Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Dove sta andando il cinema brasiliano?

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Dove sta andando il cinema brasiliano? Il primo e importante passo è la riforma della Lei Rouanet, la legge che regola i finanziamenti privati alla cultura con un sistema di sgravi fiscali. Il ministro della cultura del Brasile, Juca Ferreira, che ha affidato a una lunga intervista al Globo il suo programma di riforma del settore cinema e audiovisivo, si definisce più che critico sull’attuale sistema che consente di detrarre dalle imposte quanto investito in cultura e pensa di consentire solo l’uso dell’80% mentre il restante 20% verrebbe a confluire nel ” Fundo Nacional de Cultura”.

Afferma, dati alla mano, che circa l’ottanta per cento va a finanziare le attività culturali che si concentrano a San Paolo e Rio mentre quella massa di denaro dovrebbe finanziare le attività culturali in tutto il Brasile.

Affronta poi il tema della Lei do Direito Autoral e prefigura un organismo pubblico dentro il ministero con particolare riguardo alla tecnologia digitale e a internet ancora oggi privi di una efficace tutela. Si sofferma poi sulla “vale cultura”, la legge che consente ai cittadini brasiliani di spendere ogni anno una certa somma, cifre che vengono distribuite direttamente dallo Stato. Conclude con la ferma intenzione di riformare e rinvigorire la cinemateqa brasileira, che dovrà conservare il patrimonio audiovisivo del paese, sostenere le produzioni cinematografiche e darne visibilità.

Ma come stanno realmente le cose?

cinema brasilianoBene, cerchiamo di capire come stanno le cose. Partiamo da una premessa generale e di sistema. In Brasile non esiste di fatto la figura dell’imprenditore privato che opera nel mercato delle produzioni cinematografiche e i finanziamenti sono pubblici. E questo certamente esclude una reale industria dell’audiovisivo e affida alle burocrazie governative la più ampia discrezionalità con una evidente limitazione di libertà. Il dubbio che abbiamo è che si voglia ancora di più attuare una forma di dirigismo culturale affidando al Fondo il 20 per cento della totalità delle risorse a progetti con totale discrezionalità pubblica. Si tace poi sul fatto che la legge consente invece la possibilità per le imprese di finanziare il 125% del sistema audiovisivo, in sostanza televisioni. L’impressione è che ancora di più si accentui il controllo governativo invece di usare le stesse risorse per sostenere la creazione di una autonoma e indipendente impresa culturale in grado di creare e di competere sullo scenario internazionale e sul territorio nazionale.

Il mercato culturale in Europa

In Europa abbiamo assistito a una vivace discussione sulla “eccezione culturale” la cui idea principale era quella che il bene culturale doveva essere protetto, sostenuto e sottratto dalle dure regole del mercato. Più o meno tutte le legislazioni europee hanno assorbito quel principio trasformandolo in sostegni alla cultura. Oggi però abbiamo scoperto che la cultura produce sviluppo anche economico ma mai si è pensato di assoggettare l’industria culturale al potere politico. Una discussione che ci duole sia assente nel dibattito brasiliano attuale. Stessa valutazione ci sentiamo di fare sul “vale cultura”. Ingenti somme vengono di fatto affidate ai cittadini che il più delle volte finiscono per essere usate per partecipare a un concerto e per comprare birra. Intere cittadine sono sprovviste di qualsiasi infrastruttura culturale che abbia un minimo di valenza ma questo consente allo Stato di poter dire che molte risorse vengono impiegate nel comparto cultura ma senza alcuna politica culturale effettiva e governate per lo più dai politici locali.

… e quello brasiliano

Non si produce cultura così soprattutto in un paese che forse ha investito poco nel diffondere la memoria del suo patrimonio culturale e politico facendo prevalere forme di cultura di più semplice diffusione. Se davvero l’intenzione del governo fosse quella di portare cultura nell’intero Brasile, e non solo in alcune zone, bisognerebbe sostenere le iniziative private e costruire stabili infrastrutture culturali, non limitarsi a elargire denaro a pioggia per discutibili eventi. In sostanza manca qualsiasi idea di cosa sia una politica culturale, assenza totale di iniziativa privata e controllo sulle scelte da parte del potere politico.

Eppure tutto consiglierebbe un’inversione di marcia. Il cinema sta mostrando una sua vitalità se è vero, come è vero, che la sua presenza nei festival internazionali , come a Cannes per esempio, sta aumentando. Eppure chi governa il paese sembra preoccupato solo di gestire potere e non di far crescere il territorio. Se spostiamo queste considerazioni sul piano politico generale è uno dei temi che hanno agitato la recente campagna elettorale. Aspettiamo che l’opposizione faccia sentire la sua voce in difesa della libertà di espressione culturale e di una politica che liberi le tante energie positive delBrasile. Secondo noi il paese soffre una chiusura culturale che certamente non gli giova.

Alessandro Battisti

L'Autore

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