Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

Carmine Cervone. Si entra nella Napoli antica

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linotypeSe conosci Napoli, solo sentendo parlare un napoletano con le sue espressioni colorate, ne respiri tutta l’atmosfera. Puoi immaginare quello che ti racconta, ricostruire scene, personaggi, strade, palazzi. Così è successo ascoltando Carmine Cervone: con lui si entra nella Napoli antica, precisamente in via Anticaglia, una parallela di Spaccanapoli; sulla porta della sua bottega è scritto ‘Tipografia del ‘900’, ‘Officina d’arti grafiche’ e si sente il rumore di un macchina di ferro e l’odore di inchiostri e solventi. Dice di aver trovato ‘la poesia nel ferro, un posto impensabile’: “Se tu sapessi la bellezza di queste macchine!”. Ha tirato tutto fuori dai rifiuti, dal riciclo per “dimostrare come da cose che venivano normalmente accantonate, abbandonate e distrutte si potesse creare una forma di lavoro”. È molto affezionato al suo linotype, l’apparecchio della composizione tipografica automatica (inventata nel 1884) ‘dal ritmo e dal suono costante’, che serve per stampare, incidere caratteri che creano un’intera linea. L’ha ereditato da un vecchietto che faceva il linotipista nella stessa bottega in cui si trova adesso: “L’ho sempre ammirato; periodicamente lo andavo a vedere e un giorno mi disse che se ne andava in pensione e se volevo questa cosa. Ero spaesato, perché a mettere su una tipografia del genere ti chiamano pazzo”.

La banca non fa credito se non sei ricco, ma Carmine decise di aprire nel 2001 una tipografia usando vecchie attrezzature, perché non poteva permettersi altro, non poteva comprare apparecchi nuovi: “volevo dimostrare che potevo farcela anche senza avere un capitale. Pur senza una lira, un lavoro te lo puoi inventare, e credo bene o male di esserci riuscito” (ora ha quarantuno anni). Guadagna poco, e va avanti solo perché ha una grande passione: “Io vivo così; grosso modo riesco pure a portare lo stipendio a casa (ha moglie, un figlio e uno in arrivo), ma giusto grosso modo, e periodicamente riesco bene o male a raccattare qualche cosa. Ma non mi preoccupa più di tanto, non penso al guadagno di oggi: sono certo che questo progetto ha una finalità culturale, una finalità di trasmissione e queste attrezzature avranno un senso. Nelle altre parti d’Europa si trovano nei musei, e quello che ho creato qui, quest’installazione permanente, è viva, quasi un’opera d’arte funzionante. Credo sia molto più interessante vedere ciò che fanno le macchine e la bellezza di come lo fanno, piuttosto che vedere un pezzo di ferro fermo. Voglio che abbiano una funzione, che possano essere realmente produttive e non solo un deposito di ferro vecchio”.

Apparecchi del genere hanno bisogno di manutenzione costante e Carmine è come un meccanico ed ha imparato tutto da solo: “la macchina è una logica, e con la logica ci arrivi sempre. Durante la linotype 1giornata, quando lavori, la ascolti, conti le righe, le battute, gli spazi, e al cambiamento di rumore capisci se c’è qualcosa che non va o va troppo; a volte devi necessariamente trovare un ricambio”. Soppiantata dalla nuova tecnologia, dalle stampanti moderne in 3D, il linotype non si potrebbe più usare per norme vigenti in sicurezza sul lavoro e invece lui continua: “sono fuorilegge perché faccio un lavoro che non è più a norma; ma chi lo dice? Perché ero a norma quarant’anni fa e non più adesso? È una situazione un poco ambigua la mia; è vero che non mi chiudono, ma non mi aiutano neanche a resistere”. Vorrebbe solo aiuto dalle istituzioni, “ma non di soldi; datemi un permesso per resistere, inventatevi una formula per farmi lavorare tranquillamente”. Eppure in giro per il mondo ed anche in Italia – per esempio a Bologna, Torino, Venezia, Roma – il fenomeno esiste e diversi ragazzi stanno ritornando a questo sistema: “c’è una rete ormai, esistono gli sfasci, luoghi nascosti dove queste cose si trovano”.

A coloro che pensano che forse dovrebbe rimodernare la sua bottega, ripete che non hanno capito niente, perché la sua vita, la resistenza del vivere, sta proprio in questo, nel fare un qualcosa che non fa più nessuno: “Se hai un capitale a disposizione, compri una serie di stampanti digitali, entri in un mercato in cui hai concorrenza. Io non ho la concorrenza, nel senso che quello che faccio è un lavoro continuo, giorno dopo giorno, diverso da chiunque; e lavoro perché mi piace, è bello per me”. Tante le persone che si fermano anche solo per guardare una bottega grande ventidue m² con una collezione di fregi in bronzo per la doratura, una trancia datata anni ‘30, il torchio del 1840, il linotype all’incirca del 1915, il tagliacarte, la macchina per stampare a caratteri mobili in bronzo, piombo e legno e tanti piccoli attrezzi; “la bottega può sempre arricchirsi, a volte devo rifiutare per mancanza di spazio”. Tanti comprano una cosa, si fanno stampare una lettera, “ma le persone non vogliono solo quello che faccio, vogliono vedere come lo realizzo, come riesco a dare un prodotto un po’ diverso da quello commerciale”. Lavora soprattutto per artisti, per coloro che desiderano una copertina particolare di un libro con incisioni in doratura, ma stampa anche semplici biglietti da visita o inviti di matrimonio e combina il tutto con la cartotecnica, una materia bellissima con cui si riesce a ricostruire copertine, fare incisioni su pelle, cuoio, carta e cartoni.

10648999_354653028027141_5386241571503426140_oVive il futuro nel presente, giorno per giorno: “Cerco di ritagliarmi uno spazio e di provarci”; questo lavoro è anche un modo per difendersi da un sistema che non gli piace. Spera che migliori la situazione complessiva di chi gli sta intorno: “C’è tristezza generale nell’aria; l’umore della gente cambia in funzione di un dato, ma non è cambiato niente, e non cambierà nulla; purtroppo viviamo in una società già organizzata a prescindere da noi”. E Napoli ha una storia a sé per quanto concerne l’aspetto sociale ed economico: “bisogna essere osservatori esterni per guardare il folcloristico come una realtà, che è una piccola tragedia. Qui non è cambiato niente; come diceva Pasolini siamo “l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio”. La modernità ha preso una strana forma, si è male inserita da queste parti. Napoli pare uno strano mondo stratificato; ogni strato si aggiunge, non si cancella, così il peggio rimane sempre, non c’è una vera e propria evoluzione”. Gli piacciono più queste vecchie macchine dei computer, “sono molto più divertenti”. Anche i bambini entrano a guardare il loro movimento, sono contentissimi, smonterebbero tutto, sono curiosi, “eppure sono bambini che giocano col computer molto meglio di me”, e bisogna sapere che uno dei primi giochi che hanno fatto con le stampanti 3D è stato quello di riproporre caratteri tipografici. “Incidere, stampare, è una fissazione dell’essere umano da sempre, sin dagli uomini primitivi che incidevano nelle caverne. In fondo stampare significa voler rimanere, voler imprimere”. Non vede la concorrenza per cui bisogna eliminare qualche cosa perché ce n’è una nuova: “leggere un libro digitale? Per me è impossibile. E poi le notizie che vedo sopra internet non mi sembrano vere come quelle che leggo sui quotidiani cartacei. Le cose non dovrebbero essere in concorrenza fra loro, dovrebbero esistere entrambe”. E Carmine compone parole, parole di altri, le mette in fila, in riga, le fonde e le stampa. Restano impresse, e alla fine si leggerà la poesia stampata e si ignorerà quella del ferro.

Stefania Miccolis

L'Autore

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