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Pietro Barilla

La croce non è un’ideologia. Il Papa spiega perchè ha accettato il dono di Evo Morales

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papaSi è appena concluso il viaggio apostolico di Papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Un viaggio lungo otto giorni, pieno di immagini e segni che la stampa ed i social media hanno fatto rimbalzare per tutto il globo. Una delle istantanee che rimarrà negli annali è quella del presidente boliviano Evo Morales che consegna a Papa Francesco un crocifisso in oro a forma di falce e martello. Francesco lo riceve con evidente perplessità e replica: “No està bien eso”, che vuol dire ‘non è corretto’, ‘non va bene’, ‘è sbagliato’. Allo scambio delle onorificenze Morales aveva aggiunto anche una catena d’oro con lo stesso simbolo riprodotto in un medaglione che Francesco si è prontamente tolto appena gli è stato messo al collo ed una scatola con alcune foglie di coca. Questo fotogramma preso singolarmente ha dato origine a polemiche ed ironie che ci permettiamo di definire inutili e maliziose allo stesso tempo, perché per capire l’azione di un pontificato occorre tenere presente il quadro di insieme, in un’ottica di continuità nella storia che consenta di comprendere, come dice la teologia, il divenire della azione salvifica portata avanti dalla Chiesa. E nella conferenza stampa del volo di rientro Asunción-Roma, Francesco torna sulla questione ‘normalizzandola’ come un gesto di accoglienza verso una parte della storia della Chiesa che in Sudamerica ha assunto anche la forma tanto controversa della ‘teologia della liberazione’.

Il primo commento che a voce di Papa Francesco ha fatto al momento della consegna dei doni è passato quasi sotto silenzio, davanti alla potenza distorsiva delle immagini di un Pontefice che riceve dalle mani di un leader sudamericano abbastanza discusso una falce e martello, il simbolo del comunismo internazionale, sotto forma di croce, il simbolo supremo delle fede cristiana. Non è passata invece sottovoce la faccia alquanto perplessa di Papa Bergoglio che in una espressione contristata e di disapprovazione riassumeva proprio quelle parole dette in spagnolo, ‘non va bene’, ‘è sbagliato’. E ‘non va bene’, dice Francesco, perché ontologicamente quei segni non possono stare insieme, non possono essere apparentati e non sono apparentabili. Nel Vangelo la scelta preferenziale per i poveri e per gli ultimi viene fatta non tanto per una questione di rivendicazione sociale e di emancipazione da una condizione di bisogno, ma in quanto essi sono luogo della presenza salvifica di Cristo. La scelta dei poveri nella fede cristiana è anzitutto antropologica, perché è nella povertà, nel farsi ultimo rinunciando a se stesso, che l’uomo incontra Dio. Ed è pedagogica, in quanto la legge dell’amore universale passa necessariamente dall’amare anche coloro che sono altro da noi perché affamati, perseguitati ed in prigione.

Un sacerdote argentino della provincia di Cordoba che abbiamo contattato per commentare il gesto di Morales ci ha dichiarato che quel gesto è stato vissuto da lui e da altri colleghi come una “provocazione bella e buona”. Perché, ci ha detto lui, approfittando della disponibilità di Papa Francesco si è cercato di strumentalizzarne la sua attenzione verso i poveri avvicinandola ad un simbolo puramente ideologico. Ma la croce non è una ideologia. È il simbolo di un viatico necessario per realizzare fin da qui, dalla terra della nostra vita quotidiana, qualcosa di meglio rispetto a ciò che abbiamo vissuto fino ad oggi. “La vera condivisione dei beni risale a circa 2000 anni fa”, al momento in cui gli apostoli hanno cominciato la loro predicazione che era fatta anche della testimonianza concreta che cominciava dalla frazione del pane e dal mettere in comune tutto perché nessuno fosse nel bisogno. L’insegnamento antropologico del Vangelo parte da qui, da questa condivisone totale che nell’ottica del dono rende tutti capaci di vivere una vita più dignitosa. “E questa idea di condivisione è già scritta a chiare lettere negli Atti degli Apostoli”. E Papa Francesco ha ripreso il tema in alcuni dei discorsi pronunciati in questi giorni, tenendo il punto, per evitare non tanto di essere frainteso, quanto di essere strumentalizzato autorizzando letture che non sono in linea con il discorso che da almeno due anni sta tentando di fare al mondo.

Giovanni Paolo II rimane nella storia anche per la sua lotta decisa contro il comunismo. Francesco, già nel darsi il nome che si è dato, ha scelto dpapai lavorare ai fianchi contro un altro ‘mostro’ prodotto dalla nostra società contemporanea, il capitalismo sfrenato e l’accumulo delle ricchezze. E la sfida ha scelto di lanciarla dai paesi più poveri della sua America Latina. Quelli in cui le contraddizioni tra il mondo sviluppato e quello sottosviluppato sono più evidenti e forti. Quelli in cui la cultura dello scarto genera ingiustizie e la depredazione delle risorse naturali da parte delle multinazionali produce solo povertà e disperazione per una fascia sempre più larga di persone. In Europa sono quelli che bussano alle nostre coste scappando dalla Siria e da altre zone di guerra. In America sono i disperati che vivono nelle baraccopoli, i cartoneros e tutti coloro che sono costretti a lavorare un condizioni umilianti per procacciare quelle risorse naturali che sono all’origine della sviluppo della parte più ricca del nostro pianeta. Il Vangelo parla anche di tutti loro. Poi c’è la diplomazia, che è un’altra cosa. E un dono di un Capo di Stato non si può rifiutare. Poi c’è la falce e il martello che, detto senza retorica, lascia intendere Papa Francesco con quello sguardo che resterà negli annali, è davvero tutta un’altra cosa.

Nella conferenza stampa sul volo di ritorno verso Roma, Papa Francesco è tornato tranquillamente sulla questione. Ha commentato di essere rimasto sorpreso quando gli è stato spiegato che quel crocifisso strano è stato disegnato da padre Luis Espinal, il gesuita torturato e ucciso in Bolivia nel 1980. “Non sapevo che Espinal fosse scultore – ha spiegato – così quando l’ho visto sono rimasto sorpreso. Si può qualificare come il genere dell’arte di protesta”. Si è soffermato anche sulla teologia della liberazione, cercando di inquadrare l’opera di Espinal rispetto ad essa. “Espinal era un entusiasta, della teologia, del marxismo, ed è venuta fuori questa opera, anche le poesie sono di quel genere. Sono la sua vita, il suo pensiero, lui lottava anche così. L’ermeneutica era di questo genere, io capisco questa opera, per me non è stata una offesa, e lo dico a voi perché non ci siano opinioni sbagliate: la porto con me, Morales mi ha regalato due onorificenze, una la più importante della Bolivia e l’altra questa per padre Espinal”. Il Pontefice ha fatto sapere che ha lasciato in Bolivia ai piedi della Modonna di Copacabana il medaglione in oro raffigurante la stessa opera tanto controversa di Espinal, mentre il crocifisso ha deciso di portarlo con sé in Vaticano senza troppa malizia. “Non accetto mai onorificenze – ha spiegato il Papa – ma lui l’ha fatto con tanta volontà, anche con buona volontà, e ci farà piacere, inoltre viene dal popolo della Bolivia, ho pensato: ‘se la porto in Vaticano finisce in un museo, allora ho pregato e ho deciso: alla Madonna di Copacabana ho lasciato le due onorificenze e invece il Cristo lo porto con me in Vaticano”.

Il video della consegna del crocifisso a Papa Francesco

Marco Bennici

L'Autore

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