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Alan Kay

Musulmani in UK. Islam è la seconda religione del paese

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musulmaniC’è una teoria che gira per l’Inghilterra che, fra meno di cinquanta anni, la maggioranza degli abitanti saranno musulmani e che l’Islam sarà la religione dominante. La teoria, anche se indubbiamente un classico esempio di “conspiracy theory” abbinato a un forte allarmismo di provenienza ultra-conservatrice, non è da respingere del tutto. Specialmente per quanto riguarda la religiosità della popolazione. Il continuo calo delle presenze in chiesa della maggioranza cristiana, dovuto in parte anche al calo delle nascite nel ceppo europeo, si contrappone alla continua immigrazione, alla esplosione delle nascite, e alla religiosità inserita nella stessa struttura sociale della comunità musulmana. L’Islam è già la seconda religione in Inghilterra, con una popolazione di quasi tre milioni, il 4,5% circa del totale del Regno Unito, il doppio di venti anni fa. La grandissima maggioranza di questi sono religiosi osservanti. I cittadini che si dichiarano cristiani erano il 59% nell’ultimo censo, ma, come accade in Italia, un numero molto inferiore sono osservanti, anche se specialmente fuori dalle città la presenza in chiesa (principalmente anglicana) è socialmente di prammatica. E ogni anno la percentuale che si dichiarano cristiani nei sondaggi diminuisce, a favore di un generico “agnostico” se non “ateo”. Insomma la presenza musulmana nel Regno Unito si sta facendo sentire, anche se in maniera piuttosto contradditoria. Infatti da una parte c’è la realtà estremista, gli attentati suicidi del 2005, i giovani che vanno a combattere in Siria, o quelli che manifestano in piazza contro la politica estera del governo; e dall’altra c’è la maggioranza silenziosa dei musulmani integrati e imborghesiti di cui si sente parlare pochissimo ma che hanno ormai conquistato un posto nell’economia del Paese e una presenza in Parlamento (Sayeeda Warsi, ex vicesegretaria del partito Conservatore; Sajid Javid, definito dal Guardian una “stella nascente” del partito Conservatore; Baroness Pola Uddin, la prima donna in assoluto eletta in Parlamento) e in parecchi seggi comunali sia nelle città sia nelle provincie dove la loro presenza è più forte. Gran parte vota per il partito laburista; ma ci sono anche oltre 10.000 musulmani milionari.

Come altrove, l’Islam, il terrorismo islamico, la radicalizzazione di molti giovani, le interpretazioni apocalittiche del Corano che incutono spavento sono spesso in prima pagina sui media. Ma i musulmani inglesi raramente fanno sentire una loro voce per contrastare le notizie che danneggiano la loro reputazione. Di conseguenza il pubblico “bianco” ha l’impressione, pompata dai giornali “tabloids” di destra, che forse sotto sotto tutti i musulmani vorrebbero poter vivere sotto un Califfato mondiale diretto dall’Isis, o poco meno. Quello che manca alla “ummah”, la comunità musulmana, in Gran Bretagna, e che del resto riflette quello che accade ai musulmani di tutto il mondo, è una voce univoca che possa esprimere i loro bisogni, i loro pensieri e la loro posizione rispetto alla realtà che li circonda. I giovani estremisti hanno aspettative talmente lontane da qualsiasi soluzione possibile che risultano comunque tagliati fuori da un dialogo costruttivo; mentre i bravi e tranquilli impiegati, professionisti e dirigenti tengono la testa bassa, in parte per non disturbare l’equilibrio generale ma in parte anche perché’ sono intimamente, e molto spesso inconsciamente, combattuti tra la cultura europea alla quale si sono dedicati e che gli da’ da vivere, spesso in modo generoso, e la loro cultura originaria i cui principi etici morali e pratici, basati sul Corano e quindi in teoria imprescindibili, sono spesso in contrasto con quella europea. E’ il contrasto di civilta’ che mentre in Siria, Pakistan, e altrove si manifesta con gli attentati in Inghilterra è sepolto da un perbenismo che si è tentati di definire come il nascondere la testa nella sabbia degli struzzi. Un segno evidente di questa schizofrenia è che da un lato i due terzi dei musulmani britannici si dichiarano “fieri” di essere cittadini del Regno Unito, mentre dall’altro dichiarano anche, nella stragrande maggioranza, di sentirsi musulmani prima e britannici poi. Una posizione che mentre in un futuro ideale potrebbe essere un elemento di forza, oggi è fonte di contraddizioni.

A Londra, dove il 45% della popolazione è fatta di stranieri da tutto il mondo, si è sviluppata una suddivisione Musulmani-donne-670x274interessante dei vari gruppi etnici: gli inglesi abitano naturalmente un po’ dappertutto, ma si concentrano in zone residenziali centrali oppure nella cerchia fuori città a 20, 30 kilometri o più dal centro dove poi vengono a lavorare. Come spesso accade nelle comunità di immigrati i musulmani fanno corpo fra loro, abitano zone in comune e si mischiano poco con altri gruppi. I musulmani poi sono impediti dalle loro regole religiose sulle preghiere, che devono recitare cinque volte al giorno, e dalle restrizioni sul cibo, che gli vieta non solo il maiale e l’alcool ma anche certi tipi di pesci e di altri prodotti per cui è sempre con trepidazione che accettano un invito a pranzo. I musulmani meno abbienti occupano delle zone periferiche residenziali dove in alcuni casi, come nel quartiere di Southall, non si vedono quasi europei, e i negozi, ristoranti, uffici sono mirati esclusivamente ad asiatici. L’atmosfera di questi quartieri è vivace, rumorosa, piena di prodotti esotici, di languide musiche orientali e di profumi che escono dai negozi di vestiti e di cianfrusaglie varie, di odori di curry o delle varie fritture dei banchetti all’aperto; dove le donne passeggiano in sari dagli sgargianti colori e molte teste sono avvolte nel Hijab, i fazzoletti spesso multicolori delle più osservanti; altre musulmane non usano alcuna copertura; il Niqab, che copre tutta la figura fuorché’ gli occhi, è raro; il famigerato Burqa non appare quasi mai, ma c’è chi lo indossa, provocando in un europeo un istintivo ma a volte errato moto di condanna verso il marito retrogrado.

Ma c’è anche una categoria dei musulmani che occupano posizioni sociali più alte, come commercialisti, medici, uomini d’affari, che vivono molto lontani da posti come Southall, in ville nascoste fra gli alberi di zone residenziali delle periferie, insospettabili e riservati cittadini di un mondo dove l’Occidente è apparentemente abbracciato integralmente – ville tipicamente anglosassoni, Bmw e Mercedes, e tutti gli apparati e apparecchi del vivere civile occidentale; ma dove ci si accorge di entrare in un mondo diverso una volta varcata la soglia di casa: via le scarpe, le donne non appaiono che raramente, nessun quadro ai muri ma piuttosto frasi del Corano in arabo, incorniciate d’oro in stile barocco, molte stanze senza poltrone perché’ ci si siede per terra sugli spessi tappeti orientali, si beve thè con cibi strettamente orientale e Halal (religiosamente ammessi). Interruzione di ogni attività nei momenti delle preghiere. Di alcool non se ne parla. Frequentando questi ambienti, sia di Southall che le frondose periferie più affluenti, ci si accorge come, una volta effettuate in pubblico, o al lavoro, se si lavora in ambienti esterni alla comunità, le dovute attestazioni di integrazione nella nostra società, le differenze pratiche della loro vita in privato dominano anche il loro pensiero, ancorato nella loro cultura, che rimane a gestire saldamente e senza sforzo le loro relazioni, i loro studi, interessi, il modo di educare i figli. E’ facile restare ammirati dal livello di semplicità, onestà, etica professionale e interpersonale della stragrande maggioranza, ispirata da un modello di vita appreso e vissuto fin dalla nascita. Come vengano superate le forti contraddizioni fra le due culture può forse essere spiegato dalla inerente capacità della cultura inglese di accettare influenze esterne, che permette ai musulmani come agli Indù, ai Sikh, ai Senegalesi o Nigeriani e altre comunità di sentirsi a loro agio nel sistema britannico; ma anche dalla inerente flessibilità dei principi Coranici, essenzialmente basilari e universali e quindi capaci di includere ogni condizione umana. Quanto poi sia realmente assimilato e reale questo superamento a un livello pratico potrebbe essere rivelato solo al momento di una grave crisi sociale: la storia è piena di esempi di radici culturali profonde riemerse dopo decenni di eclissi.

musulmaniLa religiosità, che informa tutta la loro vita dal giorno della nascita, e che – contrariamente a quanto ci viene propinato giornalmente dai media – raramente si manifesta con espressioni di estremismo, assolutismo, o mancanza di rispetto per altre fedi, fornisce loro una forte indicazione su come comportarsi per vivere la vita, senza eccessi, rispettando il prossimo e le persone vicine ma anche cercando di avanzarsi nella società e nel lavoro. Nel Corano, molto più che in altri libri sacri, si incoraggia, ma raramente si ordina, nei dettagli quasi giornalieri la condotta di una vita equa, onesta, rispettosa del prossimo e, specificatamente, delle altre fedi (dice il Corano: “Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall’errore. Chiunque rifiuti il male e creda in Dio si afferra all’impugnatura più salda, senza rischio di cedimenti. Dio ascolta e conosce tutte le cose” (2:256)) Le storture del Corano, (ma bisognerebbe forse dire: le errate interpretazioni di coloro che sono venuti dopo, nelle “hadith” degli studiosi e dei governanti dei primissimi secoli dopo Maometto) interpretate da fanatici dell’Isis, ma anche ad esempio nella rigida e sclerotizzata società Saudita, sono viste come prodotti di società lontane dalle quali i musulmani britannici si sono appunto staccati venendo ad abitare nella civile Gran Bretagna, di cui ammirano i principi democratici e le leggi, anche se non approvano magari della sua politica estera. Sono indubbiamente molti i giovani musulmani nati a Londra, Manchester, Glasgow o Bedford, i centri con la maggiore presenza Islamica, che sono partiti per unirsi all’ISIS: forse più per dare un malinteso senso alla vita che per la convinzione di poterne emergere vittoriosi. Ma per i commercianti, gli impiegati, i professionisti di successo in particolar modo, le differenze di opinione vengono tenute per se, per non creare problemi. Ed è questa la contraddizione: non ci si accorge del danno a loro stessi che viene fatto dal loro silenzio, oltre che dalle azioni dei pochi estremisti. Ci sono in Gran Bretagna organizzazioni di musulmani che incoraggiano un dialogo aperto con le problematiche del mondo moderno, ma sono ancora di portata limitata. A Londra il Muslim Institute, i cui membri sono professionisti, storici, accademici, artisti musulmani, ha lo scopo di “…promuovere e sostenere lo sviluppo del pensiero, della conoscenza, della ricerca, della creatività e del dialogo aperto [nel mondo musulmano]”. Una istituzione che non rifugge anzi incoraggia l’affrontare, durante riunioni, dibattiti, pubblicazioni e conferenze, argomenti scabrosi come l’omosessualità, la donna nell’Islam, le manchevolezze e le ambiguità del Corano stesso. Una posizione per molti versi coraggiosa, possibile solo in quanto opera in un paese occidentale come il Regno Unito, ma comunque purtroppo costretta spesso a garantire l’anonimità a partecipanti che si sentano a disagio di trovarsi a riunioni che trattano di argomenti che in molti loro ambienti sono tabù.

musulmaniIl mondo musulmano sta vivendo un periodo di grande risveglio e sviluppo in tutto il mondo: l’Isis in Medio Oriente, e il Muslim Institute a Londra ne sono due esempi diametralmente opposti che hanno però origine dalla stessa cultura, basata su un credo unico: quello dell’Isis regressivo, irrazionale, fanatico e sognatore; quello del Muslim Institute razionale, attuale, aperto e sofisticato, ma senza mai perdere di vista l’ispirazione del Corano. Incredibilmente lo stesso testo che infiamma le terribili azioni dei seguaci dell’Isis. Fra questi due estremi ci sono, e sono rappresentate forse più in Gran Bretagna che altrove, una vasta gamma di posizioni politiche, sociali e culturali. Dal forte interesse dei giovani musulmani per la loro storia alle università dove la Soas, parte della Università’ di Londra, offre un intenso programma di confronto, analisi e critica della storiografia Islamica; visite di famiglie borghesi musulmane da Londra o Bedford in Andalusia, centro della cultura Islamica in Europa per 600 anni, con guide locali musulmane, che forniscono una versione totalmente diversa da quella fornita dalle guide spagnole ai visitatori “normali” cristiani; le conversioni all’Islam in Inghilterra triplicate negli ultimi dieci anni (erano arrivate a 100.000 nel 2011), di cui, piuttosto sorprendentemente, la maggioranza donne; la creazione di nuove moschee; non ultimo, la lenta, faticosa creazione di una classe dirigente e di intellettuali, assente finora ma di cui si intravvede la formazione. Una classe dirigente che tenta di essere Islamica e Occidentale allo stesso tempo, e che cerca di sviluppare una nuova cultura di pensiero globale – uno dei principi del pensiero islamico – che abbia voglia e forza per battersi su due fronti: la tendenza al fondamentalismo, e la spinta a quello che lo scrittore Fabio Pusterla ha chiamato il “mercificato vivere” della società in cui viviamo. Uno sviluppo essenziale per la “ummah” Islamica nel mondo, che trova (ancora oggi, e ci auguriamo in futuro) in Gran Bretagna un terreno sociale, storico e strutturale ideale. Uno sviluppo di cui tutti, incluso noi dell’Occidente, trarremmo sicuro vantaggio.

Brandino Machiavelli

L'Autore

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