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Il garante dei detenuti a FQ: il carcere rimane un’istituzione violenta

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Il caso della morte di Stefano Cucchi – rispetto al quale la Corte d’Appello, suscitando polemiche e indignazione, ha assolto tutti gli imputati – riporta al centro del dibattito il problema della custodia nelle strutture di sicurezza e più in generale delle condizioni delle carceri italiane. Secondo i Radicali, a proposito di questo, la situazione generale nonostante gli ultimi provvedimenti non è per nulla risolta se – solo per citare un dato – “i detenuti presenti nelle nostre galere sono attualmente 55 mila ed i posti regolamentati soltanto 49.000”. Di questo e delle problematiche legate alla violenza, alla normativa e alle scelte “politiche” di non intervenire sulle misure alternative Futuro Quotidiano ne ha discusso con Angiolo Marroni, Garante per i detenuti del Lazio.

Avvocato, è normale che un cittadino entri in “custodia” dello Stato vivo ed esca da lì senza vita?

Non è normale, ovviamente, ciò che è successo al giovane Cucchi. Ne ho parlato spesso anche in incontri pubblici con la famiglia. E penso che in ogni caso un colpevole o i colpevoli vadano trovati. Capisco l’imbarazzo del magistrato che si è trovato in condizione di non decidere. Ma è chiaro che il problema esiste e occorre fare fronte a ciò anche con altre indagini. Non so come ciò potrà accadere: è stata appena emessa una sentenza.

Marroni

Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio

Quanti casi del genere si affrontano?

Questo ha scavalcato tutti. C’è da dire che la violenza sui detenuti dentro il carcere, che storicamente c’è sempre stata, è diminuita. Anche perché, come qui nel Lazio, siamo noi a vigilare.

Che cos’è cambiato?

È migliorata la cultura della polizia, degli educatori ed è migliorato il carcere in generale. Discorso diverso sono i casi di violenza tra detenuti. Quest’ultima è una situazione più complicata: i momenti di tensione, spesso tra nazionalità diverse o per rivalità banali, ci sono.

Crede che sia eliminabile la violenza nelle carceri?

Il carcere è di per sé un’istituzione violenta. Toglie la libertà, e con questa anche la libertà sessuale che in Italia ancora viene vista come un peccato.

E le misure alternative?

Sono sempre più rare. Non sono applicate come andrebbero, bisognerebbe convincere i magistrati. Il carcere, sia pur diminuendo la sua popolazione, rimane un’istituzione affollata e violenta.

Quali sono i problemi che da garante si trova ad affrontare?

Il diritto alla salute, ad esempio, Problema serio in quanto diritto primario e che tuttavia si fa fatica a far rispettare. Segue il diritto al lavoro: un diritto esercitato dal 15% dei detenuti. Per gli altri se non ci fossero le associazioni e le cooperative non ci sarebbe nessuna risposta. Poi un’altra domanda non tenuta in considerazione è il rapporto con la famiglia.

In che senso?

Parlo di territorialità della pena. La distanza produce dissesti disastrosi per le famiglie dei detenuti. Questo assieme alla mancanza, come dicevamo prima, di una norma sulla sessualità.

Che tipo di risposte sono arrivate dall’azione del ministro della Giustizia Orlando?

Il ministro ha fatto qualcosa. È riuscito a far diminuire il numero dei detenuti. E ha fatto aumentare la vivibilità con la direttiva di non tenere troppo in cella le persone e, assieme a questo, ha aumentato la messa in prova dei detenuti. Dall’altro punto di vista, per ragioni di cassa, ha ridotto i provveditorati e ciò non va bene. Così come il fatto che l’amministrazione penitenziaria non abbia ancora un capo. E poi, a fondo di tutto, sul 41bis permane sempre un silenzio enorme: è una pena aggiuntiva piuttosto unica. Pena certamente non costituzionale.

Torna sempre il tema dell’amnistia e dell’indulto come una delle soluzioni.

Tempo sprecato, non ci saranno. Il Parlamento non le voterebbe mai.

Che soluzione propone il Garante dei detenuti?

La riforma del codice penale: ossia privilegiare le misure alternativa. Perché il carcere è una misura estrema.

Danilo Patti

L'Autore

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