luce di casa accesa. Si rischia di fare da bersaglio alle gang di teppisti che vagano sparando a caso. Ogni casa degli Stati Uniti è una roccaforte. Al punto che anni fa, la rivista Time titolava un pezzo «La nuova Fortezza America».

Dalla finzione letteraria alla realtà

centralNella commedia di Jules Feiffer del 1968, “Piccoli assassini”, frotte di insospettabili piccoli borghesi sparano in strada dalle loro finestre di casa, a New York. La competitività esa­sperata e gli egoismi della miscela metropolitana sfocia in vio­lenza omicida di tutti contro tutti. “Requiem per un cacciatore” di Henry Kuttner si ambientato nel Central Park, già pericoloso negli anni ’50. L’autore lo raffi­gurava in futuro popolato da delinquenti così terribili da aver formato tribù di cacciatori di teste. Un pezzo di giungla selvaggia nel cuore della metropoli, come in fondo è diventato non solo il Central Park, ma anche qualche ridente giardino pubblico del tipo di Parco Lambro.

Apologo ancora più disperato quello del romanzo “Non temerò alcun male”, di Robert Heinlein. Scritto nel 1970, preconizza un’America dall’esistenza è blindata. Ci si sposta solo in macchina o in volo e per i pochi, in­dispen­sabili tratti a piedi, bisogna indossare mantelli corazzati. Lo stesso Heinlein aveva scritto nel 1952 il lungo racconto La con­giuntura. Qui un matematico ravvisava nelle curve statistiche un’impennata di follia e violenza collettiva che avrebbe portato all’autodistruzione dell’umanità.

La situazione italiana

668977 SCONTRI DOPO L'OMICIDIO DELL'EXTRACOMUNITARIO IN VIALE PADOVAL’Italia delle nuove miscele etniche non è immune da queste derive. Tutt’altro. Il contagio avanza. La Milano dove sentirsi innamorati era strano e poi bisognava berla finisce tra risse e violenza di risulta per un’altra immigrazione. Non quella delle valigie di cartone e delle chiamate in ditta che filmò Ermanno Olmi in un capolavoro del 1961, Il posto, con le strade che venivano sventrate per costruire la metropolitana mentre dal sud e dalla provincia lombarda affluiva la forza lavoro del boom economico. No. Oggi esplode anche qui un crogiuolo di razze. Impazzano per le strade gli emarginati che accorrono a frotte dal mare e dalle frontiere dell’est per reclamare la loro fetta di Disneyland occidentale.

I periodici scontri di via Padova tra sudamericani ed egiziani, che anni fa culminarono nell’accoltellamento di un diciassettenne appartenente alla seconda etnia, ripropongono la pericolosa dinamica della Chinatown di via Sarpi, dove la contrapposizione è più diretta fra nuovi arrivati e strutture civili metropolitane. Asiatici contro vigili urbani. I ghisa milanesi, tradizionalmente bonari e disponibili, anche con un Totò che si rivolge loro in una lingua pasticciata («Escusè muà! Noyo vulevòm savuàr…»), costretti a divenire replicanti di Judge Dredd, il vigilante a fumetti del futuro che è insieme tutore dell’ordine ed applicatore della legge. Ma lo stillicidio dell’intolleranza e del disordine diffuso attraversa la cronaca meneghina dall’ultimo decennio del secolo scorso, quando ormai l’immigrazione, clandestina e non, andava caratterizzarsi in forma di marea montante. Tafferugli, omicidi, vendette incrociate fra gang rivali sulla base della razza, che tra loro non riconoscono le regole del politically correct, le folate xenofobe sempre più infocate dei leghisti, la disperazione della gente, per la quale ogni occasione è buona per ritrovarsi nella massima insicurezza. Si vedano, ad esempio, le dispute con gli indiani per le bancarelle del mercatino alla vigilia della festa più squisitamente milanese, Sant’Ambrogio.

Il sogno infranto di una società multietnica

Il sogno di una società multietnica si infrange sulle secche di contenziosi fra gruppi diversi, del ribellismo sociale congenito nello stesso tessuto italiano, dell’integrazione mancata. Un grumo problematico suppurato nel tempo. Fin da quegli anni ’60 che favolosi restano soltanto per l’immaginario. Con quasi mezzo secolo di anticipo, l’aveva capito e raccontato l’unico vero maestro del noir italiano, Giorgio Scerbanenco. Lui, che a Milano era arrivato dall’Ucraina e da Roma, immigrato ed extracomunitario anzitempo, almeno per parte di padre. Ecco la mappatura dettagliata del territorio in oggetto. Scerbanenco la forniva fin dal 1968, tra la pagine di “Traditori di tutti”: «C’è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città. Non hanno ancora capito il cambio di dimensioni, qualcuno continua a parlare di Milano come se finisse a Porta Venezia o come se la gente non facesse altro che mangiare panettoni o pan meino. Se uno dice Marsiglia, Chicago, Parigi, quelle sì che sono metropoli, con tanti delinquenti dentro, ma Milano no, a qualche stupido non dà la sensazione della grande città, cercano ancora quello che chiamano il colore locale, la brasera, la pesa, e magari il gamba de legn. Si dimenticano che una città vicina ai due milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale, in una città grande come Milano arrivano sporcaccioni da tutte le parti del mondo, e pazzi, e alcolizzati, drogati, o semplicemente disperati in cerca di soldi…».

Enzo Verrengia

L'Autore

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