La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Carla Fracci a FQ: L’Opera di Roma? Giù le mani dai lavoratori. E tu, Muti, ripensaci

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La vita di un danzatore? “Assomiglia per certi versi al calvario di Cristo”. Carla Fracci – étoile, ambasciatrice del teatro italiano nel mondo ed ex direttrice del corpo di ballo dell’Opera di Roma – spiega con un rimando volutamente forte, in questa intervista esclusiva a Futuro Quotidiano, che cosa voglia dire scegliere di vivere per il teatro. Per questo il caso del Teatro dell’Opera di Roma – al centro di uno psicodramma di ordine economico-sindacale con l’abbandono-choc di Riccardo Muti, i licenziamenti a tappeto dei lavoratori e le polemiche che continuano ad accompagnare la vicenda – non può non appassionarla e indignarla per le ripercussioni di immagine e sulla qualità della proposta culturale del Paese. Perché se il nemico dell’arte a suo avviso, citando Marx, rimane “il capitale” è altrettanto vero come proprio alcuni uomini di teatro siano tra i responsabili di molti disastri. Ecco allora che, davanti all’anno zero del teatro italiano, dal nostro giornale lancia un appello al maestro Riccardo Muti (“Torni e porti in palcoscenico ‘Aida’”) e uno a Matteo Renzi: “Ha il dovere di sapere che cosa sta succedendo nel teatro italiano”.

Che cosa pensa Carla Fracci di ciò che sta avvenendo al Teatro dell’Opera di Roma e in generale al teatro italiano?

Al teatro dell’Opera si vive in questo momento il senso terribile della perdita delle responsabilità. Responsabilità assolute e determinanti che servono per tirare avanti la vita di un teatro prestigioso come quello dell’Opera, importantissimo come è sempre stato per il nostro Paese. Probabilmente si assiste in questo momento a lotte per il potere che non dovrebbero minimamente esistere quando si tratta di dirigere un teatro la cui funzione è fare cultura.

Da mesi invece è “teatro” di polemiche.

È pieno di lavoratori di primissimo ordine e si guarda a questo momento con una grande amarezza. Io mi auguro che i responsabili veri facciano un esame di coscienza. Lo dico chiaramente: oltre che dagli artisti, il teatro è composto anche da tecnici insostituibili, dalla sartoria, dagli attrezzisti. Per non dire del corpo di ballo che vive la situazione più grave: avendo meno voce in capitolo, perché senza leader, si trova in difficoltà, appare di meno.

Teatro dell’'Opera di Roma

Il Teatro dell’Opera di Roma

L’orchestra è al centro della bufera.

L’orchestra fino a poco tempo fa aveva un grande direttore responsabile. Il coro è composto da un nucleo di grandi artisti. Non si capisce, davanti a tutto questo, lo slittamento di responsabilità. La vita dell’Opera deve tornare a produrre arte.

Lei ha diretto per anni il corpo di ballo del Teatro dell’Opera. Che cosa ha provato alla notizia dei licenziamenti in blocco?

Dirigere il corpo di ballo è stata una grande esperienza. Durante la mia permanenza ha assunto una posizione importantissima in Europa, tanto da essere considerato con articoli su tutta la stampa internazionale: il Financial Times gli dava il primato europeo. Quel corpo aveva un repertorio di primissimo ordine, sono arrivati artisti di grande classe da tutto il mondo: per due volte abbiamo raggiunto Mosca per una stagione importante. Poi a una certo momento, non a causa di Carla Fracci né di nessun collaboratore o danzatore, la macchina è passata in altre situazioni e il “giocattolo” si è inceppato. Quando dico giocattolo sottolineo che è una parola straordinaria, perché è quella cosa che dà felicità ai bambini e ai grandi uomini. Poi questo è stato tartassato, forse anche con una volontà di rompere gli ingranaggi. I responsabili se ne dovranno pentire a questo punto.

Adesso, secondo gli artisti, coi licenziamenti rischia di rompersi il “giocattolo” dell’Opera.

Il teatro dell’Opera non si salverà mai se licenza i suoi lavoratori. E ripeto: il teatro è composto e animato da tante categorie. Non è solo orchestra, coro e corpo di ballo: ci sono i macchinisti, i pittori che realizzano le scene, gli attrezzisti. È un complesso straordinario di lavoratori. Le posso assicurare che al Teatro dell’Opera ancora sopravvivono e resistono molti operatori, che fanno di tutto perché quella macchina continui a funzionare nonostante le volute inceppature.

Gli artisti hanno qualche responsabilità?

Gli artisti hanno sempre delle responsabilità. Ma c’è una differenza fra prestazione artistica e lavoro. La prestazione artistica può essere più o meno buona ed è una responsabilità personale degli artisti. Ma in un teatro d’opera come quello di Roma, quando c’è questo tipo di responsabilità, gli artisti devono diventare soprattutto dei lavoratori. E i lavoratori quasi sempre fanno il loro dovere.

Tempo fa lei si appellò all’allora sindaco di Milano Albertini perché non lasciasse partire Muti («Muti è uno dei pochi che comanda e domina con la forza della sua intelligenza e del suo carisma»). Adesso che il maestro ha lasciato Roma che cosa perde il teatro?

Mi ricordo bene quando chiesi ciò al sindaco: fui anche rimproverata per quell’appello. Muti è una persona dallo straordinario valore artistico. Per questo dico che nel momento delle grandi divergenze non doveva minimamente scendere dalla barca. Del resto il direttore è stato uno che davanti a certe situazioni dette ai tempi una sapientissima lezione.

Ossia?

Accadde durante uno sciopero indetto dall’orchestra in un momento in cui dirigeva una “Traviata” alla Scala: in un giorno di sciopero lui fece portare sul palcoscenico un pianoforte e la eseguì. Andandosene ha dato un grande dolore a tutti. Perché vedevo già una cosa del genere in un eventuale sciopero. Ma i lavoratori dell’Opera non avrebbero mai scioperato per le recite di “Aida”. Certo, è un grande dispiacere: probabilmente gli anni passano, le paure arrivano. Si cambia. Io pensavo che Muti confermasse la sua presenza sul podio o al pianoforte: sarebbe pure in tempo, mi auguro che rifletta.

Sta chiedendo a Muti di ripensarci?

E come se io stamattina alla mia tenerà non avessi più fatto i miei esercizi fisici, o non scendessi in una sala prova a fare una lezione di stile o addirittura a fare quattro passi e comporre una piccola grande coreografia. Muti farebbe benissimo a dire: prendo in mano “Aida”, nelle mie mani di grandi pianista e nel mio cervello di grande direttore, e la porto avanti.

Lei ha parlato di “disegno” di smantellamento dei nostri enti lirici? Chi è l’ispiratore?

Il nemico della cultura, del teatro, è lo stesso del popolo. È quell’idea che ci ha chiarito Carlo Marx quando ha scritto Il Capitale: il nemico è il capitale. Purtroppo esiste una serie di arrampicatori che pensano più al capitale che alla buona musica, al buon teatro. E questo è tremendo. Il disegno di smantellamento non è da attivo da adesso, è da qualche anno che è in atto. Ci sono stati dei difensori veri, importanti, del teatro: come il sovrintendente del teatro comunale di Bologna, Francesco Ernani. Ma purtroppo sono tanti i detrattori che vogliono garantirsi non il lavoro ma il posto di lavoro. E il posto di lavoro porta a delle conseguenze morali molto difficili da accettare.

COP_fracci.indd“Mi piacerebbe che le istituzioni facessero qualcosa per la danza, dato che, nel mio piccolo, anch’io ho fatto qualcosa in Italia”. Sono sue sentite parole a margine dei tanti problemi che affiggono il mondo della cultura. Sono state ascoltate da qualcuno? 

Ho una carriera lunga. È cominciata da ragazzina, dopo essere stata assunta alla scuola di ballo della Scala scelta da Ettorina Mazzucchelli una donna molto seria, impostata, fra le bambine “da rivedere”. Mi ritrovai alla sbarra per un mese di prova e da quel momento sono passati sessantanove anni e la mia compagna più fedele di lavoro è rimasta questo oggetto simbolo nel mondo, croce e delizia come quel Cristo straordinario che porta la sua croce nel calvario.

Che cosa rappresenta quella sbarra?

Un Calvario pieno di sassi ma anche di gioia. Cristo cadeva, si rompeva, ma sapeva che quello portava sulle spalle avrebbe aperto le porte a una gioia eterna. Lo stesso vale per il danzatore. Proprio per questo dico: perché le stesse persone che si sono formate con la fatica sono le stesse che da vent’anni seguitano a smantellare il mondo della danza? Invece di fare come nelle altre nazioni – Francia, Austria, Germania – in Italia ci ritroviamo con Venezia che non ha più un corpo di ballo, a Trieste non c’è più posto per i ballerini, e così a Torino e a Catania. In attività sarebbe rimasta solo l’Opera di Roma dove i ballerini non hanno più voce in capitolo. Se è andata a finire così non è certo per la responsabilità dei lavoratori, né dei ballerini. Una grande pena, questa, che è venuta fuori dal cattivo comportamento della direzione dei teatri e dai politici.

A proposito di politici. Se avesse il premier Renzi davanti che cosa gli chiederebbe?

Matteo Renzi è una persona di grande vigore e forza. Ho avuto anche il piacere di conoscere lui e sua moglie, due persone per bene uniti da una qualità importante: quella di essere grandi, attivi, lavoratori. Ho avuto un onore straordinario quando alla provincia di Firenze – nel centenario di Chopin – abbiamo realizzato la sua opera in diversi appuntamenti. In questo momento il premier è impegnato in una battaglia per promuovere se stesso, in una grande battaglia di dinamica. Renzi ha il dovere di sapere che cosa succede nel mondo del teatro, della danza. Non si lasci abbindolare dalle cose che gli fanno apparire, glielo dico col cuore, come una sorella maggiore. Se lo faccia dire da una che ha sempre lavorato, nel senso vero: dal lavoro casalingo al lavoro di ballerina. Con un certo stile, lo riconosco.

Antonio Rapisarda

Twitter @rapisardant

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