«Lei sogna di ..far tredici? » Ma lo farà sicuro!

Gianni Rodari

Impennata di Braveheart. Doccia scozzese per la sterlina

1

Doccia scozzese per la sterlina. All’indomani del sorpasso nei sondaggi del fronte indipendentista  che vuole la separazione di Edimburgo da Londra balzato al 51% contro il 49% degli unionisti, la moneta britannica, già ieri sera scambiata in netto ribasso sui mercati australiani, ha subito questa mattina un colpo basso, perdendo sul dollaro quasi un punto percentuale. È passata infatti da 1,63 di venerdì a 1,615. Un opening gap davvero drammatico per il pound nei confronti del quale ha recuperato terreno persino l’euro, e nonostante le misure annunciate dalla Bce. Il cross tra la moneta europea e quella britannica è tornato infatti sopra allo 0,80 mentre venerdì in chiusura era allo 0,7930. Ripercussioni in negativo dei poll condotti da YouGov e pubblicati ieri sul Sunday Times  si stanno registrando anche sulle principali istituzioni con sede centrale in Scozia: le azioni della  Royal Bank, del  Lloyds Banking Group e dello Standard Life hanno perso oltre 2%.

Un disastro che Dowing Street ha di certo sottovalutato e al quale sta cercando di porre riparo rilanciando la controfferta di devolution che è stata il cuore della campagna Better Together. Funzionerà? E funzionerà il tentativo mediatico messo in atto nel weekend da David Cameron che ha trascorso una due giorni con la regina Elisabetta non a caso nel castello di Balmoral, cuore pulsante della Scozia? Intanto il leader degli unionisti Alistair Darling non sembra scomporsi più di tanto. Mantiene i nervi saldissimi e dice che il testa a testa era previsto e che gli anti secessionisti sicuramente vinceranno. Quanto ai superpoteri a Edimburgo promessi da Londra ha annunciato in una intervista alla Bbc che l’esecutivo renderà noto questa settimana la tabella di marcia del piano. Intanto Sterling ricorda che ci sono anche altri sondaggi, con altri risultati. Quello condotto da Panelbase, ad esempio, che continua a dare anche se di poco in testa gli unionisti con il 52% contro il 48%.

E si moltiplicano anche gli appelli a rimanere insieme. Dopo quello della star irlandese Bob Geldorf lanciato dalle pagine del quotidiano scozzese Herlad, oggi sul Daily Telegraph c’è quello del sindaco tory di Londra Boris Johnson, che ha messo in guardia gli scozzesi dal commettere quello che potrebbe essere un errore catastrofico. Se ciò accadrà, ha detto,  “noi dovremo rinunciare a un modo di pensare noi stessi, a un modo di spiegare noi stessi al mondo.  Noi siamo sul punto di gettare nella spazzatura il nostro nome globale e il nostro brand, in una mossa auto mutilante. I nostri rivali ne rimarranno sorpresi, ma saranno ben contenti e il loro sprezzo crescerà”.

Ma cosa è successo in questi mesi? Alex Salmond, premier scozzese e leader degli indipendentisti, è stato abile ed è riuscito in pochi mesi a rimontare e a capovolgere la situazione, neutralizzando il fattore paura, quello su cui avevano puntato le Cassandre della secessione, delineando per la nuova nazione forti problemi sulla futura moneta, sull’occupazione, sugli investimenti. Basti pensare che a giugno soltanto il 27 % degli elettori riteneva che la Scozia sarebbe stata più prospera fuori dalla Gran Bretagna. Oggi a pensarla così è il 40% contro il 42%.

Ovviamente Cuore Impavido ha puntato anche molto sull’orgoglio nazionale degli highlander e sulla necessità di non restare al rimorchio politico di Londra. Ma soprattutto ha fatto con Yes Scotland una campagna emotiva e ottimistica, raccontando ai giovani un futuro completamente nuovo, contro un passato vecchio e stantio incarnato da Londra, un futuro di speranze. E li ha conquistati, come ha conquistato e i laburisti che proprio nell’ex regno di Maria Stuarda hanno la loro roccaforte. Soltanto i conservatori hanno mostrato di resistere alle sue avances. Sempre secondo il sondaggio YouGov il 93% dell’elettorato Tory voterà no. Il 35% dei laburisti si è dichiarato a favore dell’indipendenza (contro il 18% di quattro settimane fa); il consenso alla separazione da Londra è salito dal 39% al 56% e anche le donne che voteranno Braveheart sono sempre di più, le loro fila si sono ingrossate passando dal 33% al 47%. C’è da tremare. La Scozia davvero si accinge a vivere un nuovo Stirling Bridge day, come quello leggendario in cui l’11 settembre 1297 si consumò la battaglia di cui fu protagonista William Wallace, il leggendario condottiero separatista, interpretato sul grande schermo da Mel Gibson. Oggi le ricadute di quello che è stato finora soltanto un sogno sempre in procinto di realizzarsi potrebbero essere molto più eclatanti del previsto e potrebbero modificare completamente lo scenario economico e geopolitico europeo.

Scozia indipendente più ricca o no?

Salmond  sostiene che la Scozia indipendente sarà più ricca. Ha fatto i conti e i numeri sono dalla sua parte. In caso di vittoria del sì, l’economia della nazione crescerebbe di oltre 6 miliardi di euro l’anno, assicurando alle tasche di ogni cittadino – la popolazione scozzese è di 5,3 milioni di abitanti, l’8,3% del Regno Unito – 1.250 euro l’anno in più. Holyrood ha infatti un prezioso tesoretto su cui mettere le mani: le riserve petrolifere del mare del Nord, 65 milioni di tonnellate di greggio estratto nel 2013. Senza contare il suo oil hub: Aberdeen, città che insieme a Edimburgo sta conoscendo una crescita senza precedenti. Tutte risorse che Londra perderebbe.

Londra replica: l’unione fa la forza. E ha promesso più devolution (nei prossimi giorni saranno resi noti i tempi) e dato pieno sostengo a Darling per la realizzazione di un maxipiano  di reindustrializzazione per la regione, che prevede investimenti pazzeschi anche nella salvaguardia dell’ambiente.

Il futuro della sterlina

Poi c’è la sterlina. La Scozia indipendente dovrebbe rinunciarvi. Londra ha già da mesi recisamente escluso che si possa soltanto valutare l’ipotesi di un’unione monetaria. Anche perché in caso di crisi finanziaria del nuovo stato, il Regno Unito sarebbe costretto ad accollarsi tutto. Il no inglese alla condivisione della sua moneta avrebbe contraccolpi sul sistema fiscale e finanziario. Molto meglio allora per la Scozia, sostengono in molti, unirsi all’euro o introdurre una nuova moneta. Ma in questo caso Edimburgo sicuramente reagirebbe non riconoscendo la propria parte del debito britannico. Così l’alternativa più plausibile non potrebbe che essere quella di un periodo di interregno nel corso del quale la Scozia avrebbe l’opportunità di chiedere l’adesione all’Europa.

Adesione alla Ue

Europa, un’altra nota dolente. La Scozia vorrebbe restare nella Ue. Lo ha già fatto sapere. Ma esattamente come ci sta ora la Gran Bretagna. Ossia con la sterlina e fuori dell’area Schengen. Ovvio che l’Unione non potrebbe mai accettare queste condizioni. Neanche se gli scozzesi si presentassero come i buoni in cambio degli inglesi cattivi. La Ue, che ha già tanti problemi da affrontare, non sembra tenere molto a questa nuova sfida e potrebbe far conto sui tempi lunghi e la burocrazia. Alla Scozia indipendente, se ma ci sarà, è già in programma di sollecitare una richiesta formale di adesione. Ma Edimburgo non si farà cogliere impreparata. Replicherà sostenendo che di fatto la Scozia nella Ue c’è già. Lo dimostra il fatto che il suo parlamento ha finora approvato tutte le leggi della Comunità europea, inglobandole nel proprio ordinamento giuridico. Si aprirebbe così un contenzioso complesso e senza fine. E lo scenario successivo sarebbe quello dell’effetto domino. Dopo Edimburgo potrebbero provare subito a chiedere il riconoscimento alla Ue anche la Catalogna, che ha fissato già il suo referendum (che non è frutto però di un accordo con il governo centrale come quello scozzese) per il 9 novembre e… il Veneto, che guarda da sempre alla Scozia come a un faro.

Se invece fosse Londra a lasciare la Ue

Saltando poi altre tante questioni, da quelle dei confini, alle forze armate, all’adesione alla Nato, c’è un ancora un nodo importante che va a intersecarsi con il voto scozzese di settembre: il referendum britannico sull’Europa annunciato entro il 2017. Se la Scozia uscisse dal Regno Unito, il voto a favore della Ue perderebbe almeno tre milioni di preferenze, lasciando al nazionalista Nigel Farage campo libero e l’uscita di Londra dall’Unione sarebbe cosa fatta.
Ma questa è un’altra storia che merita un capitolo a parte per le immense ripercussioni che avrebbe sul Vecchio Continente. Si può solo dire per ora che i cambiamenti interni al Regno Unito stesso sarebbero enormi. Ci sono Cassandre che prevedono il disastro, il collasso dell’economia britannica e un’impennata della disoccupazione. Al contrario c’è chi prospetta un futuro di gran lunga migliore, con varie sfumature di rosa. Positivi sarebbero sicuramente gli effetti di un’uscita della Gran Bretagna dalla Ue secondo i calcoli contenuti nel Lyons Report, che in questi giorni, il sindaco di Londra Boris Johnson va sbandierando: il paese fuori dell’Europa crescerebbe con un Pil destinato a salire addirittura a quota 615 miliardi entro il 2034. Ma con tutta una serie di ma. Londra dovrebbe riuscire a mantenere un regime di libero mercato, a non perdere i legami storici commerciali con le ex colonie e così via. Se invece il Regno Unito scegliesse di rimanere all’interno dell’Unione, l’unica speranza di raggiungere lo stesso obiettivo di prodotto interno lordo sarebbe legata alle riforme, alla capacità della Ue di orientarsi verso i mercati emergenti del resto del mondo e di essere più flessibile. Impresa non facile. Nessuna speranza di crescita, o comunque speranze minime, se lo scenario politico, economico e finanziario dell’Unione quello attuale. Il grande salto non ci sarebbe. Cosa dobbiamo sperare? Forse che la Gran Bretagna incroci le dita ed eviti di perdere la Scozia. Ma forse anche che esca dal suo isolazionismo, che prenda in pugno la situazione e che, per il bene di tutti, si metta alla guida di un movimento vasto e forte che abbia come obiettivo quello di cambiare le regole d’Europa, trasformando il carrozzone Ue in una macchina smart in grado di viaggiare verso il futuro.

 

Velia Iacovino

L'Autore

1 commento

  1. La secessione all’italiana.
    Il capo dello stato napolitano i secessionisti in Italia li ha isolati, li ha contastati, li ha criminalizzati, li ha epurati.
    I cosìddetti secessionisti dal canto loro, invece di fare la secessione, hanno assaggiato il potere romano e si sono attaccati come tutti i politici idagliani alle cadreghe del potere pubblico centralista romano e napoletano, dimenticando che erano andati a Roma per sconfiggerla, non per rappresentarla.
    Ecco rappresentati storicamente due tipi uguali e diversi di tradimento all’italiana.

Lascia un commento