Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

E’ ancora “divieto di emancipazione” per la libertà sessuale della donna

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È difficile rapportare determinati fenomeni criminali a precisi momenti e contesti storici di riferimento. Eppure ogni volta è necessario capire, com’è ad esempio rispetto al fenomeno della violenza di genere, perché uomo e donna non riescano a vivere ancora oggi, anche nel mondo progredito in cui viviamo, le medesime condizioni relazionali; perché, seppure per più complesse dinamiche contemporanee, la sessualità si attesti ancora come punto fermo di vulnerabilità, più spesso per le donne (ma evidentemente anche per gli omosessuali, i transessuali, i bisessuali, e per ogni “diversità” o comportamento sessuale deviante, sentiti o considerati come tali).

È a seconda di come viene vissuto il proprio corpo/ruolo sessuale (più o meno legato alla propria sfera emotiva, affettiva, e procreativa), e di come viene comunicata la propria sessualità all’altro, agli altri, che l’aggressività, l’istinto biosociologico possono operare per la conservazione o il mutamento sociale, per l’evoluzione o addirittura per il genocidio di genere (ogni anno vengono uccise nel mondo circa due milioni di bambine). Ciò con il contributo di facili credenze religiose (più spesso facenti capo a religioni monoteistiche che hanno della famiglia un’idea assoluta), o di distorte interpretazioni di libri sacri, o di ideologie politiche conservative, se non addirittura di difesa sociale (che sempre nella famiglia tradizionale trovano fondamento).

Libertà sessuale?

Alla base di ogni interrogativo possibile c’è la questione del perché soprattutto le donne vengano colpevolizzate per la loro libertà sessuale, apparentemente auspicata, anche dagli uomini, e invece sempre più spesso mortificata, abusata in rapporti violenti di prevaricazione. Divieto di emancipazione. Pare che questa libertà sessuale, di cui vorrebbero farsi vanto soprattutto le donne, debba comunque stare in certi limiti, a certe regole: non nella coppia, non nel matrimonio, che evidentemente mantiene ancora inalterato il suo magnifico cliché. Né tanto meno la donna può fare del proprio corpo esempio di nudità espressa, linguaggio politico, resistenza civile ed economica, senza rischiare di essere considerata volgarmente offensiva della dignità di tutte le altre. Ciò purtroppo anche per certa parte del femminismo di maniera.
L’uso libero del proprio corpo, la donna, che da sempre, e anche adesso, ha dovuto metterlo a disposizione per ragioni demografiche, di filiazione, commerciali o anche solo per politiche tutte maschili di arricchimento e di immaginazione collettiva, è intollerabile invece lo eserciti per autodeterminazione, per ragioni liberatorie/provocatorie, per godimento semplicemente fine a se stesso. Subito scatta l’appellativo più diffuso e la parolaccia più usata: “puttane”.
Cosa spinge quindi, specialmente i compagni di una vita, a punire quell’eventuale emancipazione ritenuta non adeguata, o addirittura pericolosa? Diniego di emancipazione che con statistiche diverse, e a seconda di diverse variabili, come la crisi economica, si manifesta però eloquente un po’ in tutto l’occidente, e in particolare qui da noi?

il corpo della donna Se volessimo superare analisi criminologiche che si arroccano solo sul pregiudizio di insistenti ma generiche pratiche misogine culturali e di costume, certo diffuse e quanto mai riconosciute, ma ormai fin troppo banalizzate (tant’è che è diventato pedante e controproducente ribadirle a ogni pie’ sospinto), dovremmo forse cominciare a considerare più importanti ragioni sociologiche (e antropologiche) che di questo tempo possono essere considerate come più specifiche: la negazione per esempio crescente, anche se a volte inconsapevole, da parte delle donne, della maternità, con il corrispondente rifiuto di ogni assoggettamento economico funzionale.

Posto che l’aspetto sessuale (e del possesso sessuale) è soltanto uno degli elementi di disagio e conflitto relazionale di cui tener conto nelle violenze di genere, perché contano anche altri fattori, come ad esempio l’utilità e la produttività economico-sociale dei soggetti (anche qualora comunque connessi alla sessualità e alla “abilità” di procreare), la disposizione del proprio corpo, secondo l’etica e la morale comuni, pare non consenta alle donne di praticare la sessualità come meglio esse credono, cioè anche in termini, per esempio, di mera inutilità, oppure di scambio. Se per le regole sociali dominanti può essere “consentito” comprare sesso, il corpo di un altro, anche di donne minorenni, certo se avvertitamente consenzienti, perché dovrebbe essere inaccettabile venderlo o sfruttarlo il proprio corpo, se non a costo di etichettamenti sempre fin troppo umilianti?

Il corpo della donna, valore delle scelte

Forse che in quel crimine di genere, spesso mal raccontato dai mass media, rimane sottostante la valutazione della donna e il giudizio di valore su quelle che sono state le sue scelte sessuali/sociali, specie se a quelle è poi conseguita, o viene ravvisata, la rottura dei parametri familiari? Gli ultimi casi di cronaca ci servono per capire quale è la posizione dell’opinione pubblica rispetto a donne vittime di femminicidio che avevano nella loro vita anche solo mantenuto l’ombra di un possibile (desiderato) amante. Come allora considerare il rapporto esistente nella valutazione del rischio tra violenza e sessualità “libertaria”? Se vengo uccisa perché sono una “troia”, o considerata come tale, me lo sono meritato? I social che ne pensano? In un “campo politico” di fruibilità dei corpi, dove il corpo della donna è funzionale se fertile, e dove anche la bellezza e la capacità sessuale sono strettamente connesse al periodo della fertilità, donne brutte (cioè non propriamente “ladylike”) possono rischiare la violenza di genere? O soltanto se insoddisfatte e dissolute?! Certo anche a quelle la libertà sessuale/decisionale dovrà essere preclusa.

Chiara Merlo

L'Autore

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