Settanta anni fa la distruzione di Dresda. Nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 1945 il Bomber Command guidato da Sir Arthur Harris distrusse la Firenze dell’Elba. Fu un insensato massacro differente da Hiroshima e Nagasaki solo per l’assenza di radiazioni atomiche. Ma non venne dal generale Harris la decisione di scatenare i Lancaster e i Mosquito. Si trattava invece del PianoThunderclap (Colpo di Tuono), avanzato nell’agosto 1944 da Sir Charlers Portal, capo di stato maggiore della Raf, per infliggere alla Germania di Hitler il colpo decisivo.
Il metodo: area bombing, gradinate di bombe sul territorio nemico, minandone la morale, oltre che devastandone le risorse e le linee delle comunicazioni. Era la dottrina del bombardamento strategico, stabilita proprio dai tedeschi durante la prima guerra mondiale.
La piccola Guernica della Grande Guerra
Sulla costa meridionale dell’Inghilterra, dieci chilometri a sud-ovest di Dover e delle sue bianche scogliere, si trova Folkestone. È un antico centro portuale che fino agli inizi del secolo scorso conservava intatta la grazia vittoriana di un’illustrazione di Phiz e l’allegria di un’operetta di Gilbert e Sullivan. Fra l’altro, vi nacque il dottor William Harvey, che nel 1628 descrisse per la prima volta la meccanica della circolazione sanguigna. Ma questo primato della scienza il 25 maggio 1917 fu oscurato da quello della guerra. Una ventina di bombardieri tedeschi Gotha si liberarono del loro carico esplosivo, provocando 95 morti e 195 feriti. Il loro obbiettivo iniziale era Londra, ma un’insuperabile cortina di nuvole dalle parti di Gravesend li aveva costretti a cercare un altro bersaglio. Il carburante non consentiva di restare a lungo in volo e l’alternativa più vicina era Folkestone, che poi qualcuno chiamò la piccola Guernica della Grande Guerra.
Il bombardamento strategico
Se la pietà della Storia si esercita anche con una definizione, è anche vero che spesso le dottrine militari nascono dai massacri. L’episodio aveva insegnato che il bombardamento strategico pagava, indipendentemente dall’importanza del bersaglio. Era l’effetto devastante sulla morale della nazione nemica che faceva numero ai fini della crudele contabilità bellica. E da Folkestone a Baghdad, passando per il blitz di Londra, Dresda, Hiroshima, Nagasaki e il Vietnam, non vi furono più variazioni. Portare l’attacco dall’aria in territorio nemico fu una delle necessità spaventose ma elementari della guerra alla quale si dovevano adeguare anche i mezzi da combattimento. L’ironia volle che proprio i tedeschi non imparassero la loro stessa lezione. Infatti durante la seconda guerra mondiale, il tronfio Göring, ammalato di protagonismo, volle privilegiare lo sviluppo dei caccia d’attacco, che secondo il Feldmaresciallo consentivano una migliore espressione dell’iniziativa individuale nell’impiego dell’aeronautica. Così la Lüftwaffe non ebbe mai bombardieri in grado di competere con quelli alleati.
Pure, il generale Harris aveva scritto nel 1944: «È chiaro che il miglior appoggio che il Comando Bombardieri può dare all’Operazione Overlord (lo sbarco in Normandia, NdR) è l’aumento delle incursioni su obbiettivi industriali scelti in territorio tedesco.» Il che pareva escludere centri d’arte e di cultura come Dresda, materializzazione di pietra di una tradizione favolistica germanica –Hansel e Gretel, Till Eulenspiegel– estranea al nazismo. La sua popolazione ufficiale era allora di 630 mila abitanti, ai quali si aggiungevano i profughi dell’est in fuga dall’Armata Rossa e 26.020 prigionieri alleati. Questi ultimi vivevano in stato di grazia fra una cittadinanza anglofila con la quale avevano fraternizzato e che progettavano di ritrovare da turisti dopo la guerra per ricambiare le cortesie ricevute. Del resto, i comandi militari tedeschi non temevano bombardamenti su Dresda, al punto da lasciarla praticamente sguarnita di contraerea.
Il germe del disastro
Il germe del disastro è in una lettera a Churchill di Sir Archilbald Sinclair, Ministro dell’Aviazione, del 26 gennaio 1945: «Berlino e le altre grandi città della Germania Orientale, come Lipsia, Dresda e Chemnitz, non sono solo dei centri amministrativi che controllano i movimenti militari e civili, ma anche centri di comunicazione primari attraverso i quali passa il massimo del traffico tedesco.» Tanto bastava. La dottrina del bombardamento strategico saliva di quantità e ferocia. Churchill stava per andare a Yalta, a spartirsi il mondo con Roosevelt e Stalin. Occorreva far colpo sui sovietici durante la loro avanzata in Germania. Mostrare la superiorità aerea degli alleati. Le rovine delle città tedesche potevano essere immagini allo specchio di Mosca, Leningrado, Kiev, se gli alleati di convenienza del presente fossero divenuti i nemici del domani.
L’attacco a Dresda
L’espressione di Harris si fece grave quando l’ordine di bombardare Dresda divenne irrevocabile. In due successive ondate, della durata complessiva di 47 minuti, i bombardieri Lancaster e Mosquitos scatenarono sulla città quella calamità innaturale che i tedeschi conoscevano a loro spese come Feuersturm, tempesta di fuoco. L’effetto devastante delle bombe block-busters creava vuoti d’aria che risucchiavano all’interno cose e persone. I morti, mai accertati nel numero con precisione, superarono i 200 mila. I complessi di colpa fecero altrettanti danni nella coscienza dei piloti che avevano scatenato quell’inferno. Fra i prigionieri americani, a Dresda c’era Kurt Vonnegut jr., e rievocò l’apocalittico bombardamento nel suo romanzo più bello, “Mattatoio 5”. George Roy Hill portò sullo schermo con il suo capolavoro del 1972, dove l’atrocità della tempesta di fuoco viene commentata dalle note rarefatte delle musiche di Johann Sebastian Bach eseguite al pianoforte dal geniale Glenn Gould.
Enzo Verrengia