Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Paul Valéry

#ELEZIONIUSA. DEMOCRATICI IN CRISI: PAGANO LE MANCATE PROMESSE DI #OBAMA

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Il prossimo 4 novembre Barack Obama rischia di avere tutto il sistema contro: ossia Camera e Senato. Tra poche ore, infatti, si terranno le elezioni di MidTerm dove si deciderà il controllo della Camera dei Rappresentanti e di 33 seggi seggi al Senato. Gli ultimi sondaggi danno i Repubblicani avanti in tutti e due i rami del Parlamento, e ciò potrebbe significare l’impasse per l’ultima fase del secondo mandato di Obama. A complicare le cose per i Democratici vi sono le rilevazioni che certificano come più della metà degli americani si recherà alle urne per esprimere l’opinione sulle politiche del governo e non per sostenere un candidato. Il paradosso è che proprio Barack Obama – il presidente del Yes, we can – è diventato a quanto pare lo spauracchio per gli uomini del suo stesso partito. Paga, secondo gli americani, le contraddizioni in politica estera e le stesse misure che, agli occhi degli europei, sembrano conquiste: riforma della sanità su tutte. Su questo punto, e sugli scenari di un Paese che si conferma complesso da interpretare, Futuro Quotidiano ha sentito Nico Perroneamericanista, accademico – autore nel 2010 di un profetico Obama, il peso delle promesse. Yes, we can’t (Settecolori edizioni).

Professore, l‘ipotesi che i Repubblicani possano ottenere la maggioranza nei due rami del Congresso si fa sempre più concreta. Perché?

Prima di tutto è doveroso ricordare che è frequente che chi è stato al potere possa stancare e che l’alternativa a questo avanzi. I Democratici sono già al secondo mandato.

Nico Perrone

Il professor Nico Perrone

Molti analisti sostengono che queste elezioni di MidTerm siano in realtà un referendum proprio su Barack Obama.

La stagione di Obama ha registrato un prima e un dopo: un primo mandato in cui è riuscito a fare delle cose, a farsi sentire; il secondo, poi, è stato in discesa. L’ipotesi che i Repubblicani adesso possano approfittarne è concreta.

Un centro studi americano ha definito in negativol’Obama Factor“: nel senso che tanti candidati democratici a queste elezioni sfuggono dal farsi assimilare al presidente. Che cosa è cambiato dai tempi in cui Obama rappresentava un’icona della politica-pop?

Il cambiamento che avrebbe dovuto rappresentare Obama non si è visto. Certo, ha dovuto far fronte a una situazione internazionale difficile e anche sfavorevole e questo ha determinato in negativo il suo secondo mandato. Con ciò intendo la condizione di non poter rendere gli Usa protagonisti principali della scena. C’è stata una forte affermazione della Cina ad esempio, e qui gli Usa hanno dovuto fare i conti con un interlocutore inedito. Stesso discorso anche rispetto alla Russia, con la sua capacità di tornare protagonista in quasi tutti i contesti. Che questa sia responsabilità di Obama? Non è possibile dirlo, ma agli occhi degli elettori non ha grande importanza.

Eppure Obama, dal punto di vista economico, ha raggiunto alcuni risultati importanti: dal salario minimo all’interventismo nei settori in crisi.

Rispetto alla crisi economica si è mosso meglio di altri, meglio di noi europei di certo. È riuscito a non far precipitare gli Usa nella spirale, proprio ciò che non ha fatto l’Europa. Ciò nel tempo ha significato di certo un punto a suo favore.

Come mai allora i sondaggi sono impietosi?

L’opinione pubblica è molto più emotiva.

Ma non ha creato consenso nemmeno l’Obama care? Una riforma concreta come quella sulla sanità?

Anche questo è un dato positivo di Obama: aver contributo a delle forme di welfare, di assistenza mai conosciute lì. Il problema è che proprio questo è stato giudicato fortemente negativo dalla parte avversa a lui. Pur essendo un passo avanti per gli Usa, elettoralmente ciò non paga. Segno che l’America profonda non è tutta dalla parte sua. Oppure non vota. Le dico di più: avere introdotto un sia pure modesto sistema di tutela dell’americano nella malattia vale molto di più per noi europei.

Ossia?

In Europa si stava avviando un processo di smantellamento dello stato sociale. E quello che ha fatto Obama lo ha per lo meno rallentato. Stesso discorso per l’industria pesante con il suo interventismo che dovrebbe insegnarci qualcosa.

U.S. Senators Clinto and Obama sit onstage during Democratic Party debate at the University of Nevada Las Vegas (UNLV) in Las Vegas

Ritornerà una Clinton alla Casa Bianca?

Veniamo alla politica estera. Che atteggiamento ha avuto?

È un pacifista, o meglio si è fatto ritenere pacifista senza poi esserlo nei fatti. Manda i droni senza grandi successo. Le contraddizioni gli si sono avvitate addosso.

Tutto questo – in mancanza di un Repubblicano papabile – significa il ritorno di una Clinton alla Casa Bianca nel 2016?

Non lo so, perché gli americani sono molto attenti alla condizione di salute dei propri leader: e su di lei a proposito si continua a parlare. Detto ciò, Hillary Clinton è certamente una figura politica complessiva, un po’ più credibile. Dalla sua ha la capacità di trattare, di mantenere fede ai programmi. E assieme a ciò la capacità di non essere spettacolare e di saper essere allo stesso tempo protagonista nella politica estera.

Come arrivano gli Stati Uniti a questo appuntamento?

Arrivano senza più un’identità precisa. Ma non sono i soli. È un problema che riguarda pure noi.

Antonio Rapisarda

twitter@rapisardant

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