Compili il suo pronostico, ci penserà il futuro!

Gianni Rodari

EXPO’, MOSE E CORRUZIONI VARIE: COSI’ FESTEGGIAMO L’ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

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Se c’è un dato ormai oggettivo, rispetto al quale prendere le distanze è pressoché impossibile, è che la Seconda Repubblica ha fallito. Hanno fallito i giustistialismi manettari secondo cui la Tangentopoli salvifica del ’92 avrebbe convertito un intero paese e la futura classe dirigente ad una morale e un’etica fondate entrambe su un’inossidabile onestà. Ha fallito perché non è riuscita neanche ad allontanare definitivamente chi, giustamente condannato, ancora lo si ritrova lì dove dovrebbe avere un’ingiunzione giudiziaria per non avvicinarvisi neanche. Ha fallito perché grazie a Mose, Expo’ e continue notizie di giudiziaria, l’immagine del nostro amatissimo Paese ne esce sempre peggio. La stessa immagine che il nostro presidente del consiglio Matteo Renzi ha tanto a cuore, forse ben più della sostanza.

Si è dovuto affidare ad un personaggio come Raffaele Cantone, magistrato la cui caparbietà e tenacia hanno contraddistinto la sua attività, l’ingrato compito – per non dire erculeo – di mettere fine alla pratica comune della tangente, della concussione, della corruzione, del millantato credito che ormai sembrano essere connaturate in noi. Lo sono forse talmente bene, che come i tumori, riescono con intelligenza artificiale a riprodursi lì dove proprio non te l’aspetti, con una cura e una dovizia che solo i cancri sanno fare. In questi giorni è il turno del ministro Lupi che, seppur neanche indagato va detto, si mostra nelle intercettazioni e nei fatti come vicino all’ennesima cricca venuta da lontano. Da lontano nel tempo s’intende, perché geograficamente è stata sempre qui, poche eccezioni a parte.

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E adesso che fare: ne chiediamo le dimissioni o siamo garantisti fino alla fine, e vediamo se anche il risvolto morale si allontana nelle indagini dal ministro dei Trasporti dell’Ndc? Ma diciamoci la verità chissenefrega: siamo stanchi. Siamo talmente stanchi di leggere, conoscere direttamente o ascoltare di episodi di malcostume che non vogliamo neanche più sapere i nomi di chi è coinvolto. Non è che non ci indigniamo più per abitudine, è che proprio non crediamo più nella redenzione. Ma non della classe politica, non dei dirigenti pubblici, non degli imprenditori ma di un sistema che forse agevoliamo tutti: non andando a votare, avendo accettato con eccessiva passività che scegliessero per noi governi mai eletti, senza scendere in piazza veramente, se non il tempo di una bollita di pasta, perché preferiamo andare all’estero lasciando l’Italia a soggetti di questo spessore morale. E soprattutto perché finché non ci tocca sul serio siamo tutti Charlie.

 

E mentre oggi le frecce tricolore, orgoglio e simbolo di un paese che forse esiste solo in cielo, volavano per festeggiare l’anniversario dell’Unità d’Italia, ci svegliavamo inermi di fronte all’ennesimo scandalo, che scandalo non è. Perché scandaloso è qualcosa che non fa parte della consuetudine di tutti i giorni. Ma se v’è una certezza da queste parti è che domattina ne avremo un altro, che nell’immaginario collettivo scalzerà quello di oggi, e abbracciando il tricolore con un rivolo di lacrima sulla guancia del nostro poco orgoglio rimasto, spereremo ancora che il futuro non sia proprio tutto qui.

Giampiero Marrazzo

L'Autore

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