Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Tra propaganda jihadista e minacce effettive, la politica estera italiana non può restare ferma

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La situazione internazionale si è fatta molto complicata negli ultimi quattro anni. Specialmente sotto lo ‘stivale’, nell’area del Maghreb, tra Libia, Tunisia ed Algeria, a partire dalla scomparsa di Gheddafi (2011). La propaganda jihadista intanto fa ovviamente il suo lavoro, ma il nostro governo non può certo trascurare certe minacce che arrivano da quella zona. Adesso anche un rapporto  recentemente edito da ISPI, un think thank indipendente italiano attivo nello studio delle dinamiche di politica internazionale, cerca di fare un po’ di luce su una realtà verso cui prestare maggiore attenzione. Perché negli ultimi anni la minaccia jihadista si è evoluta notevolmente. E lo scettro della jihad è passato da al-Qaida allo Stato Islamico di Siria ed Iraq (Isis o Is), realtà, quest’ultima, che si caratterizza per avere cercato di costruire tutta la sua potenza anche con un radicamento territoriale, quasi a fondare un vero e proprio Stato del terrore, il Califfato. La minaccia per il nostro paese si fa particolarmente insistente dal momento che questa organizzazione è venuta a radicarsi recentemente anche in Libia e a posizionarsi nella limitrofa Tunisia ed in Algeria.

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Insomma non dovrebbe essere tanto la Libia a preoccupare. La situazione in questo paese è quanto mai caotica per la sua divisione in due fazioni, gli islamisti radicati a Tripoli ed i non islamisti asserragliati a Tobruk. Ma nello stesso tempo sembra poco probabile che questo paese possa a breve diventare una delle province del Califfato neo-costituito nell’ottobre 2014 tra Siria e Iraq. Questo per due motivi principali: in primo luogo perché la natura dello scontro in Libia è locale e non ideologica; in secondo luogo, i libici sono moderati per tradizione e religiosamente omogenei, storicamente riluttanti a seguire gli appelli e i gruppi del radicalismo islamico. Al 90% il paese, infatti, è mussulmano sunnita e le milizie libiche sono disposte a lottare fino all’ultimo per impedire che IS si appropri degli idrocarburi e delle infrastrutture strategiche del paese. Secondo il rapporto ISPI, maggiore attenzione meritano invece la Tunisia e l’Algeria. La Tunisia perché al suo interno esistono già da tempo gruppi islamisti radicali vicini alla jihad. L’Algeria per la presenza sul suo territorio di risorse naturali di cui il nostro paese potrebbe avere bisogno a livello di approvvigionamento energetico qualora sfuggisse completamente di mano la situazione in Libia e saltassero gli accordi con la Russia di Putin.

Per capire l’importanza, spesso taciuta, dell’Algeria rispetto al nostro paese basti un dato. A livello di approvvigionamento di gas naturale l’Italia ha importato nel 2014 dall’Algeria 6,8 miliardi di metri cubi (ovvero il 13 per cento del totale delle importazioni italiane di gas). In questo paese il maggiore gruppo islamista presente negli ultimi anni è stato il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc), che in seguito avrebbe cambiato nome dopo la sua affiliazione ad al-Qaida, diventando quello che ancora oggi è conosciuto come al-Qaida nel Maghreb Islamico (nell’acronimo inglese, Aqim). Recentemente l’Algeria non si è sottratta all’ascesa ideologica di IS ed anche qui si sta assistendo ad una polarizzazione del panorama jihadista con la nascita di gruppi affiliati al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. A livello cronologico, la Tunisia è una delle ultime terre in cui recentemente si è avuta una espansione delle forze jihadiste legate ad Aqim in Nord-Africa. Con Ben ‘Ali il paese era stato immune da fenomeni di islamismo radicale. È dalla sua caduta (2011) che si è cominciata a registrare la presenza di gruppi salafiti jihadisti. Proprio la Tunisia rappresenta uno dei paesi in cui la presenza di gruppi estremisti di matrice islamica può costituire una minaccia verso il processo di transizione politica in corso nel paese dalla caduta di Ben ‘Ali. La radicalizzazione dei giovani tunisini, inoltre, non rappresenta solo una minaccia interna al paese, ma è un fenomeno da monitorare molto attentamente. Sarebbero già più di 3.000 i giovani tunisini partiti per combattere in Siria ed Iraq e connessioni tra jihadismo locale ed elementi tunisini si riscontrano in Libia ma anche in occidente.

Per il nostro paese attualmente le minacce maggiori possono arrivare più dalla Tunisia che dall’Algeria. Nel rapporto ISPI vengono elencati così i motivi di apprensione rispetto a questo paese: la vicinanza geografica della Tunisia ai confini italiani; la tendenza dei jihadisti tunisini a espandere le proprie reti del network jihadista al di fuori dei confini della Tunisia; la relativa inesperienza delle autorità e delle forze di sicurezza tunisine ad affrontare la minaccia jihadista; la storica presenza di elementi di nazionalità tunisina in Italia e la precedente attività di network di jihadisti tunisini all’interno del territorio italiano; la maggiore esposizione di persone di nazionalità italiana in Tunisia. Il rapporto fa notare anche che la comunità tunisina in Italia è una delle più numerose, con più di 122.000 persone regolarmente registrate, secondo i dati Istat del 2014, mentre i cittadini algerini sono poco meno di 30.000. Dopo la Francia, siamo il secondo paese per presenza di tunisini all’estero. Questo non può tradursi automaticamente in una minaccia all’Italia, ma la presenza di una comunità tunisina così cospicua rende l’Italia più facilmente raggiungibile da eventuali foreign fighters tunisini che vogliano portare la jihad in Europa. La Tunisia è anche la seconda meta turistica fuori Europa per gli italiani, 560.000 italiani nel 2013 avrebbero speso le loro vacanze in questo paese. Di fronte a queste evidenti e forti connessioni è oggi quanto mai necessario prendere tutte le precauzioni possibili per tenere sotto controllo i flussi di informazioni e di persone ed agire per rafforzare sempre più le politiche di cooperazione con il governo tunisino al fine di prevenire e affrontare congiuntamente la minaccia jihadista in Tunisia.

Nel rapporto viene dedicata attenzione anche all’Egitto e all’area dei Balcani. L’Egitto in particolare ha un’importanza strategica per il nostro paese, essendo posto esattamente al crocevia delle ispi21storiche rotte commerciali tra Europa ed Asia e delle moderne linee di comunicazione. Il paese sta vivendo un passaggio cruciale sotto la presidenza di Abdel Fattah al-Sisi, il quale, eletto con il 97% dei voti un anno fa, ha promesso agli egiziani di fare imboccare nel giro di due anni al paese la ripresa economica. Per garantire la stabilità di questo paese è importante che nei prossimi anni al suo interno le istituzioni ed i cittadini possano maturare meglio il significato del concetto di ‘democrazia’, aprendosi ad un confronto su quali forme di rappresentanza attivare a vantaggio della cittadinanza. La ‘spirale balcanica’ è un’altra area a cui prestare attenzione. Tutte le aree territoriali caratterizzate da instabilità a livello politico ed economico possono essere facilmente preda di derive estremiste. I numeri confermano che 350 jihadisti bosniaci sarebbero presenti in Siria e Iraq, 150 dal Kosovo, 140 dall’Albania e 20 dalla Macedonia. In sintesi dal rapporti emerge come la minaccia jihadista si stia sempre più riposizionando dall’area afgano-pakistana a quella del Mediterraneo allargato. Queste aree raccontano di stati falliti e di istituzioni assai fragili. Cura della politica estera italiana, data la contiguità geografica con tutta quest’area allargata, dovrebbe essere quella di sostenere queste organizzazioni statali verso forme sempre più forti di stabilizzazione. E siamo nella dimensione ‘preventiva’ della politica estera, a fianco della quale sarà opportuno anche valutare quali interventi ‘repressivi’ porre in essere, a cominciare dalla questione quanto mai attuale degli scafisti libici. Ma sia chiara una cosa. L’Italia da sola non basta. Al suo fianco in questa battaglia deve starci l’Unione Europea e sopra l’ONU. E sia chiaro anche un altro punto. Adesso, noi europei, non ci possiamo davvero più permettere di rimanere fermi.

Marco Bennici

L'Autore

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