
Il Labour Party britannico, l’ Spd tedesca, il Parito socialdemocratico svedese, l’ Spo austriaca: questi i principali attori del socialismo democratico novecentesco, colti, da Giuseppe Averardi ( che è senatore emerito, giornalista, a lungo direttore della rivista “Ragionamenti Storia”), nelle loro politiche di governo, e nei tentativi di creare una società piu’ giusta.” La parola “socialdemocrazia”, in realtà”, ha precisato Carlo Felice Casula, docente di Storia Contemporanea appunto a Via Milazzo, “storicamente ha assunto significati tra loro anche molto diversi ( gli stessi Rosa Luxemburg e Vladimir Lenin inizialmente si definivano socialdemocratici, in senso rivoluzionario), e solo più tardi nel ‘900 è divenuta sinonimo di socialismo democratico e riformista. Di fatto, però, ha continuato ad alimentare il dibattito anche in forze di di sinistra storicamente assai diverse da quelle socialdemocratiche: basti pensare a tutto il dibattito accesosi, nelll’ultimo trentennio del ‘900, nel vecchio PCI, col contributo di uomini come Franco Rodano, e la storica formula della “Terza via”, quasi centrale nel dibattito politico degli anni ’80-’90”. “Questo saggio di Giuseppe Averardi,comunque”, ha rilevato Roberto Cipriani, sociologo, presidente emerito dell’ Associazione Italiana Sociologi, “ha un taglio anche sociologico; mentre non trascura i momenti – nella storia di varie democrazie industriali – d’ importante collaborazione tra forze socialdemocratiche e forze d’ispirazione cattolica, o, comunque, religiosa”.
Fabrizio Federici ha evidenziato l’indispensabilità, per la socialdemocrazia del Duemila, di sapersi confrontare con forze di sinistra nuove, come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: che, pur non essendo propriamente socialdemocratiche, non ricalcano tuttavia gli schemi del massimalismo comunisteggiante. Averardi, intervenendo in chiusura,ha ripercorso vittorie e sconfitte, pregi e intrinseche debolezze, del socialismo italiano (come anzitutto, diversamente dal comunismo togliattiano e berlingueriano, la scarsa capacità di fare cultura, sviluppatasi solo in anni relativamente recenti. E ha evidenziato la grave carica d’approssimazione del “renzismo”, sbrigativamente approdato a sponde formalmente socialdemocratiche, ma erede, in realtà, d’una tradizione, quella gramsciana e togliattiana, che nella socialdemocrazia- sulle orme di Lenin – individuava proprio il nemico principale, da combattere ad ogni costo.
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