Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

Promuovere il turismo in Israele, la sfida di Fishman

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israele 2Un’impresa quasi impossibile all’inizio, promuovere il turismo in un paese dilaniato dagli scontri come Israele. Liberare l’opinione pubblica dai preconcetti che legano l’immaginario comune a questo luogo e trasformarlo in una meta turistica. Sul come fare ci ha pensato Daniel Fishman, Senior advisor di agenzie di comunicazione e branding internazionali e ideatore della campagna di branding per Israele, ‘Il Paese che non sai’. L’idea è stata quella di pubblicizzare immagini sconosciute e inaspettate del paese orientale senza mai citare il nome del posto. Un’idea che sembra ben riuscita a detta dei risultati.

Come è comunicabile un paese molto particolare come Israele?

Come per qualsiasi altra realtà, bisogna trovare le giuste chiavi di lettura. In questo caso si tratta di uno stato piccolissimo (grande come la Lombardia) ma che racchiude una straordinaria diversità di luoghi, persone, storie e situazioni . Mentre altri paesi hanno un chiaro ed unico plus, Israele fornisce molteplici spunti per diversi target.
E’ il paese dove gli imprenditori di tutto il mondo vanno a ricercare le migliori idee e le start up più stimolanti, ma è anche il paese dove i mistici vanno a respirare l’atmosfera particolare di Safed. Molto concreti e molto spirituali; messaggi e media devono modellarsi di conseguenza.

Quando ha lavorato per comunicare il brand Israele?
israele 4 defSi trattò di una gara che vincemmo in un momento molto particolare. Era scoppiata l’intifada ed Israele era difficilmente considerabile come meta turistica. Il brief dell’Ufficio del Turismo che aveva indetto la gara ci chiedeva apparentemente l’impossibile. Invece di avviare una comunicazione “frontale” attuammo una strategia che presentava – ‘il Paese che non sai’ – facendo vedere delle immagini inaspettate, sconosciute ed inusuali di Israele. Ma senza mai citare di quale paese si trattasse.
Questo permise di far vedere a tante persone una realtà senza pregiudizi, e a svelare solo in un ultimo passaggio quale fosse la meta con la quale gli interlocutori a questo punto avevano stabilito un positivo ed alto livello di interazione.

Cosa significa fare nation branding per un Paese come Israele? E’ molto diverso dal fare branding per altri Paesi?
A differenza di altre nazioni, sicuramente Israele non lascia indifferenti. In questo senso, più che sull’awareness (tutti conoscono Israele e sanno dove è), si tratta di lavorare sulla sua valutazione-percezione. Dal 2000 ad oggi i dati parlano però chiaramente. Un numero sempre maggiore di Italiani si reca in Israele e le compagnie low cost hanno anch’esse aperto questa nuova tratta.

Cosa la colpisce di più del modo di comunicare di Israele, in Europa e in Italia?
Gli Israeliani si auto-definiscono come ‘sabra’ che significa fico d’india, intendendo che la scorza dura è fuori ma dentro sono dolci. Per gli stilemi italiani, la loro comunicazione è a mio modo di vedere un poco “rough”. E’ però un paese esempio di libertà di informazione. In tutti gli stati coinvolti in situazioni di guerra, penso anche all’Europa con la crisi Ucraina, non c’è come in Israele quella possibilità data ai giornalisti di fare reportage totali. Se pensiamo che anche dei primi ministri e un presidente di Israele si sono dovuti dimettere in seguito ad inchieste giornalistiche, si ha un chiaro esempio del rispetto degli Israeliani per il mestiere dei giornalisti.

Chi si occupa di comunicazione, marketing territoriale e pubblicità ha maggiori o minori difficoltà, in un clima di guerra?
Mi colpiva in questi difficili giorni, il fatto che la moneta israeliana si stesse comunque rafforzando rispetto al dollaro e all’euro. A testimonianza di una società e di una economia sana, in via di sviluppo e nel quale il reddito dei cittadini medi è in linea con quello dell’Italia. Da un punto di vista della comunicazione questo significa anche una crescente qualità della comunicazione pubblicitaria, che oltre che autoctona, si sviluppa anche grazie alle sensibilità improntate dall’Europa e dall’America. E’ chiaro però che il paese non può dirsi del tutto sereno se ogni giorno ci sono dei missili sparati a casaccio che ti possono colpire da un momento all’altro. La Mogherini se ne è accorta mentre era ad Ashdod.

Fare informazione corretta a proposito di Israele è possibile? Ci sono dati oggettivi e incontrovertibili sui quali fare tale informazione?

I fatti di questi giorni dimostrano quanto il confronto avvenga con mezzi e codici morali totalmente diversi. Hamas non tollera nei territori da lei controllati nessuna ingerenza politica e sulla propaganda. Dopo aver fatto fuori i palestinesi di Al Fatah, ha stretto nella morsa della censura tutta l’informazione. Situazione ben diversa da Israele, nella quale gli organi di informazione riportano diverse informazioni e pareri. In questo quadro di piena libertà fioccano anche le critiche e i dibattiti. E ogni uccisione che avviene assume un impatto morale e mediatico significativo. Hamas non ha nessuna di queste preoccupazioni. Il martirio, le uccisioni degli infedeli, la guerra santa contro ebrei e cristiani sono obiettivi che non hanno bisogno dell’approvazione dei media.

Sara Pizzei

 

 

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