Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

Immigrazione, padre Manenti (Cser): “L’Europa si è mossa troppo tardi”

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manentiVorrei conoscere il momento esatto in cui una persona è diventata un numero e la sua morte una scala di valori, gradini tutti uguali agli altri dove qualcuno arriva fino in cima e qualcun’altro rimane a terra. Perché di questo si tratta: ci sono le morti che fanno arrabbiare, discutere, aprono dibattitti e sollevazioni popolari e, poi, le altre, quelle che, sì mi dispiace, ma un po’ se l’è andata a cercare, che idea cercare di arrivare nel Paese della speranza su un barcone come quelli lì, cosa si aspettava? Frasi di circostanza, espressioni di cordoglio e, poi, via, il pensiero va a un’altra strage, oggi tocca al terremoto in Nepal, domani a chissà cos’altro. Perché è un po’ questo il destino dei migranti in arrivo in Italia, qualcuno li tollera, ma sono una minoranza, i più non li vogliono, altri scellerati, per non definirli peggio, esultano quando muoiono, com’è successo qualche settimana fa quando il ribaltamento di un barcone ha provocato la morte di oltre settecento persone. Persone invisibili, morti che non hanno un nome e che non ci riguardano, eppure lì in mezzo al mare, inghiottiti dal nulla, potevano esserci i nostri nonni, che attraversarono l’Atlantico, direzione Stati Uniti, non troppi anni fa. Altri tempi, altre storie, un parallelismo forse impossibile da cogliere e raccontare. Su questo abbiamo chiesto il parere di Padre René Manenti, direttore del Cser, Centro studi emigrazione Roma, un punto di riferimento sull’analisi delle dinamiche migratorie in entrata e in uscita nel nostro Paese. Tra l’altro Padre Manenti ha vissuto una decina di anni a New York a stretto contatto con la comunità italoamericana.

“Quando si parla di immigrazione non c’è niente di nuovo. L’uomo è migrante da sempre, fin dall’inizio della storia. E alcune dinamiche sono le stesse: ieri come oggi molti migranti arrivano per mare e sono destinati a non trovare una grande accoglienza nel Paese di arrivo. Però, se andiamo a vedere meglio, le due migrazioni non sono paragonabili: gli italiani andavano negli Stati Uniti perché avevano una necessità economica ma la loro situazione non è comparabile con chi oggi scappa per sopravvivere e chiede asilo politico”.

I nostri nonni partivano per un Paese che offriva reali opportunità di crescita, i migranti invece oggi arrivano in un’Italia attraversata da una profonda crisi economica.

“Per prima cosa bisogna dire che quella che stiamo vivendo oggi nel Mediterraneo non è un’immigrazione da esodo biblico, su questo i media hanno una grande responsabilità nel far pensare spesso il contrario, e il continente europeo sarebbe in grado di accoglierla se volesse. Rispetto al secolo scorso, poi, è cambiata la situazione. Gli Stati Uniti hanno da sempre la percezione di essere un Paese di immigrazione e, poi, hanno un grande senso pratico, soprattutto New York: avevano bisogno di braccia da lavoro, di gente per popolare gli Stati”.

Emigrazione e religione sono due parole spesso legate tra loro. Questo è vero sia per l’emigrazione italiana negli Usa che in quella che sta vivendo il nostro Paese?

“Gli irlandesi furono i primi cattolici a raggiungere gli Stati Uniti ma non accolsero molto bene gli italiani al loro arrivo, così i nostri avi crearono i loro club, si portarono dietro la madonna del paese di origine con le loro feste patronali. Nonostante questo, non fu facile ma neanche tanto difficile. Ora, invece, i musulmani si portano dietro un’etichetta di violenza, la religione islamica sveglia ancora di più l’idea del diverso, del possibile terrorista”.

E’ notizia di pochi giorni fa che l’Onu lavorerà con l’Italia per fermare e prevenire i trafficanti di uomini nel Mar Mediterraneo. Non ha però lei l’impressione che nessuno affronti seriamente il problema dell’immigrazione?

“L’impressione è quella. I poveri a volte fanno comodo. A livello politico anche l’Europa si è mossa troppo tardi e solo dopo l’ennesima tragedia. L’11 settembre a New York morirono tante persone, quelli furono degli eroi, su altri avvenimenti però, come nel caso delle centinaia di morti in mare di qualche settimana fa, non c’è stata la stessa attenzione. Io credo che la vita dovrebbe avere lo stesso valore, sempre”.

Monia Giannetti

L'Autore

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