Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

La Palestina non è in vendita

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No a qualsiasi forma di soluzione economica per il conflitto arabo-israeliano. A conclusione  della conferenza che venerdì 21 giugno che  si è tenuta alla Stampa Estera a Roma sulla situazione in Medio Oriente, i rappresentanti delle comunità  e delle associazioni palestinesi nel nostro paese hanno lanciato un appello al governo ,  al parlamento e alle forze politiche e soprattutto ai cittadini italiani a guardare con occhi propri non attraverso le lenti degli altri all’ “iniquo progetto” che l’amministrazione americana sta preparando per la Palestina  e il cui primo concreto passo è il workshop indetto in  Bahrein  il 25 e 26 giugno. “Quello degli Stati Uniti è un tentativo –ha sottolineato il giornalista palestinese Samir Al Qaryouti, che ha letto il documento- che mira a barattare i diritti storici del popolo arabo-palestinese con il denaro.  Noi ci appelliamo a tutti gli italiani affinchè  stiano al nostro fianco per poter evitare ancora tragedie e nakbe del popolo palestinese e nuovi conflitti, respingendo l’annunciata iniziativa a Manama e sostenendo con forza l’aspirazione del popolo palestinese alla sua libertà, ai suoi diritti, alla costruzione di uno stato sovrano”.

Il dibattito, al quale hanno preso parte Mohammed Hanoun, Presidente dell’associazione dei palestinesi in Italia, Anwaar Oudeh, membro della direzione dell’Udap –Unione Democratica Arabo Palestinese, e brillante voce della generazione dei ragazzi palestinesi così di Oslo, Bassam Saleh, giornalista palestinese, moderato da Al Qarayouti è stato introdotto da   Velia Iacovino, condirettore editoriale di Futuro Quotidiano, che ha tratteggiato l’attuale scenario mediorientale, sottolineando come la questione palestinese  continui ad essere  la madre di tutti in conflitti in atto nella regione. Una regione, ha detto, “dove spirano sempre più forti i venti di guerra”,  e che è “così  vicina a noi, ma che resta sempre purtroppo all’ombra  nell’agenda politica del nostro paese”.

I rappresentati palestinesi hanno stigmatizzato  l’ “assurdo tentativo americano di comprare la pace”, svendendo la loro amata patria. “Non accetteremo mai un’umiliazione del genere. I soldi sono importanti, ma non valgono la nostra dignità”, hanno unanimamente rimarcato che appare chiaro che  il progetto di Trump, come emerge dal rilievo che gli Stati Uniti stanno al workshop che si terrà in Bahrein, è quello non di lavorare per la pace o la prosperità comune, ma di sdoganare il mercato israeliano nel mondo arabo, un bacino di 300 milioni di persone.

Per il 25 e 26 giugno sono previste in tutto il mondo manifestazioni e sit in davanti alle Ambasciate americane. Ma non basta, da più parti nel corso del confronto alla Stampa Estera, è arrivato l’appello ai palestinesi della diaspora a fare lobbyng internazionale e a costituire un think tank multilaterale  per dare vita a  una contro.-iniziativa di pace.

 

 

Ecco l’intervento di Velia Iacovino, direttore editoriale della nostra testata

Abbiamo rischiato questa mattina di svegliarci con la sorpresa dello scoppio di un nuovo conflitto. E credo che sia importante più che mai  accedere i riflettori in questo  momento su quello che sta accadendo in Medio Oriente, dove soffiano venti di guerra sempre più forti. Una regione  così vicina a noi, ma che resta sempre un po’ in sordina nell’agenda politica del nostro paese. Non si parla di Yemen, non si parla di Sudan, non si parla di Algeria,

2) Vorrei dividere questo intervento in due parti. Il primo dedicato allo scenario complessivo mediorientale e l’altro al piano per la Palestina e il M.O elaborato dal consigliere speciale e genero di Trump Jared Kushner

3) Un progetto  che  il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha più volte annunciato come imminente e poi rinviato. Sono certa, almeno sulla base di alcune dichiarazioni dell’amministrazione americana, che non usciranno dettagli ufficiali neppure dal workshop economico indetto in Bahrain per il 25- 26 giugno e finalizzato a creare la sua struttura portante.

4) L’accordo del secolo, the deal of the century, Trump lo annunciò, come ricorderete,   subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, durante il suo primo tour all’estero, la cui meta fu Ryad, dove, oltre a colloqui bilaterali con la Monarchia saudita, incontrò i rappresentanti dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

5) Sul tavolo tre questioni: lotta al terrorismo, Iran e  pace israelo-palestinese. Questioni presentate come sfaccettature diverse di un unico problema,  e nei confronti delle quali Trump raccolse un consenso  che apparve compatto da parte dei leader del Golfo.

6)  Il giorno successivo, il 23 maggio del 2017, il presidente in Israele incontrò anche Netanyahu, che espresse apprezzamento per il nuovo atteggiamento emerso dal vertice di Riad nei confronti di Israele. A Betlemme incontò Abu Mazen.

7) Perché cito quella visita? Perché quella visita ha avuto ricadute importanti sugli equilibri locali e ha modificato la geografia politica della regione, con effetti immediati e dirompenti.

8) A pochi giorno da vertice di Ryad, il 5 giugno, se non sbaglio, del tutto a sorpresa, Arabia Saudita,  Emirati, Bahrein e Egitto sospendono ogni relazione con il Qatar, imponendogli  un embargo totale, accusando Doha di finanziare e proteggere gruppi terroristici vicini ad Hamas a Gaza e  agli Hezbollah in Libano, e di avere sviluppato rapporti di amicizia troppo stretti con l’Iran.

9) Nella regione scoppia una crisi senza precedenti.

10) Quanto a Trump, non passano neppure sei mesi dalla visita in Medio Oriente,  che  fa ciò che nessuno ha mai osato fare: il 6 dicembre 2017 riconosce Gerusalemme capitale di Israele: è il primo passo concreto verso la  realizzazione del suo cosiddetto piano di pace.  Trump non si ferma qui. Nel marzo 2018 gli Stati Uniti approvano il  Taylor Force Act, tagliando fondi all’Amministrazione Palestinese, accusata di destinare gran parte del denaro ai detenuti, che definiscono terroristi,  rinchiusi nelle prigioni israeliane e alle loro famiglie.  E taglia fondi all’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi.

11) Subito dopo, il 18 maggio, Trump  sposta l’ambasciata a a Gerusalemme,  eliminando il consolato di Ramallah. Poi in settembre smantellerà  anche la sede dell’Olp a Washington. E nel frattempo si occuperà anche dell’Iran, pedina fondamentale nella sua strategia per il Medio Oriente. Il 9 maggio 2018 rompe l’accordo sul Nucleare con Teheran, imponendo pesanti sanzioni al paese.

12) E in questo non è solo: Trump può contare oltre che su Israele, sull’Arabia Saudita, già impegnata con i suoi alleati indirettamente contro Teheran, nel conflitto in Yemen. La nuova leadership che fa capo al principe ereditario Mohammed bin Salman punta a ampliare il suo potere nella regione.

13) Nella sua orbita gravitano Egitto, Emirati, Kuiwat, Bahrein. Sull’altra sponda invece ci sono il Qatar, l’Iraq, la Turchia. In mezzo, in fragile bilico,  Giordania, Marocco, Oman.

14) La tensione con l’Iran cresce sotto traccia fino a diventare dirompente questa primvera quando l’amministrazione americana annuncia di aver inserito i Pasradan, le Guardie della rivoluzione iraniana,  nella lista nera del terrorismo,  e sospende  le esenzioni sull’embargo (cosa che riguarda direttamente anche l’Italia, fortemente penalizzata da questa situazione, essendo  primo partner per l’import di greggio da Teheran).

15)Trump riduce il personale nella  ambasciata Usa in Iraq e invia nel Golfo la portaerei Abraham Lincoln con 40 cacciabombardieri e altre forze,  giustificando questa iniziativa con notizie raccolte dall’intelligence di possibili imminenti attacchi iraniani contro gli Stati Uniti  e i suoi interessi in Medio Oriente.

16) Cominciano a circolare intanto indiscrezioni sul tanto atteso piano di pace mentre contemporaneamente  l’Arabia Saudita convoca un vertice urgente alla Mecca,  al quale partecipano gli stati membri del Consiglio di Sicurezza del Golfo,  Lega Araba, Organizzazione dei paesi islamici, per serrare i ranghi e fare quadrato  contro l’Iran, che Ryad accusa  insieme agli Huti dello Yemen, alleati di Teheran,  di attacchi alle sue petroliere. L’altro grosso tema è la questione palestinese. I sauditi  invitano i paesi della Lega Araba a mantenere la promessa di creare un fondo ad hoc.  Poi il 13 giugno a due petroliere nel golfo dell’Oman. Le prove americane contro i Pasradan. E infine all’una di questa notte l’abbattimento di un drone statunitense, da milioni di dollari, da parte dell’Iran che sostiene che avesse oltrepassato i confini del suo spazio aereo con Trump che prima ordina l’attacco e poi ci ripensa.

17) Questo lo scenario in cui si inserisce la convocazione da parte di  Trump, di  Kushner, l’architetto del progetto, di Greenblatt, l’inviato speciale per il medioriente, e di  Friedman,  l’ambasciatore in Israele,  del workshop a Manama, che penso che sia destinato ad avere à proprio per quello che sta accandendo intorno un forte impatto mediatico.

18) Prima di analizzare  cosa dice il piano, o meglio la bozza fatta circolare, è importante capire chi anche chi parteciperà e chi no a questo incontro, indetto in Barhein,  paese per altro a minoranza sunnita  (il 75% della popolazione è sciita) e che per altro non intrattiene rapporti diplomatici con Israele, ma, particolare importante,  ospita la quinta flotta americana.

19) A quanto si sa finora,  ci andrà ovviamente l’Arabia Saudita;  ci andranno gli Emirati, l’Egitto, l’Oman e il Qatar. Ci andranno  il Marocco e la  Giordania (che ha, ricordiamolo, una popolazione costituita dal 60% di palestesi).

20) Israele, sia per ragioni diplomatiche che per l’assenza della sua controparte palestinese, parteciperà al seminario con una delegazione di uomini di affari, non di leader politici. A guidarli sarà l’ex generale in pensione Mordechai.

21)Non ci andrà la Turchia, né l’Iraq né il Libano. Non ci saranno Russia e Cina.  Il Fmi manderà un rappresentante,  l’Onu il vicecoordinatore per il Medio Oriente, la Banca Europea invierà un funzionario d’alto livello e la Ue, che attualmente è il finanziatore più importante dell’Autorità palestinese sarà adeguatamente rappresentato,  come ha spiegato Federica Mogherini , che ha anche confermato che l’Europa,  favorevole alla soluzione politica dei due stati,  resta fortemente scettica nei confronti dell’approccio scelto dagli Stati Uniti.  Un approccio economico,  non nuovo, da piano Marshall, già sperimentato nella regione, e che non ha mai funzionato . Anche perché  – come ha spiegato uno dei peacebuilder dei tempi di Oslo  James Zogby, citando anche un rapporto della Banca Mondiale,  l’economia palestinese è talmente incastrata in quella israeliana,  embedded,  quasi in ostaggio, che qualsiasi iniziativa si metta in campo non dà frutti.

Ma veniamo alla bozza del famoso piano,  una bozza, diffusa  da Israele oggi, autorevole testata vicina a Netanyahu, il cui contenuto  non è stato smentito né confermato ufficialmente da nessuna delle parti coinvolte.

1.Nuova Palestina

L’accorda sarà firmato da Israele, Olp e Hamas, e sancirà la nascita della “Nuova Palestina”, uno stato il cui territorio sarà costituito da  Giudea,  Samaria e Gaza, ma dal quale o verranno esclusi gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che rimarranno  sotto la sovranità di Israele e si espanderanno per unirsi tutt’uno agli insediamenti isolati.

3-Gerusalemme

La città non sarà divisa né condivisa tra Israele e la nuova Palestina, e sarà la capitale di Israele e della nuova Palestina, e la popolazione araba di Gerusalemme avrà la cittadinanza della nuova Palestina. Il comune di Gerusalemme (israeliano) sarà responsabile di tutte le aree della città, ma l’istruzione per gli arabi sarà gestita dal nuovo governo palestinese. La nuova Autorità  pagherà le tasse e l’acqua alla municipalità di Gerusalemme.  Agli ebrei non sarà consentito di acquistare le case arabe, e viveversa. Nessuna area aggiuntiva sarà annessa a Gerusalemme, e i siti santi rimarranno come sono oggi.

  1. Gaza

L’Egitto cederà in affitto nuove terre alla Palestina affinchè il nuovo stato possa costruire un aeroporto e un’area destinata allo sviluppo dell’industria, del commercio e dell’agricoltura, nella quale non  sarà consentito vivere . L’estensione delle aree e il loro prezzo saranno determinati tra le due parti attraverso la mediazione dei paesi sostenitori.

  1. Stati sostenitori

Sosterranno  finanziariamente l’attuazione di questo accordo: gli Stati Uniti, l’Unione Europea e gli stati del Golfo produttori di petrolio. Questi paesi si impegneranno ad assicurare un budget di 30 miliardi in cinque anni per la realizzazione di progetti nella nuova Palestina e per la copertura dei costi dell’annessione degli insediamenti isolati a Israele. I fondi a carico degli stati sostenitori dell’accordo saranno così ripartiti:  Stati Uniti 20%;  Ue 10%;  Gli stati del Golfo 70%, diviso in base alla produzione di petrolio.  La maggior parte dell’onere ricadrà sui paesi produttori di petrolio perché saranno i principali beneficiari di questo accordo.

  1. L’esercito

La nuova Palestina non avrà un esercito. Le uniche armi consentite saranno armi leggere in dotazione della polizia. Tra Israele e Nuova Palestina sarà firmato un accordo per la difesa in cui Israele si impegna a garantire protezione alla Palestina difendendola dalle aggressioni straniere. La Nuova Palestina dovrà pagare Israele per questo servizio, il cui costo verrò determinato nel corso di negoziati tra le parti con la mediazione degli Stati sostenitori.

7.Tempi e fasi di attuazione dell’accordo

Al momento della firma dell’accordo: Hamas deporrà tutte le armi, comprese quelle personali che consegnerà agli egiziani;  i membri di Hamas, compresi i leader, saranno stipendiati  dai paesi di sostenitori fino alla formazione del governo;   i confini della Striscia di Gaza saranno aperti al passaggio di merci e lavoratori in Israele e in Egitto, come lo sono oggi con la Giudea e la Samaria (Cisgiordania) e via mare.. Entro un anno, si terranno elezioni democratiche e un nuovo governo palestinese sarà eletto, e ogni cittadino palestinese potrà candidarsi alle elezioni.   Un anno dopo le elezioni e l’istituzione del governo, i prigionieri palestinesi saranno liberati gradualmente nel giro di tre anni.

Entro cinque anni, un nuovo porto e un aeroporto saranno costruiti nella Nuova Palestina e nel frattempo verranno utilizzati l’aeroporto di Israele e i suoi scali marittimi.  I confini tra Palestina e Israele saranno aperti al passaggio di cittadini e merci,  come avviene tra  paesi amici.

 Un’  “autostrada”  sopraelevata di 30  metri sopraelevata collegherà della West Bank e  Gaza e sarà realizzata con gli investimenti della  Cina 50%, Giappone 10%, Corea del Sud 10%, Australia 10%, Canada 10%, Stati Uniti e Unione Europea 10%.  La Valle del Giordano rimarrà nelle mani di Israele come è oggi.. La Strada  90 si trasformerà in una strada a quattro corsie con il contributo di Israele.  Due tratti di strada della Nuova Palestina saranno dati in concessione alla Giordania sotto il controllo della Nuova Palestina.

  1. Responsabilità

Se Hamas e l’Olp si opporranno a questo accordo, gli Stati Uniti annulleranno tutti i sostegni finanziari ai palestinesi e assicureranno che nessun paese nel mondo trasferisca loro fondi.  Se l’Olp accetta i termini di questo contratto, in disaccordo con Hamas o con la Jihad islamica, i leader di Hamas e della Jihad islamica se ne assumeranno la responsabilità. E nel caso di un’altra ondata di violenze, gli Stati Uniti sosterranno Israele nel perseguire personalmente i responsabili, essendo inconcepibile che un ristretto gruppo di poche decine persone limitino la vita di milioni di altre.  Se Israele si oppone a questo accordo, il sostegno economico cesserà.

 

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