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Abraham Lincoln

IL PREZZO DELL’ORO NERO E IL NUOVO CORSO SAUDITA

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arabia sauditaNon solo il giro di vite in politica estera, caratterizzato da un’ esposizione fortissima e mai registrata sinora a livello internazionale con l’intervento militare nello Yemen e il violentissimo schiaffo dato all’Iran con l’esecuzione capitale del popolare imam sciita Nimr al-Nimr, l’Arabia Saudita sta anche trasformando sostanzialmente il modo di gestire i suoi affari interni e sembra decisa più che mai a imboccare la strada di riforme, riforme che puntano a rivoluzionare la sua stessa ossatura dello stato. E’ naturalmente il petrolio la chiave di tutto e il crollo del prezzo sul mercato mondiale che sta spingendo Riyadh in questa nuova e insondata direzione. Le entrate del greggio sono crollate del 23% lo scorso anno, non certo poca cosa per un paese le cui risorse derivano per il 73% dall’oro nero e che fonda su di esso la propria stabilità. Meno è il guadagno dal petrolio, meno sono i benefit che ne discendono per tutti, maggiore è il rischio che aumenti il malcontento tra la popolazione o, peggio, che cominci a soffiare con forza il vento dell’estremismo.

L’Arabia Saudita, come ha sottolineato Mark Lobel, analista della Bbc, in un servizio dedicato al nuovo corso in atto nel regno, ha finora evitato questi problemi attraverso generose elargizioni statali ed evitando di imporre tasse ma adesso dovrà necessariamente fare i conti con un settore pubblico che vive al di sopra delle proprie necessità e una storia di sprechi e di eccessiva generosità. Il benessere materiale in cambio di una libertà politica limitata ora potrebbe essere a rischio. I tagli sono inevitabili. Nel bilancio di previsione per il 2016, Riyadh ha messo in conto per il nuovo anno un deficit di 326 miliardi di riyal (87 miliardi di dollari) contro quello attuale che è pari a 367 miliardi (97,9 miliardi di dollari), il 15% del pil, ed entrate che ammonteranno a 514 miliardi contro i 608 miliardi del 2015. E lo stesso re Salman nel suo discorso al Consiglio della Shura –l’organismo composto da 150 membri di nomina reale che ha il compito di sottoporre proposte di legge e da poco peraltro aperto anche alle donne- ha ammesso che il paese dovrà far fronte a nuove sfide economiche e che per questo dovrà diversificare le proprie entrate ma soprattutto procedere ad un piano di tagli efficiente che comunque non andranno a toccare, nella maniera più assoluta, comparti come quello della salute, dell’educazione, nella quale l’Arabia Saudita ha intenzione di investire 191 miliardi di riyal, del settore militare, che beneficerà di 213 miliardi e dei servizi di sicurezza.

E in più, almeno per il momento, non saranno introdotte tasse, come invece sembrava possibile, se non su alcuni arabia sauditaprodotti ritenuti nocivi, come le sigarette e i soft drink. L’obiettivo, ha spiegato il sovrano, è di ridurre il passivo che grava sul budget, portando la spesa dagli attuali 840 miliardi di riyals a 975 miliardi, eliminando quello che è in surplus, investendo su risorse non-oil, le cui entrate lo scorso anno sono aumentate del 29% e aprendo alla privatizzazione di alcuni settori per creare nuova occupazione: attualmente lavorano nel paese 10 milioni di stranieri su una popolazione di 30 milioni. Anche qui si preparano nuove regole. Il ministro delle Finanze Ibrahim al-Assaf, prima che fosse presentato il bilancio di fine anno, aveva già lanciato un invito all’imprese a reclutare più manodopera locale. Insomma l’Arabia Saudita è corsa ai ripari per tempo e la sensazione diffusa è che il paese si aspetti un crollo ulteriore del prezzo del greggio. Anzi c’è chi dice, come Fahd bin Jumaa, vice presidente della commissione energia della Shura, che la bozza di previsione del bilancio 2016 sia stata elaborata su proiezioni basate su una quotazione del petrolio a 45 dollari al barile.

Ryad ha sotto gli occhi quello che è successo nella regione, in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. E sa che deve procedere con i piedi di piombo, falcidiando le spese non necessarie come ha già cominciato a fare. Sono stati così cancellati, rinviati o rivisti, faraonici progetti per modernizzare i trasporti nelle piccole e medie città e per costruire nuove strutture sportive, a cominciare dagli stadi. Un’altra area che verrà tenuta sotto osservazione è il mercato dell’energia rinnovabile. I piani di investimento nel solare e nell’eolico sono attesi a breve: creano posti di lavoro e riducono la spesa del governo in sussidi al consumo saudita di petrolio, che nel 2015 è stata pari al 10%. Ma perché non tagliare invece la produzione dell’oro nero per provocarne un riapprezzamento? Durante la crisi di sovrapproduzione degli anni Ottanta, ricorda Lobel, l’Arabia Saudita lo fece, ma gli altri paesi non seguirono l’esempio. Dopo quella lezione, Ryad taglierà soltanto se taglieranno Russia e Iran. Intanto tentativi di un accordo in tal senso ci sono stati anche con paesi non Opec, ma non sono andati a buon fine. Il governo sa che il crollo del greggio colpisce anche le economie dei paesi nemici e per questo continuerà a produrre le quote prefissate fino a quando non saranno gli altri, messi alle strette e magari costretti a fare i conti con una situazione economica più critica, a sollecitare una soluzione congiunta. Intanto una nuova strada da seguire si profila all’orizzonte del paese, guidato da un monarca deciso a non restarsene a guardare dietro le quinte passivamente ciò che accade fuori e dentro il suo regno.

Velia Iacovino

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