L’Arabia Saudita è un paese chiave per la fragilissima stabilità del Medio Oriente e non solo. E quanto sia importante averlo come alleato lo dimostra la decisione del presidente americano Barack Obama di abbreviare di tre giorni la sua visita in India, rinunciando al tour a Taj Mahal, straodinaria icona di storia, cultura e bellezza, per recarsi a Riad a incontrare il nuovo re Salman bin Abdul-Aziz Al Saud, salito al trono venerdì scorso alla morte del sovrano Abdullah, suo fratellastro. Washington sta cercando di recuperare in ogni modo quello che era stato fino a pochi anni fa uno dei principali alleati nell’area, scudo sicuro soprattutto contro l’antico nemico rappresentato dall’Iran degli ayatollah. Un alleato, che Washington ha rischiato ripetutamente di perdere in vari momenti e su più fronti diplomatici, dalla Siria, alla Palestina, all’Egitto, e che resta vitale invece sia nel controllo dell’architettura della sicurezza nella regione che nella gestione degli interessi legati al petrolio.
Il potere del petrolio
Gli Stati Uniti con la scoperta dell’enormi risorse di shale gas nei loro vasti territori avevano, a un certo punto, cominciato a ri-orientare le loro posizioni in Medio Oriente, allentando i legami con gli amici di un tempo. Ora invece stanno tornando sui propri passi. Chi stabilisce il prezzo del petrolio è infatti ancora e sempre Riad, leader incontrastata in seno all’Opec. E’ stata l’Arabia Saudita a decretare l’innarrestabile discesa delle quotazioni del greggio quando, consapevolmente e di proposito, ha deciso, lo scorso novembre a Vienna, di mantenere inalterate le quote di estrazione globale giornaliera. Lo ha fatto senza perderci nulla, per riaffermare la propria posizione di dominio nel settore energetico e per dare una lezione a Washington: sotto un certo tetto infatti l’oro nero americano è troppo oneroso da estrarre. E proprio oggi le quotazioni hanno raggiunto punte minime attestandosi a 47 dollari al barile.
Un bagno di sangue per gli Stati Uniti, che potrebbero dover rinunciare a una gran quantità di progetti estrattivi. Un bagno di sangue per Russia, Iran e Venezuela, letteralmente messe in ginocchio dal crollo del greggio le cui spese idealmente dovrebbero mantenersi intorno ai 120 dollari. E’ per questo che Obama si è affrettato a lasciare l’India per Riad. La partita sul petrolio con l’Arabia Saudita si gioca proprio in queste ore. In queste ore infatti la monarchia saudita potrebbe decidere i possibili nuovi vertici dei ministeri strategici, tra cui proprio quello del petrolio. Essere lì e stringere una alleanza tutta nuova con il re che si è appena insediato sul trono potrebbe rivelarsi determinante per l’Occidente.
Il possibile accordo tra Usa e Arabia Saudita
Un possibile accordo infatti sul mercato del greggio tra Stati Uniti e Arabia Saudita potrebbe avere come conseguenza accordi militari importantissimi nella regione, accordi che potrebbero decretare la fine dell’avanzata dello Stato Islamico, potrebbero contribuire a una soluzione definitiva alle crisi siriana e irachena, e chissà anche a quella libica. L’incontro tra Obama e al Saud non è un incontro da poco. Al Saud per altro è ben più potente del suo fratellastro che lo ha preceduto sul trono: è il principale rappresentante infatti della più potente fazione politica e tribal dell’estesissima famiglia reale -che conta 6 mila principi- quella dei “Sette Sudairi”, che sono i discendenti diretti di Ibn Saud, padre fondatore dell’Arabia Saudita e Hassa bint Ahmed al Sudari, la sua amatissima moglie, membro del clan di Nejd, che domina la regione centrale del paese e che è considerato il custode del wahabismo, la dottrina più rigorosa dell’Islam, fondata sulla più stretta e tradizionale osservanza del Corano.
Ildegarda Seaman