La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta.

Abraham Lincoln

La delusione e il coraggio: il fallimento o la rivincita di un paese che passa dai giovani

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Essere giovani oggi ha in sé un unico grande dolore: sentirsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Eppure mai come in questi anni le possibilità sono tali e tante che far comprendere quanto questo rappresenti per gran parte dei giovani una realtà quotidiana con cui confrontarsi non è affatto semplice. Viene detto che nel mondo della globalizzazione, del web 2.0, le possibilità sono infinite: questa è la prima bugia da digerire. O almeno lo è nel nostro Paese, dove non c’è stata una vera rivoluzione generazionale. Sicuramente la rottamazione tanto acclamata, o quantomeno venduta, è riuscita a ‘svecchiare’ una classe politica, in alcuni casi anche quella dirigente, ma senza mandare veramente in soffitta i modi che le precedenti classi avevano stabilito. L’accesso al lavoro continua a rimanere ancorato non alle mere competenze, quanto invece alle conoscenze, ormai noto punto di partenza, nonché base stabile purtroppo su cui costruire una possibile carriera. Che comunque sarà mirata dalla lotta intestina che vedrà scontrarsi la segnalazione più potente, l’una con l’altra, senza prendere mai veramente in considerazione la bravura, la prontezza, la preparazione, le capacità tutte. E questo perché non si è veramente cambiato registro nelle nostre coscienze, anche in quelle dei più giovani, che hanno anche pesanti responsabilità.

È un vizio che ci è stato tramandato in parte, quello di credere che l’avere le spalle coperte rappresenti una necessità, che si scontra con chi è solo con se stesso, magari penalizzato dalla non appartenenza ad una classe sociale adeguata. In tempi non così lontani il riscatto sociale, così come l’ascensore sociale erano realtà su cui si lavorava concretamente. Era dal basso che si doveva far crescere la futura classe dirigente del paese: questa la prima conquista di un paese un tempo assai rurale, che vedeva soprattutto nei figli del sud la volontà di ripartire e ricostruirsi. Oggi quegli stessi figli vivono condizioni decisamente più difficili dei padri, perché non basterà loro emigrare al nord per migliorare la loro condizione. Dovranno invece vivere nella speranza che il sud del loro mondo non sia più semplicemente il meridione d’Italia, ma l’Italia stessa.

E volgere quindi lo sguardo verso il resto del mondo. Non è sicuramente detto che i migliori delle classe generazionali più giovani siano andati o stiano andando all’estero. Ma è certo che molti siano obbligati a farlo, sono i numeri a dircelo. Così come non è assolutamente detto che chi rimanga quindi sia ad un livello professionale inferiore. Magari ha semplicemente scelto di non lasciare il proprio paese a chi crede l’abbia rovinato, e voglia invece lavorare costantemente nel suo piccolo per migliorarlo. Si tratta anche questo di coraggio. Forse ancora maggiore è la forza che ci vuole per restare che non quella che ci lascia partire. In ogni caso è una sconfitta, per chi resta, per chi parte, per il paese, per le famiglie, per la società. Ma a chi interessa veramente tutto questo? Chi, al di fuori della propaganda soprattutto politica, mira giornalmente alla variazione di questo canone ormai abitudinario? Perché questa è la prima domanda che i giovani si pongono: a chi interessa di noi? (segue)

Giampiero Marrazzo

L'Autore

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